23 novembre 2022
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Biografia di Diego Dalla Palma (Diego Valerio Dalla Palma)
Diego Dalla Palma (Diego Valerio Dalla Palma), nato a Enego (Vicenza) il 24 novembre 1950 (72 anni). Truccatore. Visagista. Imprenditore. Personaggio televisivo. «La bellezza è innanzitutto personalità. Che il trucco deve evidenziare, dando più sicurezza. Niente ombretto per mimetizzare un tormento interiore, ma al contrario un trucco nero che lo evidenzi. E poi il rossetto: con un tocco il sorriso apre l’anima» (ad Alessandro Cannavò) • «La prima parte della mia vita sembra una copia carbone dello splendido Albero degli zoccoli di Ermanno Olmi». «Diego, la bellezza come entra nella sua vita? “Guardando mia madre a Làmbara, luogo isolato da tutto, sulle Alpi venete, tra vacche, capre e maiali. Mamma era bella come Amália Rodrigues, la cantante di fado, e portava il rossetto anche fra le vacche. Senza, sembrava malata. Con, sembrava un’attrice. La bellezza non è un bel naso, è intraprendenza: è scegliere qualcosa che ci appartiene e ci distingue”» (Candida Morvillo). «Mia madre Agnese era molto dinamica, stranamente da donna incolta aveva molta cura del suo aspetto, usava una crema che si chiamava Venus, amava lavarsi e vestirsi bene, pettinarsi con tutti i capelli indietro perché diceva che la personalità di una donna si vede dai tratti del viso: mai nascondere il volto coi capelli. Metteva sempre il rossetto, e questo in un paese non rendeva la vita facile. Nessuna a Enego usava gli stivali di pelle al ginocchio: lei è andata a comprarli a Bassano. Soprattutto mi ha insegnato una cosa straordinaria: la postura. “Diego tira su il petto, ché ti vanno fuori le spalle!”. Papà Bepi era un uomo mite, faceva il formaggio, mentre mia madre nella malga si occupava della parte manageriale e dava da mangiare a maiali, polli e tacchini. Mia madre era di buonumore, anche ruvida a volte, donna femminilissima ma era lei la parte maschile della coppia. Poi ha incominciato ad avere problemi di salute, il suo male oscuro è durato trent’anni e l’ha portata alla fine tra depressione e stati ossessivi. […] Quella che mi ha cambiato la vita a sei anni è stata la meningite fulminante: sono rimasto in coma per giorni. Probabilmente mi ha avvantaggiato sotto certi aspetti e svantaggiato per altri: per esempio, credo di aver avuto in quella circostanza l’impulso creativo, ma dopo non sono più stato il bambino di prima. Sono cresciuto sofferente e insofferente, cupo, introverso all’inverosimile, e venivo deriso per questo mio cambiamento di personalità. Ho subìto una forma di bullismo pesantissimo che mi ha fatto molto soffrire. Per giunta ero diventato, non so dire per quale strano fenomeno, anche un po’ effeminato nelle movenze, con una sensibilità che non aveva dei tratti troppo maschili» (a Edoardo Pittalis). «Riempivo la casa di volti di donna con le labbra pittate, e l’insegnante di disegno ebbe il pregio di capire quanto fossi tormentato e che vita terribile avrei avuto se non avessi seguito l’istinto artistico. […] Subivo dai coetanei angherie di ogni sorta. Se non fossi andato via, mi sarei ucciso. Però, chi mi ha fatto male non sa che mi ha scatenato il motore della personalità. Sono andato via per non morire e perché mia madre voleva che facessi tutto quello che lei non aveva potuto fare. Insomma, fui mandato a una scuola d’arte a Venezia con convitto dai preti. È stata la mia salvezza e la mia dannazione, perché lì ho avuto le attenzioni di un prete enorme, di 120 chili, padre Ugo di Gubbio». «Padre Ugo veniva tutte le sere, alle nove, per due anni. Sentivo i passi nel corridoio buio, toc toc bussava alla porta, la sua voce che mi chiamava: “Dieghino, Dieghino”. La sua carne bianca e molle su di me, tantissima carne, un quintale e venti almeno. Io ero già nudo nel letto. Mi spogliavo prima perché così almeno durava meno. Poi mi carezzava, mi diceva: “Scusa, eh, scusa”. Voleva baciarmi, e questa per me era la cosa più ripugnante di tutte: la sua bocca, il suo alito di aglio. Per farsi perdonare mi regalava dei dischi di musica classica: li ho ancora. Nella sfortuna ho trovato una persona non cattiva, non violenta» (a Silvia Nucini). «“Ho il vantaggio di non ricordare con rancore: non lo odio. Prima di morire, mi chiamò e mi chiese ‘Dieghino, mi vuoi bene?’. Gli risposi di sì. Mi dissi: lascialo andare in pace”. Quanti anni aveva quando fu abusato? “Quasi 15, è andata avanti per due anni. A casa non lo dissi, mamma mi avrebbe dato due ceffoni: per lei, i preti erano solo buoni. Ma io stesso non la vivevo come una violenza, ma quasi come un servizio. Pensavo: sto qua, vado a scuola, qualcosa devo restituire”» (Morvillo). «Finiti gli studi, a 18 anni sono andato a Milano. Loro mi hanno detto ‘vai’, cosa non scontata allora per due genitori montanari. Sono partito con 25 mila lire in tasca: i primi tempi sono stati molto duri, ho fatto la fame». «Nella nebbia di settembre, alla stazione Centrale, non sapevo dove andare. Finii al pensionato Belloni, otto in una stanza. Avevo la lettera di una cantante lirica: faccio mille appuntamenti, mi parlano della Sezione Costumi Rai, dove mi respingono tre volte. Non ho soldi, niente, nulla. Trovo una persona che mi ospita e poi mi chiede qualcosa in cambio. Io avevo già dato, perciò accetto. Mi sono prostituito quattro volte. Una, la quarta, indegna e mostruosa: mi sono sottratto. Lui era un regista noto, mi cacciò di casa, mi trovai a dormire alla stazione. Conservo ancora le lettere con le bugie che scrivevo a mia madre: “ieri sera ho cenato con Domenico Modugno”, “mi ha chiamato Dalida e forse vado a Parigi a disegnarle gli abiti”. Ma non mangiavo, non dormivo, ero sfibrato. Arrivava Natale, torno in Rai, la costumista Maud Strudthoff mi dice: “Non ho niente, torni da sua madre, la vedo provato”. Volto le spalle, ho gli occhi umidi. Vado. Lei m’insegue. Mi fa: “Senta, devo vestire Corrado per tre puntate, ma non ho bisogno di quei soldini, lo faccia lei”. Non sa cosa è successo nella mia testa. Ho chiamato mia madre, urlavo come un pazzo. È finita che ho fatto 35 puntate da aiuto-costumista e il costumista per dieci anni». Il debutto fu con «un piccolo programma, Un’ora per voi, per i lavoratori italiani in Svizzera, presentato da Corrado e Mascia Cantoni. La mia carriera di costumista incomincia allora: ricevo critiche lusinghiere, faccio teatro e televisione, lavoro anche come scenografo. Ho lavorato con registi come Trapani, Bolchi e Majano. Dieci anni incredibili a contatto con i più grandi dello spettacolo: la Pampanini e la Proclemer, Dalida, Patty Pravo, Mina, Gian Maria Volontè, Salerno, Villaggio, Bramieri, Walter Chiari, che era un uomo di generosità mostruosa. È stato il momento magico della mia vita nel teatro, una sensazione così struggente e così straordinaria: quando si apriva il sipario mi veniva la febbre». «Ho lavorato al Lirico, ai Filodrammatici, per Strehler come collaboratore, ma non riuscivo mai a stare tranquillo, economicamente. Il 13 marzo del 1978 aprii il mio primo negozio di cosmetici a Brera, in via Madonnina 13» (a Simona Ballatore). «Volevo realizzare il mio sogno: avere i soldi per viaggiare. Così ho aperto una profumeria. […] “Ti pentirai”, mi dicevano. Ho cominciato in uno scantinato a creare dei prodotti cosmetici per tutte le donne: c’erano linee per le attrici che potevano essere fatte anche per la gente comune. È stata la mia fortuna: la linea è stata notata da una catena di negozi americani, che l’ha adottata. Sono diventato un personaggio della cosmesi, il New York Times ha parlato di me come del “profeta del make-up made in Italy”». «Bloomingdale’s mi aveva scelto come marchio di cosmetica che rappresentasse l’Italia. Ero molto ambizioso ed ingenuo. Dopo mi resi conto di aver fatto un errore gravissimo: persi la libertà creativa, ossessionato dai fatturati da garantire agli investitori. Da tempo ho ceduto il marchio Diego Dalla Palma per la cosmetica: lo posseggo solo per la linea degli accessori e per altre attività». «Poi Diego è diventato anche personaggio televisivo. “Sono entrato in televisione grazie a due donne: Edda Stagno, moglie di Tito, il conduttore del tg, e Diana De Feo, la moglie di Emilio Fede. Ogni sabato raccontavo a 15 milioni di italiani di trucco e bellezza in Almanacco del giorno dopo, e questo mi ha dato una popolarità enorme. Poi Paolo Limiti mi ha coinvolto in una trasmissione di evasione, e i migliori presentatori, da Tortora a Baudo, da Corrado a Mike, mi chiamavano. È stato il successo”» (Pittalis). Da alcuni anni, oltre a seguire le attività del suo marchio e a tenere corsi per estetisti, è presente su Rai Premium con un programma di interviste al femminile, Uniche, cui ha recentemente affiancato Caro Diego, in cui offre consulenze estetiche a persone comuni stanche del proprio aspetto. «Caro Diego è uno dei programmi che prediligo, che faccio a casa mia, dedicandomi a persone che hanno smarrito sé stesse. Ma anche Uniche è un bel percorso, perché mi ritrovo con persone che hanno le mie stesse caratteristiche» (a Maria Francesca Troisi) • Si è definito talora bisessuale, talora pansessuale. «Nelle donne cerco il mistero, negli uomini la fierezza, il coraggio, lo spirito rivoluzionario e combattente». «“La predisposizione a sentire un fremito o un sentimento sia per donne sia per uomini è un patrimonio. A dire il vero, l’ho abbandonata dopo un grande amore con una donna, Anna Del Bene. Dopo, ho seguito un istinto che mi portava più verso l’omosessualità, e di questa fase ho ricordi meno belli. Nella vita, lo ammetto, ho molto peccato”. Peccato come? “Ho messo il sesso come primo valore, sbagliando. Sono stato un grande fantasista del sesso. L’ho praticato anche con più persone contemporaneamente, più volte di quanto sia andato a passeggiare nei parchi. E coi tradimenti mordi e fuggi ho rovinato tutte le relazioni sentimentali. […] Sono il più miserabile dei miserabili e il più spirituale degli spirituali. Ho una necessità febbrile sia di carnalità sia di spiritualità. E racconto tutto perché non voglio ricatti”. Qualcuno ha provato a ricattarla? “Non una volta, almeno dieci. Sono stato un erotomane dai 24 ai 40 anni, ma nessuno può pensare di rovinarmi: sono stato solo con adulti consenzienti”. Ora non è più erotomane? “È successo lentamente, dopo la morte dei miei genitori. Ho iniziato a chiedermi a cosa mi abbia portato tutto questo sesso, e la risposta è: vuoti esistenziali, ricordi stinti. E forse mi ha fatto perdere l’occasione di avere una persona accanto, qualcuno con cui condividere noia, quotidianità, viaggi, il piacere e il dispiacere”. Hai mai confessato la pansessualità a sua madre? “Durante un viaggio in macchina, a cui ripenso nelle notti insonni come al ‘viaggio verde’ perché eravamo in Valsugana fra i boschi e costeggiavamo il Brenta, che pure era verde. Non smisi di parlare finché non ebbi confessato tutto. Mi disse: cerca solo di fare in modo che la tua libertà non ti metta in situazioni di debolezza sfruttabili da qualcuno”» (Morvillo). «“In generale, ho avuto tre storie d’amore molto importanti: una con una donna, Anna, le altre due con due uomini che non vogliono che faccia il loro nome. Non ci sentiamo più, e questo per me è un vuoto enorme: perché non avere contatti? Allora quello di un tempo non era amore”. […] Poi c’è un uomo che l’ha massacrata di botte, in casa. […] “Fu uno shock enorme: mi ha picchiato fino al punto di farmi perdere conoscenza”» (Francesco Canino) • «Lei crede? “Credo a Gesù Cristo. E mi colpisce che non abbia lasciato scritti, ma solo esempi”» (Morvillo) • «Nel tempo ho maturato una totale predisposizione al perdono: sento il perdono come una medicina per vivere, da prendere tutti i santi giorni. Non riesco a conservare il rancore». «Lei ha perdonato il prete che ha abusato di lei? “Sì. Quando ne parlo, alcuni amici mi dicono: ‘Sei un coglione’. Ma il perdono è la mia forza, la mia energia: è il mio modo per essere un uomo giusto”» (Canino) • «Ho l’artrosi. La combatto con la ginnastica: faccio ginnastica tutti i giorni, ma in casa, non vado in palestra. In realtà, se uno mi guarda pensa: “Non ce l’ha, sta bene”. Sono anche celiaco e cerco di seguire alcune regole nell’alimentazione. Sono cose che indubbiamente mi rendono la vita un po’ sacrificata, ma direi che non posso certo lamentarmi» • «Una sola cosa mi fa paura: lo stordimento, il non capire chi sono, il dipendere da altri. Se avessi delle avvisaglie in questo senso, farei una scelta precisa: andarmene. […] Morte e vita hanno su di me la stessa identica presa. Vivo intensamente perché do valore alla morte, non è un tabù. Forse per questo sono abituato a mordere la vita, a renderla meravigliosa col metodo, l’arguzia, la curiosità. Io posso dire di aver vissuto una vita meravigliosa: non ho rimpianti, non ho vissuto con paura». «Perché è iscritto all’onlus per l’eutanasia Exit? “Il desiderio più elevato che ho è morire come le aquile di cui mi raccontava mio padre: quando sentono avvicinarsi la fine, si isolano sulle cime più alte e muoiono da sole. Voglio sparire senza creare disagio, impegni e imbarazzi a nessuno. Ho già venduto tutti i miei beni, anche la casa splendida in cui vivo, ai piedi dei Colli Euganei. Ho già chiesto a una persona di spargere le mie ceneri a Làmbara, in un giorno di forte vento”» (Morvillo) • «Lei ha mai ceduto al fascino del ritocchino? “L’unica cosa che faccio è farmi togliere le macchie della vecchiaia. Sono un vecchio che cerca di restare piacevole: mi lavo bene, mi profumo bene, ma non inseguo l’eterna giovinezza. Quella è solo un’illusione che genera ulteriori malinconie”» (Canino) • «Cosa pensa delle donne che si affidano alla chirurgia estetica? “Tutte uguali, e l’omologazione è sempre verso il basso. Pettinarsi, vestirsi, atteggiarsi come gli altri è un segno di mancanza di personalità. Per me sbagliano a combattere così il passare degli anni, ma ognuno può fare quello che vuole”» (Pittalis) • «Diego Dalla Palma ha truccato più di trentamila donne. […] Mi dice l’incontro che le è rimasto addosso? “Quello con Amália Rodrigues, la regina del fado. C’è stato qualcosa di esoterico, era un’anima che andava oltre l’arte e ogni confine. Oggi ho una sua foto in camera e penso a lei come se fosse una seconda madre”. Ha truccato anche Cher: era prima o dopo lo stravolgimento chirurgico? (ride) “Era la fine degli anni ’70, Cher era già ritoccatissima ma le dirò una cosa: è l’unica al mondo a non essersi fatta sopraffare dai ritocchi. La chirurgia è rimasta sconfitta da Cher”» (Canino) • «Quando una donna è bella? “È bella quando è intelligente. I tonti ti possono intenerire sessualmente, ma non ti affascinano. È sempre un acchiappo dal basso: gli intelligenti ti affascinano dall’alto con la loro testa. Cerco nelle persone quella che chiamo luccicanza: una lucetta che tu hai e gli altri no, è la differenza rispetto all’omologazione”» (Pittalis). «“La bellezza è luccicanza, è il dolore che ti brilla negli occhi e non ti sconfigge: la prima cosa di cui mi accorgo in un essere umano”. […] Lei, la luccicanza, ce l’ha? “Credo di sì. Non sono desideroso di pietà né lagnoso, ma di dolore sono morto tante volte”» (Morvillo) • «Io credo nello studio e nelle 75 regole antropometriche. Sa cosa significa? Non conta che il caschetto vada di moda se poi le proporzioni di chi lo porta non vanno bene per quel taglio. Non funziona così. Prima di applicarmi su una donna studio la sua figura, dalla punta dei capelli a quella dei piedi» (ad Annalia Venezia) • «Il rosso è il mio colore preferito insieme con il bianco, spirituale, e il nero, che rende drammatica ogni corporatura. I tre colori della tragedia greca» • «Nell’affrontare la vecchiaia bisogna munirsi di un po’ di follia e di molta geografia, che non vuol dire che si debba necessariamente visitare tutto il mondo. Basta prendere un pullman e andare a visitare Arquà Petrarca o Montagnana, oppure una mostra» • «Lei si ama? “Non mi amo, non mi sono mai amato e mai mi amerò. Però mi considero”. Perché? “Forse perché ho sofferto molto nella vita, mi hanno indebolito in tanti. Sono stato soggetto a violenze fisiche, bullismo, povertà, disperazione, mancanza di sostegno. Non mi amo anche perché non mi piaccio fisicamente, non mi piace la mia voce. Perché sono solo, nonostante le storie d’amore importanti vissute. Non mi amo perché non ho il coraggio di mandare tutto e tutti a quel paese, e dedicarmi alla mia passione per i viaggi. E non mi amo nemmeno per i richiami che subisco dalla tv. […] Sono portato a pensare che non valgo niente, che forse aveva ragione chi mi ha deriso, calpestato e umiliato. Io poi sono un ex timido, ho affrontato la timidezza indossando una maschera. Ma sono anche estremamente sincero, così sincero che faccio del male prima di tutto a me stesso”» (Troisi). «Oggi chi è Diego Dalla Palma? “Un uomo complesso, che a volte ha ancora un bisogno disperato di sentirsi amato e valorizzato, così come a mia volta provo a valorizzare e fare crescere certe persone che stimo o apprezzo”» (Canino) • «Il figlio di due pastori ha trasformato il suo cognome in un brand globale. […] Che effetto le fa pensare a questa clamorosa parabola? “Mi suscita orgoglio per avere fatto tante cose, tutte costruite con attenzione e una professionalità maniacale. Ero così anche a vent’anni, quando iniziai a fare il costumista, e lo sono ancora oggi. Non ho mai fatto nulla a caso. E poi mi suscita consapevolezza, perché so che tutto è niente. Me lo disse Mario Rigoni Stern: ‘Diego, quando arriverai alla fine della tua vita, capirai che tutto è nulla’. Me ne accorgo ogni giorno”. […] Per cosa vorrebbe essere ricordato quando non ci sarà più? “Per il mio spirito libero. Ma, siccome […] ho consapevolezza che di me si dimenticheranno tutti molto presto, provo a farmi rispettare adesso, nel presente. E, in mezzo all’ovvio e alla banalità in cui siamo immersi, io coltivo la mia atipicità”» (Canino).