la Repubblica, 15 dicembre 2022
A dieci anni dalla morte, Kasi Lemmons riporta Whitney Houston nei cinema
Dopo la tragica ballata di Billie Holiday, la Strange fruit sui linciaggi dei neri, “strani frutti” appesi agli alberi, e le persecuzioni del governo americano, dopo la potenza R&B di Aretha Franklin e quel Respect preteso per sé stessa e per gli afroamericani, arriva al cinema un’altra icona della musica, una vita al ritmo della pop dance, un vissuto non meno drammatico. Whitney Houston voleva ballare con qualcuno che l’amava ed è morta sola nella vasca da bagno del Beverly Hilton Hotel dieci anni fa, a 48 anni. Il titolo italiano di I wanna dance with somebody, film di Kasi Lemmons in sala il 22 dicembre (targato Sony, distribuito da Warner) è Whitney una voce diventata leggenda. Ad incarnare la cantante è la britannica Naomi Ackie, attrice e cantante anche se – a differenza di Andra Day e Jennifer Hudson – nel film ci sono le esibizioni originali della Houston.
Incontriamo la giovane, Nitty per la famiglia, capelli corti e tanti esercizi di canto con la madre Cissy, celebre cantante molto esigente. Viene scoperta mentre le fa da corista in un locale nel 1983 dal leggendario produttore musicale Clive Davis – Stanley Tucci che la guiderà durante la carriera facendone una delle cantanti di maggiore successo del mondo, per il Guinnes dei primati, 2006, “l’artista più famosa e premiata di tutti i tempi”. L’ascesa e le tappe più importanti della carriera sono scandite dai successi, da The greatest love of all, a I wanna dance with somebody, dall’inno americano cantato a Super Bowl del 1991 a I will always love you, colonna sonora di Guardia del corpo, il film con Kevin Costner. L’amicizia con Rubyn, che diverrà sua assistente, l’incontro con il marito Bobby Brown, la nascita dell’amata figlia Bobbi Kristina (che sarebbe morta nel 2015 in circostanze simili a quelle della madre), il declino, l’abuso di droga, i danni alla voce.
La regista, che abbiamo intervistato su Zoom, ci spiega la sfida di prendere un’attrice e cantante come Naomi Ackey e usare però la vera voce di Whitney Houston: «Il motivo per cui con la famiglia abbiamo scelto Naomi, oltre al suo averne catturato l’essenza, è stata la sua voce da cantante: ho potuto usarla quando canta libera e lascia che la sua voce si mescoli con quella di Whitney nelle esibizioni. Naomi canta con lo stesso registro, e sul set si esibiva davvero: questo ha reso tutto più credibile. E poi è un’attrice fenomenale». Naomi Ackey, pienadi grazia ed empatia, spiega che entrare nella voce di Whitney Huston è stato «molto difficile. Ho dovuto studiare molto, la voce cambia quando passi dai 19 ai 48 anni, e c’erano tante sfumature roche: dopo aver cantato così tanti anni, la voce può danneggiarsi. Ho lavorato con alcuni insegnanti che mi hanno aiutato a trovare quella vocalità». Lo è stato, difficile, anche in senso metaforico, «ma il mio obiettivo non era quello di parlare per lei, piuttosto unire la mia esperienza artistica a quel che vedevo di lei come persona». Impossibile non ripensare al doc di Kevin Macdonald del 2018, che affrontava il passato oscuro di Whitney, le molestie s ubite dalla zia Dee Dee Warwick: «Penso di averlo interiorizzato, quel lato – spiega Naomi – Whitney, consapevole o meno, adattava la sua immagine, era al servizio di chi le era intorno e del pubblico globale. Cercava di affrontare le proprie difficoltà, stando attenta alle reazioni dei suoi cari». Per la regista, questo «è un film celebrativo del talento di Whitney. Volevamo, senza essere irrispettosi, raccontare la storia dell’essere umano dietro l’icona. Una donna con difficoltà profonde in cui ci si può identificare».
Una donna padrona delle proprie scelte: dalle canzoni che esprimessero il sentimento del momento, alla svolta R&B per disinnescare il pregiudizio “troppo bianca”, dal rapporto distruttivo con Bobby Brown all’uso di droga (in una scena dice a Davis che alcune delle performance che lui ama di più sono state aiutati della droga, «per cantare con gli dei hai bisogno di una scala»). «Ho parlato con molti che la conoscevano e nessuno la ricordava vittima. Era una donna forte, ha saputo controllare la sua carriera e il tipo di musica che faceva è diventata negli anni sempre più autentica: c’è bellezza e trionfo in questo». Il film dedica spazio al rapporto con l’amica e innamorata Rubyn: «Chissà cosa sarebbe successo se Whitney non fosse stata messa sotto pressione dall’esterno, dall’immagine da fidanzata d’America che sentiva di dover mantenere. Robyn era dalla sua parte, teneva a lei. Ma volevamo anche ritrarre la forza e la bellezza della loro amicizia, lunga una vita».