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 2022  novembre 08 Martedì calendario

Biografia di Edoardo Nesi

Edoardo Nesi, nato a Prato il 9 novembre 1964 (58 anni). Scrittore. Traduttore. Imprenditore. Politico. Vincitore del Premio Strega 2011 con Storia della mia gente (Bompiani). «Nei rapporti economici io vedo sempre il sentimento. C’è qualcosa di poetico ogni volta che metti dei soldi per determinare la tua vita. L’economia è tutt’altro che fredda» (a Francesco Specchia) • Figlio dell’imprenditore tessile Alvarado Nesi: dall’azienda di famiglia, il Lanificio T.O. Nesi & Figli, fondato a Prato dal bisnonno nel 1926 e ceduto nel 2004, «sono usciti tessuti che hanno raggiunto tutte le parti del mondo. Soprattutto la Germania, dove le belle lane di Prato erano considerate fondamentali per cucire cappotti resistenti al freddo degli inverni nordici» (a Matteo Sacchi). «Da piccolo voleva diventare imprenditore o scrittore? “Ero chiuso, timido, permaloso. Stavo sempre in casa a leggere. Divoravo fantascienza: mi affascinava il progresso. Dai 14 ai 18 anni, ho scritto racconti in cui c’era sempre un personaggio tipo me, un po’ triste, solitario, a cui succedevano cose clamorose e importanti. Crescendo, l’idea di entrare in fabbrica, come volevano i miei, non mi attirava, ma loro sapevano che avrebbero vinto: io, una vera vocazione, non l’avevo. A Giurisprudenza, dove ho dato solo cinque esami, mi sono iscritto incantato da una scena del Verdetto. C’è Paul Newman che sull’arringa finale si blocca, con un foglio fra le mani. Quando finalmente si riprende, dice: ‘Nella vita perlopiù ci sentiamo smarriti’”. E perché lei sentì suo quello smarrimento? “Lui sa di aver ragione però sta perdendo, ma io quando lo vidi in quell’aula, in quella penombra tagliata da una lama di luce… Be’, mi rovinò Newman. È così che mi sono sentito finché non mi sono sposato: sempre male, sempre nell’incomprensione delle cose”» (Candida Morvillo). «A proposito di suo padre imprenditore a Prato, lei racconta di uno screzio avuto con lui perché non voleva aumentare lo stipendio ai suoi artigiani. E lui le mostrò che non sempre la classe operaia ha ragione… “Fu una lezione. Non sono mai stato comunista, ma certo rientravo in azienda, dalla scuola, dall’ambiente, imbevuto da princìpi di giustizia sociale in cui fioccavano gli stereotipi: noi eravamo i padroni ricchi e loro il proletariato da sfruttare. Sollevai una questione etica e dissi che dovevamo acconsentire a tutte le richieste degli artigiani. Mio padre mi fece notare che gli artigiani avevano parcheggiato le Mercedes dietro l’angolo e che quella era in realtà una trattativa. E dal loro punto di vista avevano anche il coltello dalla parte del manico, con macchinari e telai migliori di quelli delle aziende”» (Specchia). «Suo padre che, con lei ragazzino, a guardare la skyline di Los Angeles, le confessa la soddisfazione d’esser arrivato sin lì, “da nipote di ciabattino e figlio di tessitore”. “Già, e poi mi disse che il mondo era libero e immenso e pieno di promesse e di felicità e di prosperità, e che se mi fossi impegnato, se avessi lavorato quanto aveva lavorato lui, mi sarebbe andata cento volte meglio. E ogni giorno capivo che era vero. A Narnali, a Prato, si vedeva creare benessere dalle fabbriche: per noi, per le persone che lavoravano per noi, per gli operai. Piano piano ognuno si arricchiva, migliorava il proprio stato”» (Goffredo Pistelli). «“Prima di sposarsi, il ragazzino triste e solitario si era messo a divertirsi… Ero pieno di energie e curiosità e le seguivo tutte, ma non mi divertivo mai davvero, un po’ soffrivo sempre. Mia moglie mi ha fatto capire che il divertimento non mi portava da nessuna parte. Mi ha riportato sulla Terra. E cominciai a scrivere seriamente solo dopo aver sposato Carlotta”. “La mia eterna fidanzata bellissima”: la definisce così, in un libro. “È molto bella, molto intelligente. Le devo tutto. Ci siamo fidanzati che avevo 19 anni, sposati che ne avevo 29. Mi ha visto in tutte le fasi: studente fallito, imprenditore fallito… Ed è sempre stata lì. Mi è sempre stata di aiuto in tutto”» (Morvillo). «Per undici anni, dal 1993 al 2004, […] cercai di fare tutte e due le cose insieme, l’industriale e lo scrittore, in una folle commistione di ruoli che riscuoteva l’invidia e l’ammirazione dei miei colleghi imprenditori – molti dei quali convinti che dentro di loro si nascondesse un artista – e la sorpresa sospettosa degli scrittori che via via conoscevo – molti dei quali convinti che sarebbero stati capacissimi di dirigere un’azienda». L’esordio editoriale nel 1995, con Fughe da fermo (Bompiani). «I lupi dentro era il titolo che avevo scelto per il mio primo romanzo – quello che poi è diventato Fughe da fermo –, finché un amico mi disse: “Sembra il titolo di una canzone di Malgioglio”. Pensai che avesse ragione e decisi di cambiarlo, ma ne fui addolorato perché è una frase molto forte. L’ha detta anche Jim Morrison: “Le poesie hanno i lupi dentro, salvo una: la più meravigliosa di tutte. Lei danza in un cerchio di fuoco e si sbarazza della sfida con una scrollata”. Mi ero ripromesso di inserirla in un romanzo alla prima occasione [il titolo è citato all’interno del romanzo La mia ombra è tua, del 2019: vedi oltre – ndr]». «Il mio primo libro, nel 1995, ebbe un moderato successo: 2 mila copie e qualche recensione. Il successivo andò malissimo, come il terzo e il quarto. Nel 2004, L’età dell’oro arrivò secondo allo Strega. Quello dopo, nel 2007, di nuovo malissimo. Fino allo Strega». «In mezzo, ha mai pensato di smettere? “Ho avuto la fortuna di avere un editore, Elisabetta Sgarbi, che mi ha sempre trattato come autore di successo anche quando non lo ero”» (Morvillo). «La storia però nel frattempo aveva fatto la sua inversione a U, il fatturato della ditta si riduceva anno dopo anno, mese dopo mese, e alle aste contava solo il prezzo e “perdevamo sempre perché c’era sempre qualcuno più disperato di noi disposto a fare il prezzo romeno e poi andare a strozzare i piccoli artigiani più disperati di lui”» (Dario Di Vico). «Sono arrivati i primi conti in rosso, l’ossessione dei libri contabili. Alla fine si lavorava non per guadagnare ma solo per mantenere in vita la fabbrica» (a Mirella Serri). «Se lei, nel 2004, non avesse chiuso il Lanificio T.O. Nesi & Figli, avrebbe trovato il coraggio di scrivere e basta? “È una domanda enorme. So che lavorare in azienda mi piaceva”» (Morvillo). Il libro che nel 2011 gli valse il premio Strega, Storia della mia gente. La rabbia e l’amore della mia vita da industriale di provincia (Bompiani, 2010), fu concepito in seguito alla cessione dell’azienda di famiglia: «Mentre ormai anche gli sconosciuti si avvicinano a me per complimentarsi di aver venduto l’azienda, […] non riesco a togliermi dalla testa quell’“& Figli” che suggella il nome del lanificio, quell’annuncio di continuità che era un richiamo e un augurio, una promessa fatta per me ormai sessant’anni fa da un nonno che non ho mai conosciuto. […] Ora so che scrivere romanzi non mi basta. Non mi può bastare. So che devo provare a scrivere la mia storia e quella della mia gente, come diceva Fitzgerald in una delle ultime disperate lettere al suo agente mentre cercava di descrivere The Love of the Last Tycoon, il meraviglioso romanzo sul cinema e sulla ricchezza e sull’innamoramento che non gli riuscì di finire perché il 21 dicembre del 1940, in quella Los Angeles che non lo amava, gli si spense il cuore. Questo proverò a fare, prima che si spenga anche il mio». «In Storia della mia gente, dopo che il sistema di Prato è fallito, io volevo che almeno non andasse dimenticato. […] Storia della mia gente era nato come trattatello economico e non ha funzionato finché non mi ci sono messo dentro io» (a Edoardo Rialti). Nel 2012 uscì Le nostre vite senza ieri (Bompiani). «Se Le nostre vite senza ieri ha un personaggio che resta impresso, è un vinto, l’industriale Ivo Barrocciai, che non a caso era già stato il protagonista de L’età dell’oro. Ormai anziano, ricoverato in un ospizio e vittima dei farmaci, Ivo improvvisa da mattatore un one man show alla Gassman in cui racconta a infermieri e pazienti i fasti della sua ditta e la vita da magnate del tessile. […] Barrocciai e Prato qui diventano metafora dell’Occidente» (Di Vico). Nel 2015 fu la volta di L’estate infinita, anch’esso edito da Bompiani. «“La vita è oggi. Maremma merdaiola. Oggi”: con questo grido torna uno dei più grandi personaggi della letteratura italiana: Ivo Barrocciai, già protagonista de L’età dell’oro. Il suo autore, Edoardo Nesi, lo fa tornare ne L’estate infinita – Bompiani, romanzo straordinario, forse il grande romanzo che tutti aspettavano, epica dell’Italia anni Sessanta-Settanta, tra lavoro, amore e sogni realizzati. “Di tutti c’era bisogno, e per tutti c’era spazio, nel 1975 a Milano, in Italia”, scrive Nesi. C’era davvero spazio per tutti? “Per chi aveva voglia di fare. Questo romanzo è una macchina del tempo che ti riporta negli anni in cui era possibile fare: avere un sogno imprenditoriale, e trovare un mondo intorno che non ti scoraggiava”. Rimpianto o un invito a guardare al passato? “In Storia della mia gente raccontavo il fallimento totale. Ho pensato: non è giusto raccontare la fine di una cosa bella senza raccontare la cosa bella. Tutto qui”. È stato più facile attraverso Ivo Barrocciai? “Barrocciai per me è il modo di tornare a casa. La sintesi del meglio, di me e di tutte le persone che ho conosciuto: il coraggio, la vocazione, la resistenza”» (Teresa Ciabatti). La mia ombra è tua, del 2019, fu invece pubblicato da La nave di Teseo, casa editrice alla quale Nesi era nel frattempo passato, al seguito di Elisabetta Sgarbi: «L’editore è una persona, non un’azienda. È un amico che ti segue e ti coccola, non un amministratore che firma contratti e stacca assegni. È il pastore delle tue opere: per 15 anni Elisabetta ha pubblicato libri miei che non avevano neppure l’ombra del successo, e senza mai rimproverarmelo. Non mi ha mai abbandonato. Come potrei non stare qui con lei, adesso? Come potrei non salire sulla Nave di Teseo?» (a Francesco Merlo). «Con i due protagonisti, Emiliano De Vito e Vittorio Vezzosi, Nesi ci fa divertire un sacco. […] Emiliano è una “brillante promessa” con la testa piena di versi poetici e gusto per la bellezza, Vittorio invece è già un “solito stronzo”, che sulla scrivania ha cocaina e computer, per sfornare un secondo romanzo che stia alla pari di I lupi dentro, sua opera prima e unica che gli ha dato fama e una certa credibilità da guru. Ci vorrà la narrazione di Nesi perché il Vezzosi diventi “venerato maestro” per Emiliano, con un epifanico viaggio insieme in auto e varie scoperte esistenziali, mentre fuori scorre questo folle mondo in mutazione, che Nesi cattura con arguto ardore da castigamatti. […] “Divisi da una trentina d’anni, […] entrambi hanno una cosa in comune: sono malati di letteratura”. Perché? “Perché a me personalmente la letteratura ha salvato la vita. Da sempre quando ho momenti di difficoltà mi metto a leggere qualcosa di bello, e questo mi fa da balsamo. Ho voluto che i due fossero come me, che considerassero il sapere come il cuore pulsante delle loro vite”» (Stefania Vitulli). Da ultimo, nel 2020, ha pubblicato Economia sentimentale (La nave di Teseo). «Io non potevo fare un libro sul Covid: ho voluto fare un racconto dell’economia nella pandemia». «In Economia sentimentale racconta di Muhammad Ali e del giorno in cui stava per finire al tappeto, e dice che lei invece un giorno, al tappeto, ci è andato e ci è rimasto per mesi e mesi. Qual è quel giorno? “Quello in cui è morto mio padre. […] Il libro nasce dal tentativo di riprendere una vita normale dopo la botta più forte della mia vita. Lui è stato, insieme a mia moglie, il mio punto di riferimento, il mio idolo. Fino ai miei 18 anni, abbiamo parlato poco: era un padre della sua generazione, stava sempre in fabbrica, l’ho conosciuto solo lavorando con lui. Mi faceva da guida, mi insegnava un mondo complicato. Insomma, volevo scrivere di lui, ma le parole non mi venivano: poi ho capito che il babbo, per me, è sempre stato la decodificazione del mondo attraverso l’economia, e ho capito che il libro poteva nascere solo mettendo insieme le due cose”» (Morvillo). «Edoardo Nesi aveva ragione. Glielo riconoscano tutti. Libro dopo libro, ha costruito un’originale operazione nostalgia nei confronti dell’Italia benestante degli anni Ottanta: storie di lavoro, amore e benedetti soldi fra distretti produttivi e località balneari. […] Nell’ultimo Economia sentimentale (La nave di Teseo), reportage dell’anno del virus, dopo aver fatto parlare alcuni osservatori del pessimo presente ripensa a quell’età dell’oro: “Stavo crescendo nell’Italia migliore di sempre, e la vita era dolce come il miele”. Nel 2020 solo il decrescista più ottuso può dubitare di tale affermazione. Nesi è maestro nel mostrare come i soldi giovino allo spirito, come in fondo alla caduta materiale non si trovi francescanesimo ma disperazione. Non è un economista, non è un sociologo, è un narratore che conferma come la letteratura sia insuperabile nel rivelare un’epoca a partire da un dettaglio» (Camillo Langone) • Varie traduzioni all’attivo (tra gli altri, libri di David Foster Wallace, Francis Scott Fitzgerald, Stephen King) • «Ho anche scritto e diretto il film Fughe da fermo, tratto da un mio racconto, che mette in scena una storia di vitelloni di Prato che reagiscono al vuoto esistenziale organizzando gratuiti atti di rivolta» • Sposato, due figli: Ettore e Angelica • La moglie – anch’essa peraltro figlia di un importante imprenditore tessile di Prato, Sergio Carpini, spesso citato nei romanzi di Nesi – «legge i miei libri man mano che scrivo. È una tale lettrice fantastica che il mio editore americano chiede a lei cosa pubblicare» • Assessore alla Cultura e allo Sviluppo economico della Provincia di Prato dal 2009 al 2012, si dimise dalla carica per candidarsi alla Camera nelle file di Scelta civica: divenuto deputato nella XVII legislatura (2013-2018), confluì nel gruppo misto dopo che Mario Monti ebbe abbandonato il partito, e alle successive elezioni non si ricandidò. «Sono stati cinque anni difficili. Per stare in Parlamento, si deve esserci un po’ nati, un po’ portati: è una cosa più da avvocati, da commercialisti, e chi viene dall’impresa fa fatica. […] La cosa buffa è che io non mi iscrissi nemmeno a Scelta civica: mi candidai in corsa e crearono il partito quando ormai ne ero uscito. Non feci in tempo. Renzi, devo dire che lo stimo molto: secondo me ha grandi doti, con qualche difficoltà di carattere, peraltro abbastanza nota, ma è uno che ha i numeri» • «Davvero ha tatuato “Alvarado”, il nome di suo papà, sul braccio? “È stato il primo dei miei 15 tatuaggi. Lui ne fu onorato. Poi ho tatuato i nomi di mia moglie, dei miei figli, frasi di Francis Scott Fitzgerald, ‘rage, rage against the dying of the light’ di Dylan Thomas: ‘infùriati, infùriati contro la morte’. Sul cuore ho la scritta ‘per sempre’”» (Morvillo) • «Io e il Vezzosi condividiamo la stessa fissazione per le prime edizioni in lingua originale dei romanzi di scrittori americani e inglesi. Dopo averli letti è bello poterli osservare e toccare. I libri di carta sono degli oggetti fenomenali e vederli uno accanto all’altro, tutti diversi, nella libreria è splendido. È una delle cose della vita che, ancora oggi, mi emozionano» • L’intestazione del suo profilo Twitter, prima che lo chiudesse per mancanza di tempo, riportava: «Prato, sempre Prato». «Lo sguardo dev’essere – sempre – parziale. Non può accontentarsi d’essere particolare. Parzialissimo bisogna che sia. Vanno amati e raccontati i nostri posti. Questo vuol dire “Prato, sempre Prato”» • «Fisico prestante, da mangiafuoco, che nasconde l’animo dello scrittore di talento» (Antonio Gnoli). «Ha la barba brizzolata di Francesco Piccolo, i capelli lunghi e ricciuti di Alessandro Baricco e lo sguardo fiero di Diego Abatantuono» (Joseph Sorcier) • «La prosa di Nesi va veloce come un telaio della sua Prato. […] Nesi ha un lessico spettacolare: “figlioli” al posto di “figli”, “vo” al posto di “vado”, “fare forca” per “marinare”, “malestro” per “danno”, “diaccio” per “freddo”, “sortito” per “uscito”, “avviare” per “cominciare”, “garbava” per “piaceva”, “grullo” per “scemo”, e “cenci” per designare i vestiti delle grandi catene low cost… Insomma, Collodi al tempo del Covid. Con un vocabolario tale, e col ritmo succitato, si può scrivere qualunque cosa, un libro di viaggi, un libro di cucina, un libro di fiabe, e sarà sempre imperdibile» (Langone) • «Nelle sue pagine lei cita spesso Fitzgerald e Il grande Gatsby. È il suo maestro? “È sempre stato il mio scrittore-guida, anche se ovviamente è una vetta ineguagliabile”» (Serri) • «Adoro le fabbriche. […] Mi garba il meccanismo della creazione di valore, e di denaro. Trovo sia molto letterario». «In Italia, specie da sinistra, si è pensato che la crescita economica fosse acquisita come un qualcosa di “dato”. Con un luogo comune si diceva: gli industriali fanno il nero, ci guadagnano, è un dovere morale colpirli. Ora invece c’è un cambio di paradigma: l’industria va sostenuta, “crescita” diventa parola sacra, come lo era stato per molti “decrescita felice”, che in realtà era una gran cazzata» (Specchia). «Mi è stato insegnato che il progresso […] è togliere le persone dalla povertà, farli vivere dignitosamente» (a Nicola Mirenzi). «Ci sono parecchie cose che non vanno, diciamo. La libertà personale è sempre più minacciata: siamo sempre meno in grado di fare come cazzo ci pare, le proibizioni e i sensi di colpa che ci viene chiesto di provare son sempre di più» • «Quello che oggi mi manca, e che cerco di raccontare in tutti i modi, è la promessa che il futuro ti porti del bene. Questa promessa, devi averla: sennò come fai a impegnarti?» (Morvillo) • «Come s’immagina da vecchio? “Mi sto avviando verso questa cosa, e questa, sì, sarà divertente”» (Morvillo).