Anteprima, 28 novembre 2022
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Biografia di Renato Balestra
Renato Balestra (1924-2022). Stilista. Imprenditore. «Sono nato in via Udine bassa, mi ricordo ogni dettaglio di quella casa: vivevamo con mia nonna, ma solo mia mamma aveva un po’ di interessi artistici. Da lì ci siamo trasferiti in viale XX Settembre, l’ultima casa sotto la scalinata. Ci ho passato tanti anni: ero iscritto al liceo Oberdan, mi ricordo le passeggiate tra studenti, ogni giorno facevamo tutto l’Acquedotto a piedi, e poi c’era Zampolli, che era il massimo col suo gelato. Amavo concerti e lirica, e per un posto al Verdi in piedi, o in galleria e loggione, stavo in fila per ore. Trieste era piena di fermenti culturali» (ad Arianna Boria) • «Trieste mi ha insegnato tutto quello che so. Si viveva immersi nella cultura mitteleuropea. Dipingevo, suonavo il pianoforte, avrei voluto fare il concertista» (a Terry Marocco). «Ho cominciato a suonare il pianoforte a sei anni. Arrivai quasi a un livello concertistico, ma a casa mia non c’erano grandi aspirazioni artistiche. Solo un fratello di mia madre, che non ho conosciuto, amava la musica, e a casa, da piccolo, ritrovai molti dei suoi libretti d’opera. Tra tutti, ne preferivo uno che aveva una bellissima copertina con una cornice viola: erano gli Iris di Mascagni. Avevo appena imparato a leggere e naturalmente non conoscevo le opere, ma leggevo e inventavo io la musica e la cantavo. […] Mio padre era architetto, e a tutti i costi voleva che diventassi ingegnere». «La prima volta che ha preso una matita in mano per creare un abito? “Lo ricordo perfettamente, ero all’ultimo anno di Ingegneria. È stato per fare un piacere a una mia amica”» (Ilaria Grillini) • «“Era la più elegante della scuola, e aveva comprato una stoffa celeste a pois blu scuri, che poi ho scoperto fosse organza, perché non conoscevo i tessuti. Voleva farsi un vestito e non trovava niente. Io già disegnavo molto: la mia giornata era musica e disegno. Spinto dagli amici e per non scontentarla, buttai giù un figurino, che poi lei diede alla sua sarta di Trieste. La cosa finì lì. Poi, dopo qualche mese, mi chiamano dall’Ufficio della moda di Milano, all’epoca già istituito, e mi dicono che una casa d’alta moda voleva vedermi”. E chi era? “Jole Veneziani. Approfittai di un viaggio premio che, agli ultimi anni di Ingegneria, offrivano agli studenti più promettenti. Immaginatevi con che cuore io andavo a visitare fabbriche. Comunque passammo per Milano e andai a trovare quella signora: avevo con me dei disegni ambientati in un palazzo, in un giardino, sembravano dipinti più che figurini di moda. Lei mi propose di disegnare la sua prossima collezione. Mi offrì abbastanza soldi. Ero uno studente squattrinato, così mi dissi: io provo. Chiamai i miei e dissi loro che già mi avevano tarpato le ali con la musica, che mi prendevo sei mesi e se non ce l’avessi fatta sarei tornato. È cominciato tutto così. In atelier, finite le prove, mi caricavo i rotoli di stoffa sulla spalla e li portavo in magazzino. La signora Veneziani mi diceva che non spettava a me farlo: in realtà il magazziniere mi insegnava i nomi dei tessuti. Così ho imparato”. E poi? “Avevo cominciato a vedere altre case di moda. Jole Veneziani lo sospettava, e un giorno mi chiese di portarle un disegno mio che aveva scartato, così dovetti confessare che li avevo venduti tutti. Da quella volta le mie azioni salirono. Disegnavo anche per altri. Poi le sorelle Fontana mi offrirono un posto fisso da loro a Roma, e lì imparai veramente come si fa un figurino. Lavorai un po’ con loro, ma io ero arrivato a Roma di proposito: la moda tutto sommato mi stava un po’ stretta, volevo creare anche per il cinema, per il teatro. La capitale all’epoca era il non plus ultra… Disegnavo per diverse case e mi mantenevo così”. Poi ha aperto la sua… “Da Fontana avevo conosciuto una signora che si chiamava Madelyn Fiorito, una delle prime buyer americane per i grandi magazzini: mi aveva preso molto in simpatia. Una volta passando per via Gregoriana mi disse: ‘Ho trovato l’atelier per te. Te l’ho già prenotato per sei mesi’. Così cominciai. Lei mi introdusse negli Stati Uniti, nei grandi magazzini sulla Quinta Strada, poi pian piano mi invitarono in America a fare le collezioni”» (Boria) • «La prima sfilata Renato Balestra? “La feci in casa per amici americani”. […] Lei ha vestito il mondo: dive del cinema, principesse e first lady. La più bizzarra? “Ne ho vestite tante. Tutta Hollywood, e non solo, è passata da me. Una che ricordo sempre con piacere è Imelda Marcos. Non conoscendo le vicende politiche, ho vissuto i miei viaggi nelle Filippine come un sogno. Lei non era capricciosa. Ordinava tantissimi abiti, e se le piaceva un modello ne faceva fare di diversi colori. Aveva una collezione di gioielli meravigliosa e si diceva fosse più bella di quella della regina d’Olanda”. Certamente non le mancavano le scarpe! “Ma quella è una leggenda. Ne aveva tante, ma perché all’epoca a ogni abito veniva abbinata la sua scarpa. Erano altri tempi!”» (Grillini). «“Farah Diba è stata una delle prime che ho conosciuto: sono andato spesso a palazzo. Intimidito? No, forse un pochino all’inizio, ma lei era gentilissima, educatissima, deliziosa, per cui il rapporto fu sempre piacevole”» (Boria) • «Io ero sempre su un aereo: ho girato il mondo, a volte con la mia valigetta e senza neanche un assistente. Ero molto avventuroso. Una volta mi trovavo alle Filippine, ricevuto in pompa magna, e son voluto andare a visitare i paesi del Nord. Così sono sparito, senza dire niente a nessuno, perché volevo andare da solo. A un certo punto qualcuno disse che avevano visto una specie di hippy biondo, ma educato, che se ne andava in giro. Quando sono riapparso mi hanno sgridato in tutti i modi, ma me la sono goduta» • In patria ebbe grande popolarità, nei primi anni Duemila, dalla partecipazione alla trasmissione di Rai 2 Chiambretti c’è • Nel 2019 la Soprintendenza archivistica e bibliografica del Lazio dichiarò di «interesse storico particolarmente importante» l’archivio dello stilista, cui peraltro Balestra attinse per allestire, tra il 2018 e l’inizio del 2020, in varie città italiane (da Domodossola a Monza, da Napoli a Forte dei Marmi a Firenze) la mostra antologica itinerante «Celeblueation», che presentava una selezione degli abiti e dei bozzetti realizzati nel corso della sua vita • Nel febbraio 2022 «Renato Balestra ha scelto di passare la mano del suo impero. Gli succedono le figlie Fabiana e Federica e la nipote, Sofia Bertolli Balestra, che traghetteranno lo storico brand verso le nuove generazioni. La prima collezione di prêt-à-porter ha debuttato alla Fashion Week di Milano nel febbraio scorso. Dopo teste coronate e attrici internazionali, […] oggi la sfida è conquistare il pubblico dei millennial e della Generazione Z. […] Signor Balestra, lei ha ceduto lo scettro. Ma si è riservato una nicchia? “Ho passato la mia vita in quella nicchia. Eccome, se me la sono riservata. Ma oggi è cambiato tutto, compreso il modo di concepire come vestirsi, come comportarsi. Non ci sono più i grandi balli, le grandi feste, le grandi occasioni: il nostro modo di essere e di vestire si è trasformato. È giusto che lo facciano i giovani, che forse sono più allenati”» (Boria) • «Com’è nato il famoso Blu Balestra? “È nato in tanti modi. Ricordo mia madre che raccontava di me da piccolo e diceva che mi dava cinque o sei vestiti e io sceglievo sempre quello blu. Mi è sempre piaciuto questo colore, e giacche da uomo blu sono sempre state difficili da trovare, così ho iniziato a usare i tessuti da donna, che facevo tingere di questo colore, per farmi fare delle giacche”» (Grillini) • Divorziato, due figlie • «La chirurgia estetica aiuta a sentirsi sempre giovani? “In certi casi aiuta, ma non è il mio. Io sono solo un ‘cream addicted’: uso tantissima crema. E poi non è colpa mia se non ho le rughe e le mie labbra sono così, al naturale. Non le ho mai ritoccate, ed è tutta la vita che me lo chiedono”. Doveva essere molto bello da giovane. “Sono stato tra i dieci uomini più belli d’Italia, tra i dieci più eleganti del mondo. Sapevo che avevo un particolare ascendente sugli altri, questo sì, ma, come dice anche Claudia Cardinale, non mi sono mai sentito bello”» (Marocco). «Ho fatto un solo intervento, di cui mi sono pentito. Avevo un complesso enorme per una gobbetta al naso. Ho fatto l’intervento in America, e non se ne è accorto nessuno» • «Durante la carriera ho fatto diverse produzioni teatrali: la mia prima è stata per Zeffirelli, una grande conquista, e da lì mi sono innamorato del teatro. Era anche un amico. Ho conosciuto Pavarotti, e sono anche un grande amico di Grigolo» • «“I sarti non devono lanciare messaggi politici con le loro creazioni: devono fare belle cose, piccole opere d’arte, ogni stagione dovremmo inventare qualcosa e non attaccarci al carro delle novità politiche e sociali”. Chi lo fa? “C’è qualcuno in Francia, e qualcuno in Italia, per fortuna non sono molti: sfruttano ogni appiglio per farsi pubblicità, dai bambini abbandonati alla Madonna. Farei presto a farmi pubblicità così: mando in passerella una donna nuda, con una rosa infilata nel sedere, e i giornali parleranno solo di me”» (Marocco) • Morto a Roma, nella clinica Mater Dei (biografia a cura di Simone Furfaro).