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 2022  dicembre 15 Giovedì calendario

Biografia di Edith Wharton

«Sapeva di aver perso qualcosa: il fiore della vita. Ma ora lo considerava talmente irraggiungibile e improbabile che dolersene sarebbe stato come disperarsi per non aver vinto il primo premio alla lotteria. Nella sua lotteria c’erano cento milioni di biglietti, e un solo premio; le sue probabilità erano state decisamente troppo scarse. Quando pensava a Ellen Olenska, lo faceva in astratto era diventata la visione composita di tutto quello che aveva perduto». Così Newland Archer, ne L’età dell’innocenza, ricorda il suo amore per la contessa Olenska. Amore mai vissuto sino in fondo e per questo idealizzato e rimpianto, come si fa con le passioni troppo intense alle quali non abbiamo avuto il coraggio di abbandonarci.
PRIORITÀ
La vita è una questione di priorità e scelte, di strade prese o rifiutate, di porte che abbiamo aperto o chiuso alle nostre spalle. Ben lo sapeva l’autrice de L’età dell’innocenza, quella Edith Wharton che è stata - insieme a Henry James - la narratrice della Gilded age, l’età dorata, secondo la geniale definizione di Mark Twain. Quella età dorata che gli Stati Uniti vivono dopo la guerra civile, o di Secessione. Dal 1870 circa, infatti, l’America conosce un periodo di rinascita, benessere, fiducia (almeno per alcuni), che durerà sino all’inizio del secolo successivo. Nel rimescolamento di carte che è sempre il dopoguerra molti perdono i loro patrimoni, altri costruiscono nuove fortune, con metodi non esattamente irreprensibili. Sono i barons, i baroni dell’industria e della finanza, che si fanno largo a gomitate. Accumulano immense quantità di denaro, sulle prime vengono socialmente osteggiati in quanto nuovi ricchi, poi riescono a farsi accettare dagli esponenti dell’old money, costruiscono meravigliose dimore nelle loro città e nei luoghi di vacanza - celeberrimi restano i palazzi di New York e a Boston, nonché le mansions a Newport. Diventano famosi nomi come Vanderbilt, Astor, Frick, Morgan, Stewart Gardner, e famose sono le loro case, i loro parchi, le loro collezioni d’arte (basti pensare a quella che è oggi la stupenda Frick collection di New York). Gli uomini d’affari si fanno mecenati, secondo quel lontano principio protestante per cui il denaro è una benedizione individuale che deve in qualche modo portare beneficio e vantaggi all’intera comunità. Agevolati da un regime fiscale che asseconda questa vocazione filantropa.
GLAMOUR
A coronamento della loro ascesa, fanno sposare le figlie con i nobili d’oltre oceano. Nonostante una snobista prevenzione degli inglesi upper class nei confronti degli americani, finisce che l’aristocrazia del denaro si mescoli a quella del sangue. Basti pensare a Consuelo Vanderbilt, dipinta da Boldini, che sposa il duca di Marlborough. Un matrimonio infelice, indirettamente descritto dalla Wharton ne I Bucanieri, ma molto glamour. Dietro lo sfarzo, l’eleganza, i balli, le feste, i viaggi in Europa, la passione per città come Venezia, dietro lo scintillio così ben dipinto da Singer Sargent o Boldini, però, tutto obbedisce a un solo dominus: l’interesse. Una parola che ne comprende molte altre. Edith Wharton e Henry James descrivono magistralmente questo mondo in apparenza lieve come una farfalla, in sostanza feroce come il Far West. I soldi, il potere, i buoni matrimoni, l’ascesa sociale, l’affermazione e la forma sono tutto ciò che conta. Per averli, ogni mezzo è consentito.
La futura scrittrice - che nasce a New York nel gennaio 1862 con il nome di Edith Newbold Jones - lo sa, poiché appartiene all’alta società. Sposatasi con il banchiere Edward Robbins Wharton, sarà costretta poi a separarsi perché il marito soffre di turbe mentali. Dopo la fine del matrimonio, la Wharton va a vivere a Parigi, come molti americani fra cui il suo personaggio forse più noto, la contessa Olenska de L’età dell’innocenza. Romanzo che deve il nome a un dipinto del 1785 di Joshua Reynolds, e per il quale la Wharton vincerà, prima donna nella storia, il Pulitzer nel 1921. Sarà trasposto in un film da Martin Scorsese con Winona Ryder nei panni della candida May Welland, fidanzata e poi moglie di Archer (l’ambiguo Daniel Day-Lewis), e di Michelle Pfeiffer in quelli della seduttiva ma onesta Ellen. «Ci sono due modi di diffondere la luce: essere la candela oppure essere lo specchio che la riflette», scrive Edith Wharton. Nei suoi libri, a riflettere la luce sono a volte i personaggi che la società condanna.
In Francia (dove morirà nel 1937), la Wharton diviene molto amica di Henry James: nelle loro conversazioni si torna spesso ai tempi andati, con profonda nostalgia. James dirà: «Se ogni giorno avessi anche una sola ora per strizzare la spugna del passato, sarei felice». Come la Wharton, è un attento osservatore della lotta fra vecchi e nuovi ricchi. Ed è sempre lui, in Ritratto di Signora, a evocare ciò che un certo mondo, ormai lontano, significa per tutti loro: «La pace, la gentilezza, gli onori, il possesso, una grande sicurezza e un profondo distacco». Aspirazioni, valori che hanno caratterizzato l’età dell’innocenza e che sono andati perduti, una volta entrati nella vita reale.