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 2022  dicembre 15 Giovedì calendario

EUGENIO MONTALE GIU’ DALLA SCALA – PANZA: "NEL 1966 AL POETA, ALLORA GIORNALISTA CULTURALE AL 'CORRIERE DELLA SERA', FU COMMISSIONATA L'INTRODUZIONE A UN LIBRO SUL PIERMARINI. LA RISPOSTA DELL’UFFICIO STAMPA GELO’ IL FUTURO PREMIO NOBEL: 'GRAZIE TANTE, MA IL PEZZO NON VA BENE'- NOTEVOLE FU L’INCAVOLATURA DI MONTALE CHE DA GIOVANE AVREBBE VOLUTO CANTARE COME BARITONO…" -

«Il secondo mestiere» di Montale (come da titolo di un suo libro), che fu economicamente il primo, fu quello di giornalista culturale al Corriere d'Informazione e al Corriere della Sera. In questo ruolo gli fu affidato anche il compito di seguire il Teatro alla Scala, attività a lui gradita poiché da giovane avrebbe voluto cantare come baritono. Come accade anche per i «minori», Montale si lamentava di non essere sempre la prima firma.

Lo scherzo peggiore glielo fece, però, la Scala quando boicottò una sua introduzione a un libro che uscì nell'agosto del 1966 con il titolo « La Scala 1946-1966 », a cura di Franco Armani, edito dall'Ente Autonomo Scala e Rizzoli.

Siamo nel '66, lui non è ancora Nobel (1975), ma è già Montale: ha pubblicato «Ossi di seppia» quarant' anni prima e in quell'anno esce « Xenia », dedicata alla moglie («Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale»). Armani (1912-2000), figlio di un direttore d'orchestra amico di Montale, era capo ufficio stampa della Scala e doveva curare una pubblicazione sulla vita del teatro dalla ricostruzione ad allora. La pubblicazione fu poi superata in qualità da quella dell'ingegner Luigi Lorenzo Secchi, per decenni responsabile degli allestimenti scenici. Armani chiede l'introduzione a Montale che gliela manda e nel suo testo fa ampi riferimenti a Francesco Siciliani, ancora in carica come direttore artistico del teatro. Sono giudizi personali, righe d'elogio.

Ma Siciliani - Montale lo sa - sta per dimettersi per divergenze con Antonio Ghiringhelli (1906-1979), imprenditore calzaturiero del Varesotto dal 1948 sovrintendente della Scala. Pretesto del contrasto tra i due fu il «Faust» di Gounod. Gianandrea Gavazzeni, che lo aveva diretto nel marzo del '62, non voleva che Siciliani lo riproponesse nel '66 affidandone la direzione a George Prêtre. La tensione si accentuò per divergenze sulla «Chovancina » di Musorgskij (lo stesso del «Boris Godunov» di quest' ultima Prima) prevista per la stagione seguente. Ma il motivo di fondo che fece maturare in Siciliani il proposito di abbandonare la Scala va cercato nel crescente disagio con il quale svolgeva la sua attività, alla quale si volevano porre vincoli inaccettabili per il comprensibile orgoglio del direttore artistico divenuto famoso nel mondo.

A Ghiringhelli l'introduzione di Montale non sta bene e la boccia. Ma non è lui ad alzare la cornetta. A comunicare al poeta la bocciatura è l'ufficio stampa con una telefonata che dice, più o meno: «Grazie tante, ma il pezzo non va bene, perché s' è permesso di dare dei giudizi personali su Siciliani». Siciliani si dimette l'11 luglio '66 e il mattino dopo, sull'edizione nazionale nella pagina degli Spettacoli del Corriere si trova un «Saluto a Siciliani» a sigla E.M. Viene sostituito nel suo incarico a fine ottobre da Gianandrea Gavazzeni.

L'incavolatura deve essere stata notevole poiché gli esiti sono tranchant anche per Montale, come racconta Camilla Cederna nel ritratto-intervista «Il galateo di monsignor Eusebio » ( L'Espresso , 2 giugno 1968): «È un po' di tempo, però, che di cantanti Montale non ne sente, da quando cioè ha smesso di fare la critica musicale, così adesso alla Scala non ci va più. Né lo invitano alle prove generali, da quando il sovrintendente Ghiringhelli gli ha bocciato la prefazione per un volume sulla Scala».

L'inedita introduzione è un dattiloscritto, senza titolo, depositato al Centro Manoscritti di Pavia tra le carte donate da Gina Tiossi, la governante di Montale. Ora l'inedito viene pubblicato in «Quaderni montaliani», numero 2, anno II, diretti da Roberto Cicala (Interlinea edizioni). L'introduzione di Montale non ha nulla di scandaloso, riflette il suo conservatorismo. Troviamo Toscanini sul gradino più alto, «divo per diritto di nascita convinto com' era che un'esecuzione scrupolosamente fedele al testo fosse sufficiente». E troviamo il suo rifiuto a ogni concessione spettacolare: «La Scala ha dovuto subire, nel lungo e operoso periodo della sovrintendenza di Antonio Ghiringhelli, l'evoluzione del gusto del pubblico in senso spettacolare». «Subire», un termine che, forse, a Ghiringhelli non era troppo piaciuto.