il Fatto Quotidiano, 15 dicembre 2022
L’attore Charles Dance si racconta
Memento mori! Un parroco protestante che più severo e punitivo non si può. E che si diletta nel terrorizzare la comunità di un villaggio nella Norvegia settentrionale sul valore della paura contro ogni tentazione. “Ma non sono tutti così sinistri i miei personaggi!”, si difende sorridendo sir Charles Dance, squisito e stimato interprete di teatro, cinema e televisione, figura iconica dell’eleganza e cordialità che distinguono lo stile British.
Sarà pur vera la solarità della sua indole, eppure la popolarità mondiale l’ha conquistata con un personaggio ben poco bonario e che risponde al nome di Twin Lannister, tra i protagonisti della leggendaria serie tv Il trono di spade. E per restare in ambiente seriale, anche il controverso Lord Mountbatten (“un uomo che ha polarizzato il mio Paese tra odio e amore”) di The Crown non è certamente in odore di santità. “Probabilmente a intimidire è la mia altezza (oltre 1,90 cm, Ndr), la mia voce, il mio volto, per questo mi è spesso capitato di recitare il villain, l’antagonista perfido, ma non ho una particolare attrazione per il lato oscuro della forza, per dirla in citazione”. Ha ragione sir Charles, classe 1946: è probabile che drammaturghi e registi si siano fatti ipnotizzare dalla possanza della sua presenza scenica e sul set per cui nella sua lunga e prestigiosa carriera prevalgono i “cattivi” sui buoni, dal crudele di The Last Action Hero fino al più recente, appunto Jacob, il prete “padre-padrone” che imperversa in The Hanging Sun – Sole di mezzanotte di Francesco Carrozzini da martedì in programmazione su Sky Cinema e Now dopo l’applaudita premiere fuori concorso in chiusura della Mostra veneziana. Il thriller cupo e tesissimo dell’esordiente regista milanese è tratto dall’omonimo best-seller di Jo Nesbø e vede protagonista un intenso Alessandro Borghi che conferma la sua internazionale versatilità recitando in ottimo inglese. D’altra parte non avrebbe potuto sfigurare palleggiando con un Lord del palcoscenico shakespeariano come Dance. Il quale, parlando di cinema italiano, non è alla prima bensì alla quarta esperienza con cineasti dal Belpaese. “Nel 1987 recitai per i fratelli Taviani in Good Morning Babilonia, la loro presenza calda, famigliare e colta mi è rimasta come ricordo indelebile, uno dei migliori set di tutta la mia carriera”. Nel 2020 ha trovato la regia del romano Carlo S. Hintermann nel visionario The Book of Vision ed è di alcune settimane fa l’uscita di Ritratto di regina, il documentario di Fabrizio Ferri. Una scelta forse dettata dal suo profondo e devoto rispetto per Elisabetta II alla cui scomparsa “mi sono commosso come se fosse un’amica, eppure l’avevo incontrata solo un paio di volte. Mi trovavo a Toronto per lavoro, tra una ripresa e l’altra ho seguito i funerali sullo smartphone, accorgendomi di quante persone attorno a me facevano altrettanto. Segno che la ‘nostra’ monarca è stata una sovrana rispettata e forse amata un po’ ovunque, nessuno sarà più come lei”.
Di certo Charles Dance ha in comune con la sua Queen la serietà nel proprio lavoro, una professione quella dell’attore di altissima e nota tradizione oltre Manica. “Prediligo cinema e tv europei e britannici rispetto alle produzioni Usa per garanzia di qualità, eppure il mio principale nume tutelare e fonte d’ispirazione è stato l’americanissimo Steve McQueen: lui per me incarna la purezza dell’attore cinematografico”.