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 2022  dicembre 15 Giovedì calendario

Il memoir di Zurlini tra Pavese, Morandi e Visconti

Valerio Zurlini, talento bistrattato dal nostro cinema, visse solo cinquantasei anni (1926 – 1982), diresse grandi film, quali Estate violenta (1959), il capolavoro La ragazza con la valigia (1961), Cronaca familiare (1962) e Il deserto dei tartari (1976).
Sapeva anche scrivere divinamente, complice “il suo umano sbaraglio” che gli riconosceva Vasco Pratolini.
Per esempio, del padre: “Si informava cautamente sulla mia vita, quasi con il timore di trovare nelle mie parole la conferma dell’amarezza che mi leggeva negli occhi. Poi, forse per la prima volta nella sua vita, comprese di dover scendere sul terreno sempre rifiutato dell’intimità, di non poter ulteriormente ignorare il mio disperato malessere e con grande pudore, parole piane e semplici, mi invitò a confidarglielo”.
Di letteratura immagini, di immagini, sopra tutto quelle perdute, Pagine di un diario veneziano, il memoir che torna in libreria con Mattioli 1885 espunto, rispetto alla primigenia pubblicazione del 1983 per una ristretta cerchia di amici, delle tre sceneggiature de La zattera della Medusa, Verso Damasco e Il sole nero che, osserva Filippo Tuena nella prefazione, “erano non-film, fantasmi di carta e inchiostro che mai s’erano realizzati”. Zurlini si racconta e nel mentre prende le misure, con occhio sartoriale, al suo tempo, estendendo oltre il set la “sensibilità quasi femminile” che La ragazza Claudia Cardinale aveva intuito: “Mi capiva da uno sguardo. Mi ha insegnato tutto, senza impormi niente”.
Rifulge con discrezione in queste pagine, elegante senza affettazione, asciutto senza aridità, con l’avvertenza che “i ricordi non sono oro colato. La memoria è bizzarra, indulgente, vanitosa, sentimentale, breve, è permalosa, bugiarda anche quando in buona fede, ma i suoi sentieri infiniti sono tracciati sempre da una logica segreta”.
Dunque, Cesare Pavese, “Giorgio Morandi che contò fra i primi fedelissimi estimatori Michelangelo Antonioni e chi scrive”, Goffredo Petrassi, “Giacomo Manzù che scolpì per John Huston e Renato Guttuso che ebbe affettuosa consuetudine con Luchino Visconti”. E Pratolini, “un uomo timido o parossisticamente iracondo”.
Pittura impressionista, fervore intellettuale, sodalizi umani prima che artistici, e per basso continuo Venezia. Che intende nella Morte di Thomas Mann messa in esergo: “Mantenere l’equilibrio di fronte alla fatalità, sopportare con grazia le condizioni avverse è più di una semplice costanza: è un atto di aggressione, un vero trionfo”.
E allora Valerio Zurlini ha trionfato.