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 2022  dicembre 15 Giovedì calendario

Che fine a fatto Putin? Sta male o non sa cosa dire?

Vladimir Putin passa in modalità invisibile, e cancella la sua fitta agenda di appuntamenti tradizionali di fine anno. Non terrà la tradizionale super conferenza stampa per centinaia di giornalisti russi e stranieri, praticamente unico appuntamento dell’anno in cui si rendeva accessibile a tutti i media e non solo ai cronisti di corte accuratamente selezionati e telecomandati. Non parteciperà alla diretta televisiva con il suo popolo, un mega evento della durata di tre o quattro ore durante le quali rispondeva alle domande del pubblico, soddisfaceva le richieste dei telespettatori e si improvvisava Babbo Natale mandando regali ai bambini poveri o agli anziani di qualche provincia lontana della Russia. Non prenderà parte nemmeno alla partita di hockey sul ghiaccio in piazza Rossa. Ma soprattutto, non terrà il discorso annuale sullo stato della nazione alle camere riunite, che a differenza degli altri appuntamenti popolari, ma mediatici, è un suo preciso obbligo costituzionale.
Un’assenza totale e apparentemente inspiegabile, o perlomeno lasciata senza spiegazioni dal portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, che si è limitato a ipotizzare «altre forme di comunicazione» che il presidente russo potrebbe adottare. L’impressione è che lo stesso Peskov non sia più in contatto con il suo principale, e nel dare i suoi comunicati è costretto a improvvisare senza sapere nemmeno lui cosa è successo. Tutti e tre gli appuntamenti cancellati erano non solo una tradizione politica consolidata in più di vent’anni di putinismo, ma venivano proposti dalla sua macchina mediatica come i principali eventi dell’anno politico, occasioni nelle quali Putin non solo «creava dei significati» nuovi, per dirla con il gergo dei cremlinologhi di corte, ma si mostrava anche saldamente al timone della nazione: preparato, informato, determinato, severo, ma giusto, un leader forte che non aveva bisogno di mediatori per parlare al suo popolo. A dire il vero, la magia populista si era persa già negli ultimi anni, con un presidente sempre più appannato e le TV costrette a disattivare i commenti degli spettatori negli streaming delle dirette di Putin per nascondere la valanga di insulti. Ma in un sistema politico che orbita integralmente intorno al presidente, cancellare le sue apparizioni significa mandare brividi di tensione in tutto il Paese.
Le teorie sulle vere ragioni della sparizione di Putin ovviamente non mancano. Nei canali Telegram di gossip dal Cremlino è tornata a circolare la teoria della malattia del presidente, un pettegolezzo vecchio e mai smentito che lo vorrebbe gravemente debilitato da un tumore al colon, e forse bisognoso di un nuovo intervento chirurgico. Un’altra teoria molto accreditata è la paura per la sicurezza: dopo che i droni ucraini hanno colpito basi militari russe distanti centinaia di chilometri dal confine, un evento pubblico cui il leader russo partecipa con largo preavviso, e magari in compagnia di tutto il suo governo insieme al parlamento, ai leader religiosi e ai governatori, potrebbe diventare un bersaglio strategico. Le recenti parole di Volodymyr Zelensky sul fatto che «se Putin muore, la guerra finirà» hanno raggiunto le orecchie dei destinatari russi. La prospettiva che un drone o un missile riesca a superare i 900 chilometri che separano Mosca dal confine ucraino non è impensabile, l’ipotesi che possa distruggere il Cremlino resta fantascienza. Ma già il fatto che qualcuno possa temere un attacco nel cuore della Russia è sintomatico dell’umore dominante.
Il motivo più ovvio per cui Putin preferisce sparire è però un altro: non ha nulla da dire. Le esternazioni del leader russo servivano appunto a «creare significati», e il Paese attendeva soprattutto il discorso al parlamento per avere indicazioni più chiare: sulla guerra, la sua durata, i suoi obiettivi e i metodi per raggiungerli. Tutte domande alle quali il Cremlino oggi non ha una risposta, e la politologa Tatyana Stanovaya sostiene che dopo la fuga dell’esercito russo da Kharkiv e da Kherson l’élite russa abbia una netta sensazione di «un movimento accelerato verso il caos e il collasso del Paese». La percezione della guerra persa è «condivisa praticamente da tutti», e i falchi e le colombe sono divisi semmai dalla visione di come reagire a questa prospettiva. Putin non ha gli strumenti per rispondere alle esigenze dei primi – che invocano la “guerra popolare” con mobilitazione totale, legge marziale ed economia militare – e non vuole rassegnarsi alle istanze delle seconde, anche perché il prezzo più probabile da pagare sarebbe quello impossibile di dichiararsi perdente e cedere il potere.
La situazione è troppo grave per cavarsela con discorsi di circostanza e così, come ha già fatto numerose volte nella sua carriera quando era in difficoltà, Putin preferisce eclissarsi, nella speranza che la situazione si risolva in qualche modo, che il tempo (l’inverno, la fortuna, la capacità di resistenza degli ucraini o la pazienza degli occidentali) giochino a suo favore. —