Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  dicembre 15 Giovedì calendario

Breve storia dei vaccini

Vi fareste vaccinare per primi? Vi sottoporreste a una sperimentazione vaccinale? Avreste più paura del vaccino o della malattia? Queste e tante altre domande suscita la lettura del nuovo libro di Giuseppe Remuzzi, che è una storia dei vaccini attraverso le storie di chi li ha immaginati e inoculati e di chi ha rischiato, attraverso i fallimenti e i successi (Le monetine di Roosevelt. Una storia dell’umanità attraverso i vaccini, Solferino). Una storia dei vaccini che è appunto anche la storia dell’umanità e delle malattie che l’hanno segnata mortalmente e che continuano a minacciarne la salute e la vita.
L’avvertimento è chiaro: «Non è una visione sistematica della storia dei vaccini, non dice quante persone al mondo siano state salvate dai vaccini. Racconta piuttosto quanti e come si sono ammalati e sono morti quando i vaccini non c’erano, del terrore delle mamme di fronte al rischio della poliomielite, della paura della peste, dell’intuizione di un dottore che ha protetto una popolazione intera dal colera... chiudendo un rubinetto».
Già, perché a volte le grandi rivoluzioni avvengono con un gesto tanto banale e che oggi ci pare ovvio. E comportano la sparizione di malattie – e di strani aggeggi, come il polmone d’acciaio. Soltanto chi è abbastanza vecchio, infatti, si ricorda quelle enormi macchine da cui usciva la testa e che servivano per respirare, sostituite poi dai respiratori. E soltanto chi è abbastanza vecchio ricorda il terrore che la poliomielite causava. La paralisi infantile la chiamavano, sebbene l’infezione potesse colpire anche gli adulti e, se il virus giungeva al sangue, danneggiava il midollo spinale e causava la paralisi. Non è stato facile nemmeno capire l’origine – gatti? Topi? Mosche? Gas? – figuriamoci trovare un rimedio.
Alcuni provano o hanno intuizioni geniali, come Ivar Wickman, altri si ostinano a seguire ipotesi sbagliate. Poi nel 1930, Maurice Brodie e William Park a New York e John Kolmer a Filadelfia sviluppano un vaccino ma sbagliano e, invece di inoculare una protezione, somministrano un virus ancora troppo attivo: migliaia di bambini rimangono paralizzati. Bisognerà aspettare fino a Jonas Salk e ad Albert Sabin, passando per l’incredibile storia di Martha Mason che ha vissuto per 61 anni in un polmone d’acciaio e per «la marcia delle monetine», che oltre a raccogliere tantissimi soldi per i bambini colpiti dalla polio ha cambiato la filantropia: piccole donazioni, 10 centesimi appunto. Nella strada verso il vaccino contro la polio c’è anche un punto cardine: «La medicina – scrive Remuzzi – senza ricerca fondamentale ripercorre inevitabilmente le stesse strade e non può mettere a punto nuovi strumenti diagnostici e nuove cure». La storia di questo vaccino e dei vaccini in generale ne è un esempio lampante.
L’annuncio dell’efficacia e della sicurezza del vaccino è una bomba («Salk parla per quindici minuti soltanto, ma gli servono un’ora per attraversare la sala alla fine della conferenza e tre giorni per rispondere ai giornalisti»), ma il percorso sarà ancora lungo. Poi nel 1979 c’è l’ultimo caso negli Stati Uniti.
Progresso
Nell’agosto 1854 il colera si diffuse a Londra. E John Snow esaminò campioni d’acqua contaminata
Se vogliamo tornare indietro nei secoli, potremmo risalire fino a una delle più devastanti pandemie: la peste tra il 1347 e il 1351. Oppure al colera di fine Ottocento a Filadelfia e ancora prima, al 1817, tra quelli che sono l’India e il Bangladesh attuali. La devastazione di una malattia dipende ovviamente anche dal contesto e quando arrivano le navi britanniche nel Golfo del Bengala sono perfetti mezzi di trasporto anche per l’epidemia. Di porto in porto, di scalo in scalo, la malattia arriva fino a Londra. E poi c’è il rubinetto di Soho e l’arresto dell’onda epidemica con la rimozione di una maniglia contaminata! C’è una pompa in una piazza che attinge a un pozzo, acqua potabile e tante persone che vanno e vengono e toccano.
Nell’agosto del 1854 cominciano i sintomi e le morti rapide e atroci. Ed ecco John Snow, che comincia a esaminare campioni di acqua, segna, studia, confronta i dati e disegna una mappa dalla quale emerge una correlazione tra i casi di colera e la vicinanza alla pompa di Broad Street. Sulla base di queste osservazioni, e grazie anche ai governatori locali che lo ascoltano, la pompa viene chiusa e i casi cominciano a scendere per poi fermarsi. In questa storia ce ne sono almeno altre due: un curato, Henry Whitehead, che individua l’origine dell’epidemia e un patologo, Filippo Pacini, che identifica il batterio mentre Snow non era riuscito a vederlo. Alcune delle storie che narra Remuzzi sono più conosciute, anche se magari solo di nome, come quelle di Louis Pasteur o di Andrew Wakefield, ma tante altre sono meno note e bellissime. Ci sono gli aspetti morali, la paura e il coraggio, l’analisi razionale e le reazioni eccessive alla proposta di un vaccino. Insomma, la storia dell’umanità attraverso chi ci è passato.