il Fatto Quotidiano, 15 dicembre 2022
La guerra delle lobby a Bruxelles
Vantano nei loro consigli di amministrazione politici di altissimo rango, ex primi ministri, ex segretari generali della Nato. Sono società, Ong, think tank che si combattono a vicenda a colpi di bonifici, relazioni strette e consolidate tra i corridoi di Bruxelles e Strasburgo, report da presentare e discutere per imporre la narrazione del Paese che li finanzia alle istituzioni europee, appena investite dal “Qatargate” che pare la punta dell’iceberg di un fenomeno assai più vasto che da Doha passa per Rabat. Qatar, Marocco, Abu Dhabi, Belgio, Italia, Grecia: come rivelato ieri dal Fatto, l’inchiesta della Procura belga su Pierantonio Panzeri & C. è partita da una segnalazione di servizi segreti nel contesto della guerra silenziosa in atto da anni a colpi di lobby arabe. Gli Emirati, ottavo produttore di petrolio e gas al mondo, nel 2017 hanno interrotto le relazioni diplomatiche con il Qatar, chiedendo un boicottaggio globale contro i rivali, hanno lanciato una nuova “strategia di soft power” per aumentare il proprio peso sulla scena globale e tentare di oscurare la stella di Doha, che vanta più solidi rapporti internazionali grazie al gas e che ha vinto l’organizzazione dei Mondiali di calcio. Questa spinta ha coinciso con un forte aumento della spesa globale per lobbying, quasi raddoppiata negli Usa: nel solo 2022, secondo l’osservatorio Open Secrets, gli Eau hanno investito oltre 23 milioni di dollari in lobbying oltreoceano contro i 18 del Qatar. Analoga attività Abu Dhabi l’esercita nella Ue, dove tuttavia i reali finanziamenti restano opachi per via delle regole più lasche di Bruxelles. Ma tre organizzazioni individuate dall’osservatorio della Ong Corporate Europe descrivono con nitore il fenomeno.
Il Bussola Institute ha sede a Bruxelles a meno di 300 metri dall’ingresso del Parlamento Ue dall’ottobre 2017, con un budget di 938.725 euro nel 2020, è stato fondato da esponenti dell’establishment emiratino: il suo sito internet risulta offline, così come i suoi account social, ma l’ultimo aggiornamento effettuato nel Registro per la trasparenza della Ue, a cui è iscritto da fine 2018, è del 18 marzo scorso. Nel registro si presenta come “istituto di ricerca indipendente, senza fini di lucro e non governativo, per fornire una migliore comprensione e cooperazione tra Paesi del Golfo e Ue”. Il suo ultimo presidente è stato l’ex primo ministro spagnolo, José María Aznar, e nel suo cda hanno avuto una poltrona l’ex Segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen (che nega, smentito però da foto e video sul web), l’ex primo ministro di Francia François Fillon, l’ex presidente irlandese Mary McAleese, l’ex premier croato Jadranka Kosor, l’ex commissario Ue Anna Diamantopoulou.
Il gruppo Scl ha un ruolo nella guerra di influenza sulla Ue tra le monarchie “cugine” del Golfo che si intreccia con lo scandalo Cambrydge Analytica. Come spiega Corporate Europe, la lobby statunitense Project Associates rappresenta gli Eau e ha subappaltato le comunicazioni e il lavoro di influenza a Scl, società del gruppo collegato a Cambridge Analytica che ha inserito storie nei media europei a favore degli Emirati. Dall’11 novembre 2020, Project Associates continua a rappresentare gli Emirati a Bruxelles, ma non li elenca come clienti nel registro per la trasparenza della Ue. Scl Social e Cambridge Analytica facevano parte di Scl Group, che OpenDemocracy definisce “una rete di società che ha consentito un ampio dispiegamento di strumenti di propaganda – basati su tecniche progettate per essere usate come armi di guerra – nelle elezioni democratiche. È un prodotto logico di un’industria dell’influenza scarsamente regolamentata, opaca e redditizia”. Il gruppo Scl (comprese Scl Social e Cambridge Analytica) è stato sciolto nel 2018 dopo lo “scandalo del secolo” per l’uso improprio di dati e la manipolazione politica nell’elezione Usa di Trump e nel referendum sulla Brexit nel Regno Unito, ma i suoi ex dipendenti stanno seminando nuove società simili. Nigel Oakes, ex amministratore delegato e fondatore di Scl Group, a luglio 2017 ha trasferito la residenza negli Emirati. La società Emerdata, holding di Cambridge Analytica e Scl Social, ad aprile 2019 per il 21% era detenuta da tre persone, tra cui Nigel Oakes.
Anche WGA (Westphalia Global Advisory) dal 2018 è emersa tra i lobbisti di Abu Dhabi nella Uel. Wga è stata co-fondata a dicembre 2018 da Timo Behr e Tim Eestermans, entrambi con una vasta esperienza di lavoro diretto per il governo degli Eau ed entrambi descritti da Intelligence Online come “vicini all’ambasciatore degli Eau a Bruxelles, Mohammed Issa Hamad Abushahab”. Eestermans è stato docente ospite per tre mesi all’Accademia diplomatica degli Emirati nel 2017. Tra il 2013 e il 2018 Behr ha lavorato al Dipartimento di pianificazione politica degli Emirati. Anni in cui ha infuriato la guerra in Yemen degli Eau. Secondo Intelligence Online, uno dei ruoli di Eestermans includeva attività di lobbying nella Ue anche per conto dell’Arabia Saudita contro la legge Usa contro gli sponsor del terrorismo, che consentirebbe ai familiari delle vittime dell’11 settembre di fare causa a Ryad. La missione degli Eau compare per la prima volta come cliente di Wga nel registro per la trasparenza della Ue dal 19 dicembre 2018.
L’obiettivo è sempre il medesimo: migliorare la reputazione globale di Abu Dhabi all’estero evidenziandone l’identità, la forza economica, la cultura e consolidare la sua reputazione di Paese moderno e tollerante, al contrario del vicino Qatar. Anche a colpi di relazioni e report da presentare all’Europarlamento. Un esempio: il 17 maggio 2022 l’organizzazione Droit au Droit ha presentato alla Sottocommissione per i Diritti umani (la stessa che fu presieduta da Panzeri e che ora è presieduta da Maria Arena) un report intitolato “Influenza indebita” incentrato sugli sforzi degli Emirati per influenzare la politica Ue. A parlare era il direttore Nicola Giovannini: “L’immagine positiva che gli Emirati si sforzano di diffondere cozza con la dura realtà autoritaria e repressiva affrontata da giornalisti, dissidenti e difensori dei diritti umani nel Paese”. Giovannini però è anche coordinatore media e pr di No Peace Without Justice, la Ong finita nelle peste del Qatargate, il cui segretario generale Niccolò Figà-Talamanca è tra i primi arrestati dell’inchiesta e ora sotto braccialetto elettronico.