Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  dicembre 13 Martedì calendario

La lezione di Keynes

John Maynard Keynes ha ritrovato la rilevanza e gli onori che merita. Quindici anni di crisi economiche, finanziarie e politiche hanno scosso alle fondamenta la relativa stabilità del ciclo economico e dei prezzi spingendoli su un’altalena forsennata di alti e bassi. Già, quindici anni o quasi dall’inizio della crisi finanziaria in America e poi il debito sovrano in Europa e poi il Covid e infine la guerra in Ucraina. Quindici anni in cui si è scoperto che in momenti davvero difficili non si può fare a meno dello Stato. Non si possono lasciare le banche e le istituzioni finanziarie al loro destino se il valore dei loro attivi si riduce drammaticamente; non si possono lasciare le famiglie nella povertà se non riescono più a lavorare o pagare la bolletta della luce; neppure si possono far fallire gli Stati in difficoltà senza che quelli virtuosi vengano in loro soccorso. E se non si può fare a meno dello Stato, questo significa che i mercati da soli, senza una buona spinta, non tornano verso un equilibrio virtuoso. Il che ha messo in profonda crisi non solo l’ortodossia del pensiero economico neoliberista, ma anche politiche fondate sull’idea di minimizzare il ruolo dei governi nell’economia.
Keynes lavorava e scriveva in epoche molto più drammatiche, ma con qualche parallelo con i tempi attuali. Epoche dove due guerre mondiali e la grande depressione del ’29 avevano devastato il mondo dopo gli anni magnifici della rivoluzione industriale, del Gold Standard e della prima globalizzazione e avevano profondamente minato la fiducia degli economisti classici nelle virtù assolute del mercato. Il grande merito di Keynes fu quello di capire, con un lavoro allora da assoluto pioniere, come conciliare gli insegnamenti dell’ortodossia di mercato con un nuovo ruolo per lo Stato: «(...) è certo che il mondo non potrà sopportare ancora per molto la disoccupazione (...) associata (...) all’individualismo capitalistico di oggi. Ma è possibile, con una corretta analisi del problema, curare la malattia preservando allo stesso tempo l’efficienza e la libertà». Questa sintesi, la capacità di spiegare il ruolo fondamentale delle politiche pubbliche nelle economie di mercato fa di Keynes un eretico (ma non un rivoluzionario) del suo tempo, come raccontano le belle pagine del nuovo libro di Giorgio La Malfa, che dell’economista inglese è uno dei maggioristudiosi ed esegeti e che ha oltretutto il merito di averne curato e tradotto per i Meridiani l’opera fondamentale, la Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta.
Il libro è una raccolta di saggi che ci aiuta a calarci nei tempi di Keynes e nei passaggi più complessi dello sviluppo del suo pensiero. La sua grande lezione per noi oggi, in questa epoca di slogan e conclusioni facili, è forse la fede nel ragionamento attento e nelle analisi più complesse, unite ad una profonda comprensione della realtà e degli eventi del tempo. Grazie a queste grandi doti, esercitate tra l’Università di Cambridge e il Tesoro inglese, dopo aver rifondato la teoria economica, Keynes come ultimo lascito lavora all’architettura del sistema finanziario internazionale del dopoguerra che ancora, per quanto con alti e bassi, governa in parte l’economia globale. È molto bello il saggio che racconta lo sforzo estremo del grande economista nei suoi ultimi anni. Già malato di cuore, continua a fare la sponda tra una parte e l’altra dell’Atlantico, negoziando con gli americani i famosi accordi di Bretton Woods firmati nel luglio del 1944. Da questi accordi nascono il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale. Keynes aveva scritto pagine furiose sugli accordi di Versailles che dopo la prima guerra mondiale avevano imposto sanzioni e riparazioni di fatto inesigibili alla Germania, favorendo poi la scivolata verso il nazismo. Per questo lavora forsennatamente per convincere gli alleati che nessun paese, per quanto egemone, potrà governare i mercati globali da solo e che sarà necessario avere grandi istituzioni multilaterali che possano fare da camera di compensazione tra chi è forte e chi è debole. Dovrà scendere a compromessi sulle sue idee iniziali, ben consapevole di quanto soprattutto la Gran Bretagna, oltre a tutta l’Europa continentale, abbia un bisogno drammatico dei dollari americani per ricostruire dopo gli immani sforzi e devastazioni della guerra. Accetterà l’egemonia del dollaro al posto di quella perduta dalla sterlina, ma riuscirà a posare le fondamenta di una lunghissima epoca di crescita e prosperità e di profonde interconnessioni economiche globali.
Certamente le politiche di espansione fiscale e le politiche monetarie come ilquantitative easing sono figlie delle lezioni di Keynes, senza le quali non sarebbe stato possibile anticipare il ruolo e l’impatto di questi strumenti di politica economica. Ma anche la necessità e l’importanza di un governo stabile e credibile dell’economia globale è un insegnamento dell’economista inglese che non deve essere dissipato.