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 2022  novembre 16 Mercoledì calendario

Biografia di Nada (Nada Malanima)

Nada (Nada Malanima), nata a Rosignano Marittimo (Livorno) il 17 novembre 1953 (69 anni). Cantante. Cantautrice. «Ho letto da qualche parte che Nada in sanscrito significa suono, e io da sempre inseguo un suono che so di trovare solo dentro di me. L’importante è continuare a cercare» • «Perché ti hanno chiamata Nada? “Mia madre mi raccontò che una zingara leggendole la mano disse che avrebbe avuto una bambina che avrebbe viaggiato e avuto successo. Il nome della zingara era Nada. Per questo mi chiamò così. Non so se la storia sia vera. Mi piace pensarlo”» (Antonio Gnoli). «Lei che bambina era? “Una figlia come le tante di Gabbro, un paesino di mille persone vicino a Livorno, dove non c’era molto altro, oltre alla vita di campagna. Mamma vendeva i polli in piazza, papà faceva il contadino. Io ero appartata e chiusa, molto solitaria, anche se poi – in paese – tutti sapevano che facevo le recite e cantavo e mi vedevano come non ero, ma come volevano loro. Questa cosa mi faceva arrabbiare, diventare scontrosa e prepotente”» (Candida Morvillo). «Provengo da una famiglia contadina, i miei non avevano studiato e quindi non ho mai avuto libri intorno da piccola. Ho iniziato a leggere spinta proprio dal desiderio di uscire da un ambiente che sentivo stretto. Ricordo che a Gabbro, la frazione di Rosignano Marittimo dove sono cresciuta, il parroco del paese gestiva una piccola biblioteca in cui passavo molto tempo immersa nella lettura» (a Guido Andruetto). «“Mio padre era un uomo silenzioso, sempre presente e vicino, timido e importante per noi. Ma sono stata cresciuta da una famiglia di donne. […] Il rapporto con mia mamma è stato bello perché c’era un grande amore, ma complicato perché soffriva di depressione da quando sono nata. Ho sempre vissuto tra questi alti e bassi, sempre a rincorrere e capire l’amore di questa donna che mi sfuggiva continuamente perché aveva un problema molto serio”. Cantava per farla felice? “Mia mamma nei momenti di lucidità si appassionò alla mia voce: l’interesse da parte sua nei miei confronti si accendeva solo quando cantavo. Cantavo per lei, non per me”» (Renato Franco). «Hai iniziato prestissimo a cantare. “Ero poco più che una bambina. Avevo 14 anni. Già cantavo dalle suore, con i ragazzi della scuola, nelle feste di paese. Mia madre spingeva. Mi portò a Livorno, a pochi chilometri da dove abitavamo, a una scuola di musica. Non è che fossi così entusiasta”. Poi che accadde? “Fui scoperta da un signore che girava l’Italia a caccia di talenti canori. Ero piccina, aggraziata, con un vocione incredibile. Parlò con i miei invitandoci a Roma per un’audizione”. Fosti contenta? “Lo furono i miei genitori. Avevano fatto il viaggio di nozze a Roma. Ritornarci, alberghi e pasti pagati, era il massimo per loro”. E tu? “Un misto di costernazione e smarrimento. Della serie ‘che ci faccio qui?’. Feci l’audizione e fui immediatamente messa sotto contratto. Sarebbe stato il sogno di ogni ragazza. Per me fu come atterrare su una piantagione di cactus”» (Gnoli). «Io, mentre il destino faceva il suo lavoro accompagnandomi nel mio tragitto, sentivo una tristezza che mi faceva stare male. Per la prima volta salii su un treno. Gabbro si allontanava sempre di più, con la mia adolescenza interrotta. Poi piano piano cominciai a orientarmi in quella grande città. Fu da lì che una sera di fine gennaio io, mia madre e mio padre salimmo su un altro treno, questa volta verso Sanremo». «Nada debutta nel 1969 a Sanremo con la canzone che le cambierà la vita: Ma che freddo fa. La giovanissima ragazzina toscana non ha nemmeno 16 anni, ma quella voce matura in un corpo ancora acerbo che la rende così speciale, e contro la quale ha sempre “combattuto”, le dona un successo clamoroso. In un colpo solo spazza via il ricordo di Gigliola Cinquetti, non solo per come canta la disperazione di un amore ferito, anche per come si presenta sul palco, con un look che per l’epoca è audace: mini-abito bianco e stivaloni coordinati. Un’immagine da adolescente ribelle eppure perbene che la cristallizza come un piccolo evento di rottura. Che bissa con la stessa grinta due anni dopo, quando vince Sanremo con Il cuore è uno zingaro» (Cecilia Ermini). «“Cominciarono a chiamarmi ovunque. Incontri, concerti, televisione. La bambina cresciuta troppo in fretta smise di andare a scuola. Per quattro anni fui prigioniera dello spettacolo. Cantavo, uscivo dal palcoscenico, vomitavo e rientravo. Ero diventata anoressica. C’è stato un periodo in cui mi nutrivo con le flebo”. Come ne sei uscita? “Andai da Ennio Melis, il capo della Rca, gli dissi: non ce la faccio più, io rompo il contratto. Non vado con nessun’altra casa discografica. L’unica cosa che so è che vorrei fare un’esperienza in America”. E lui? “Si rese conto che stavo per esplodere, perciò mi assecondò e poi mi propose un’alternativa: ti presento uno che può fare al caso tuo, un personaggio insolito. Frequentalo. Poi decidi”. Chi era? “Piero Ciampi. Ricordo che ci vedemmo un tardo pomeriggio. Lui era il poeta, il pazzo, l’ubriacone. Melis gli aveva chiesto di scrivere per me. E lui disse che avrebbe accettato solo dopo avermi conosciuta bene. Per un paio d’anni non facemmo nulla di professionale. Andavamo al cinema, in qualche teatrino. Giravamo per i bar aperti la notte. Conobbi un sacco di gente sua amica: Turcato, Bene, Perlini. Era un popolo di artisti ed esaltati. Poi Piero cominciò a scrivere per me”» (Gnoli). «Con Ciampi ebbe una storia? “No, eravamo solo due ragazzi inquieti. E lui era l’unica persona al mondo che assecondava la mia ribellione. Dicevo: ‘Non voglio salire su quel palco’. E lui: ‘Sì! Brava! Non salirci!’”. Scrisse per lei l’album Ho scoperto che esisto anch’io. Che non ebbe successo. “Era un disco bellissimo, troppo in anticipo sui tempi. In ogni parola di Piero c’era dentro la vita. In ogni emozione andava in fondo, tirando fuori le cose più scomode. Vedendo lavorare lui, capii che per esprimere quello che sentivo dovevo imparare a comporre parole e musica”» (Morvillo). «Come viveste il fallimento? “Piero malissimo, io ero abbastanza giovane da accettarlo quasi come una benedizione. […] Alla Rca si preoccuparono. Melis a quel punto cambiò strategia: mi affiancò due nuovi personaggi: Renzo Zenobi e Paolo Conte”. Ciampi come reagì? “Non la prese bene. Durante un pranzo a casa mia esplose in una crisi di gelosia nei riguardi di Conte. Fu il suggello di una sconfitta. Le nostre strade fatalmente si separarono”. […] Il rapporto con Conte come fu? “L’opposto di quello che avevo vissuto con Ciampi. Stetti per più di un mese a casa sua ad Asti. Lavorava nel suo studio di avvocato e la sera era a mia disposizione. Sembrava un signore di altri tempi. Diversamente da Ciampi, Conte teneva ben separata la vita dall’arte”» (Gnoli). «“Poi iniziai a scrivere da sola. Io e Ciampi non ci vedemmo per molto tempo. Quando è morto, nel 1980, a soli 45 anni, non sapevo neanche che era malato. Mi dispiacque moltissimo”. Poi la chiamò il teatro, con ruoli da protagonista. Anna Frank, My Fair Lady. E L’opera dello sghignazzo con Dario Fo. È vero che ve ne dicevate di tutti i colori? “Lui, giustamente, aveva delle idee. Solo che pensava che non dovessi dissentire, ma accettare tutto. Abbiamo avuto un rapporto combattuto, ma fu un’esperienza bellissima”» (Morvillo). «L’abbandono della facile canzonetta pop per Nada coincide anche con l’incontro del destino, il compagno di una vita: Gerry Manzoli. Bassista dei Camaleonti, il ragazzo fa breccia nel cuore della giovanissima cantante, che con lui lascia Roma per andare a vivere nella campagna toscana. Una vita piacevole e ritirata che, dopo la nascita a metà anni ’70 della figlia Carlotta, allontana progressivamente Nada dalla musica. Ci pensa Gerry, a convincerla a riprovarci. […] Grazie dunque al sostegno del marito, in pieni anni ’80 Nada torna agguerritissima sulla scena musicale abbracciando senza pudori le sonorità elettropop tipiche dell’epoca. Prima con il singolo Ti stringerò, del 1982, e di cui per la prima volta in carriera è autrice; mentre l’anno successivo arriva, come una bomba, Amore disperato. Canzone che diventa un tormentone istantaneo e le fa vincere Festivalbar e Vota la voce. […] Come nei primi anni ’70, il successo ritrovato spinge di nuovo la cantante ad abbandonare la musica. Torna ma dopo sette anni, nel 1987, e sempre a Sanremo (15 anni prima l’ultima apparizione). La canzone è Bolero, e dopo quella non se ne va più, finalmente» (Ermini). «Quand’è che fare musica non è più stato un peso? “Quando ho iniziato a scrivere in prima persona. Prima i testi, tra cui quello di Amore disperato, e poi le musiche, dagli anni ’90 in poi. Ho imparato un po’ di chitarra, ho iniziato a comporre perché volevo che le parole fossero unite alla musica. E mi si è aperto un mondo, ho potuto dare forma alla musica attraverso la mia persona. La canzone d’autore è libertà: ogni parola mi riguarda, la scelgo io”» (Patrizio Ruviglioni). «Il risultato di tale evoluzione è, nel 1992, L’anime nere, di cui firma tutti i testi e parte delle musiche. La rinnovata immagine artistica si consolida a partire dal 1994, allorché nasce il Nada Trio, completato da Fausto Mesolella e Ferruccio Spinetti, chitarra e contrabbasso degli Avion Travel. […] Nel ’99 torna tuttavia a Sanremo con Guardami negli occhi, poi inserita in Dove sei sei, primo album (prodotto da Mauro Pagani) con testi e musiche tutti a sua firma (tranne Piccoli fiumi, scritta per lei da Gianmaria Testa)» (Alberto Bazzurro). «Si è costruita una credibilità, ha lanciato gente come Motta e Zen Circus, ha collaborato col gotha dell’alternative (Massimo Zamboni, John Parish) e composto pezzi incredibili e dalla schiena dritta, come quella Senza un perché che nel 2016 è finita in The Young Pope di Paolo Sorrentino» (Ruviglioni). «Negli anni 2000 inizia anche una fortunata attività parallela come scrittrice, prima di poesie poi di romanzi. Compreso l’autobiografico Il mio cuore umano, uscito nel 2009. Libro in cui ripercorre l’infanzia e l’adolescenza dei suoi anni toscani. Libro che folgora la regista Costanza Quatriglio, futura regista del biopic […] La bambina che non voleva cantare» (Ermini). Assente dal Festival di Sanremo dal 2007, quando si attestò quindicesima con Luna in piena – «un brano importante per me, così importante che volevo presentarlo a una platea notevole: ci sono riuscita» –, continua comunque a pubblicare nuovi album a cadenza pressoché triennale: da ultimo, La paura va via da sé se i pensieri brillano (2022), «un disco in cui arrangiamenti dalle venature rock, blues, jazz dialogano con un linguaggio volutamente scarno e diretto, ma profondo, carico di tutto il senso che può accumularsi in ciò che è visceralmente intimo e autentico. […] Che cosa significa il titolo La paura va via da sé se i pensieri brillano? “Quella frase è un pensiero un po’ zen che mi rispecchia tantissimo e nella cui veridicità credo molto, perché la provo tutti i giorni su me stessa. Il senso è che la paura è un sentimento che convive con noi e che ci serve, perché ci frena in tante cose. Ma, se dalla paura vieni sopraffatto al punto da finire vittima dell’ansia, dell’angoscia, allora in qualche modo la devi superare. Perché solo con in testa pensieri chiari si può riuscire a vedere le cose con lucidità e a stare meglio. Serve, allora, esorcizzare la paura”. […] Questo è anche il primo album in cui non compaiono canzoni dedicate a tua madre. […] “È così. Nel precedente disco, È un momento difficile, tesoro, c’era questa canzone, O madre, che nel momento in cui la scrissi mi colpì – si vede che la cercavo – perché dentro c’era un perdono, c’era un’esigenza di connettermi e sentirmi come lei, come mia mamma, e di capire le vicissitudini e gli errori contro cui una madre e una figlia combattono per tutta la vita. Chissà, forse con quel pezzo ho messo un punto, forse, dopo tanti anni di elaborazione finiti in canzoni, libri e altre cose che ho scritto, ho fatto la pace con quella parte della mia vita, sono riuscita ad abbracciare la conflittualità insita in quel legame, a vederla da un’altra ottica”» (Raffaella Oliva) • Insieme al compagno, Gerardo «Gerry» Manzoli, «ha scelto di vivere “sperduta in Maremma” – il paese più vicino a una ventina di chilometri. […] “Sono tornata alla Toscana, alla campagna, dove avevo passato l’infanzia e parte dell’adolescenza. Ho cominciato a lavorare a 15 anni: il mio è stato un viaggio lungo e faticoso dal punto di vista psicologico. Quando cominci così piccola, il desiderio di tornare alle radici prima o poi arriva prepotente. E quando ritorni da capo è come se quei luoghi li vivessi per la prima volta. […] Questo luogo dove sto è l’ideale per scavare, ragionare, capire. […] Gerry è sempre lì: lui è il mio confronto, il mio aiuto, il mio sostegno, se non ci fosse lui non farei niente. Perché io spesso mi lascio prendere dalla pigrizia, dallo sconforto: ho alti e bassi continui”» (Paola Piacenza). «Solo il rapporto con la natura mi rigenera. In campagna la mente è totalmente libera. La natura è la mia religione. Quando ho bisogno di consolazione, di pace o di preghiera, vado nel vuoto di un prato, al sole o sotto un temporale: lì trovo una ragione a tutto, esorcizzo persino la paura della morte. Mia madre, la prima volta che venne a trovarmi lassù, disse: “Non ho occhi per guardare”. Aveva capito che quel posto è la mia salvezza» • «Non sono cattolica. Mi considero una maremmana anarchica praticante. Ma sono attratta dal misticismo. Il buio, l’acqua, la terra, la paura, il sole, il vuoto, la sofferenza sono per me gli elementi di una spiritualità senza dogmi, che riempie la mia vita» (ad Alberto Dentice) • «Vengo da una famiglia comunista che abitava in un paese comunista dentro una regione rossa» (a Daniela Amenta) • Fuma il sigaro. «L’antico toscano, uno al giorno, da più di vent’anni». «Possiedo anche qualche pipa, ma non ho la pazienza di pulirle e prepararle come si deve» (a Mario Luzzatto Fegiz) • «“Sono tanti, i miei libri. Ci sono quelli che ho letto e molti da consultazione, e quelli che devo ancora leggere. Mi piace averli vicino sempre. […] I romanzi ti seguono nelle esperienze che fai, ti accompagnano”. Quali le sono stati più fedeli? “Sicuramente tutti quelli di Gabriel García Márquez, amo molto la letteratura sudamericana e i suoi colori, e poi Alla ricerca del tempo perduto di Proust, ma anche Il gioco delle perle di vetro di Hermann Hesse, Pastorale americana di Roth, L’opera al nero della Yourcenar, ancora Dostoevskij, Umiliati e offesi, o Finzioni di Borges. Naturalmente potrei andare avanti ancora a lungo”» (Andruetto) • «“Scrivere mi ha permesso di scoprire tante cose di me”. Più della musica? “È uno scavo diverso, scrivere mi rende più tranquilla, perché più consapevole, ma qualche volta mi fa anche più paura: quando scrivi ti avventuri in terreni minati, scateni i fantasmi”» (Piacenza) • «Quando esordii, della musica sapevo meno di zero. Non avevamo neanche la tv in casa, e tantomeno il giradischi. Non volevo fare la cantante. Quando, dopo il successo, ho cominciato ad ascoltare musica, erano i meravigliosi anni Settanta e io mi sentivo più vicina al rock che ai cantautori. Sono rimasta un’incompresa proprio perché non costruisco melodie tipicamente italiane e il mio linguaggio è più sintetico, diretto, crudo di quello della canzonetta». «Tanti hanno cercato di arricchire le mie canzoni semplici e scarne, ma più le vesti più le distruggi» (a Luigi Bolognini) • «Un’artista vera, una tipa tosta che se ne frega, di fermare il tempo con il lifting, e dà scandalo mettendosi in gioco con una sincerità e una modernità che lasciano senza fiato. A spogliarsi nude son buone tutte. Altra cosa è mettere a nudo come fa lei l’angoscia, la paura, il piacere e il disagio di vivere. Perché nessuno ci è più abituato» (Dentice). «È avanguardia pura, ipnotica come certe canzoni di Lou Reed o Nina Hagen. […] Un incrocio tra Marianne Faithfull e Patti Smith, soprattutto quando ricerca una timbrica dai toni bassi e si culla nel decadentismo di un malessere da esorcizzare» (Luzzatto Fegiz) • «Nei suoi concerti tornano sempre Ma che freddo fa e Il cuore è uno zingaro, perché al pubblico piacciono, purché non siano l’unico genere, perché si capisca che Nada non le ha rinnegate, ma che nemmeno si è fermata a quel tempo là. Re di denari, invece, non l’ha mai amata e non la canta più: le ricorda quel circo che non ha mai sentito suo» (Elisa Chiari). «Qual è la canzone della sua carriera che le è più cara?Guardami negli occhi. Perché è quella con cui sono tornata a Sanremo dopo tanto tempo, nel 1999. E perché Celentano l’ha voluta per un duetto. È la canzone che mi ha consentito di dire: questa sono io”» (Morvillo) • «Nada, sei una donna che è morta e rinata molte volte. “Sono trasformazioni che mi hanno fatto scoprire il senso della cura. Tutta la sofferenza che ho provato è diventata ricchezza. […] Nelle trasformazioni c’è un filo che dà la continuità. Quel filo è la vita. Ricordo un verso di Piero per una mia canzone: ‘Io non ho perduto il mio cuore strada facendo’. Spero di non averlo perso”» (Gnoli) • «Come dice Leonida, la protagonista del mio romanzo del 2016 [Leonida, Atlantide – ndr], io non mi sono mai sentita giovane, per cui non posso sentirmi vecchia» • «Lei ha fatto tantissimo in carriera: non le viene mai voglia di fermarsi e godersi tutto? “Ma no, non potrei. A me piace scrivere, cantare, quando mi vengono le idee cerco di realizzarle, è stimolante. Ho sempre voglia di raccontare cose, ho lo stesso entusiasmo che avevo quando componevo 40 anni fa, ho la curiosità di sapere cosa produrrà in me e negli altri il racconto delle mie idee, delle mie emozioni. E poi, sa?”. Che cosa? “La musica è una droga, una dipendenza: non posso fare a meno di comporre o almeno di ascoltare. Quando mi passerà la voglia smetterò, e smetterò di colpo. Magari domani, magari fra trent’anni”» (Bolognini).