il Fatto Quotidiano, 11 dicembre 2022
Biografia di Tiberio Timperi raccontata da lui stesso
La povertà mette i brividi; il benessere “per me è girare nudo per casa senza sentire freddo”.
È il termometro di Tiberio Timperi. È la sua valutazione rispetto a scale, scalini, ostacoli, buche, conquiste, status, battaglie vinte e qualche ammacco.
Così a 58 anni e quasi 40 di lavoro (“tra poco potrei andare in pensione”) è entrato nel gotha dei longevi della televisione, di chi può dire “allora io c’ero”, o “io so”; di chi ha condiviso riflettore e telecamera con Bongiorno, Baudo, Carrà o Fede (“Che litigate con lui”); di chi sa leggere la colonnina di mercurio per capire quando è febbre da raffreddamento o febbre da fama.
Negli ultimi anni è insieme a Monica Setta e Ingrid Muccitelli alla conduzione di Unomattina in famiglia.
Gli ascolti di ieri.
Non li guardo mai, l’importante è stare a posto con la propria coscienza; (apre il cellulare, legge, sorride) ma sono buoni. Fossero gli ascolti a garantire la sopravvivenza, sarei tranquillo da qui all’eternità. Oramai ci sono altre logiche.
Delle “altre logiche” si parla da sempre.
Una volta bastava essere bravi, oggi no.
Cosa serve?
Sapersi vendere bene, le amicizie giuste e magari un agente potente; io non ho l’agente e non sono in quota ad alcun partito.
Anche qui: la politica in Rai fa rima con sempre.
Aveva ragione Vespa quando dichiarava che l’editore è il governo. Ma la questione è un’altra.
Qual è?
Sono entrato in Rai nel 1983 dopo aver portato a un dirigente una cassetta con incisa una mia registrazione; per una settimana andai su Rai Stereo1 a 15 mila lire a puntata. Pagavano in contanti, ho da parte le prime mille lire.
Quindi?
Ripeto: serviva essere bravi. Adesso non solo.
Nell’83 era giovanissimo.
Il prossimo anno sono quarant’anni di lavoro, posso andare in pensione.
Sì, ma era giovanissimo.
Ho iniziato a 14 anni con le radio private; (pausa) in qualche modo la radio mi ha salvato.
Da cosa?
A Roma sono cresciuto a Piazza Vittorio, un quartiere di frontiera, schiacciato tra la sinistra di San Lorenzo e la destra di Colle Oppio; un quartiere popolare e tra di noi c’era qualche deriva illecita.
Lei rientrava in quel clima?
No, solo di striscio; nel palazzo dove vivevamo, mamma era la portinaia e uno degli appartamenti era abitato da un ricercato di estrema sinistra: un giorno mi ferma la Digos e mi offre una ricompensa, molto alta, per informazioni legate a quel ragazzo.
E lei?
Ricordo l’imbarazzo, ma non sapevo nulla.
I suoi si occupavano di politica?
Mamma era di sinistra, papà aveva partecipato alla Repubblica di Salò ed era finito in un campo di concentramento con Albertazzi ed Evola; (pausa) discutevano sempre.
C’è un però.
Sono stati una bella coppia: quando mamma si è ammalata di diabete, lui si è licenziato, per diventare il suo infermiere, soprattutto dopo che le hanno amputato le gambe; (pausa) eravamo una famiglia proletaria da pastarelle la domenica, la Fiat 128 tenuta per 17 anni e niente stufa né scaldabagno; ho ancora in testa la sensazione di freddo di quegli anni, il gelo dal bagno alla cameretta o l’umido, la sera, sotto le lenzuola, con la salvezza aggrappata alla borsa dell’acqua calda.
Cosa invidiava agli altri?
Un po’ di tranquillità economica; (sorride) per me la ricchezza è mettere il riscaldamento alto e girare nudo per casa.
La borsa dell’acqua calda?
Ancora non ne posso fare a meno; (pausa) in famiglia eravamo gli unici con problemi, mentre tutti gli zii esibivano grandi fortune, uno era diventato ricchissimo vendendo gelato in Argentina tanto da subire un rapimento da parte dei Montoneros.
Timido?
Ero cicciottello e brufoloso.
Quando è diventato belloccio?
Da poco tempo guardo le foto di vent’anni fa e penso: ‘Non ero male’.
Sempre circondato da bellissime donne.
Credevo per la fama; comunque ero bello e con il viso un po’ da stronzo.
Il suo valore aggiunto da ragazzo.
Cocciuto.
Cosa o chi voleva diventare?
Esattamente quello che sono adesso; (sorride) sono cresciuto a pane e televisione e da ragazzo ero certo che un giorno avrei dato del tu a Pippo Baudo tanto da imitarne gesti ed espressioni.
“Rubare” è fondamentale.
Sempre; (pausa) da Emilio Fede ho cercato di carpire tutto.
È stato suo direttore.
Un genio, prima della deriva; (ride) quando ancora non ci conoscevamo, una mattina alle 8 ricevo una telefonata: “Pronto, sono Emilio Fede”. E io: “Arma’, vaffanculo”. E ho attaccato. Ero convinto fosse Armando Sommajuolo, con lui scherzavamo spesso.
Spieghi il “genio”.
Un giorno Fede mi ferma: ‘Sei bravo, ma parli troppo veloce, sembri Mentana: devi fare più pause, come me. Sai perché? Mi dimentico le cose, ma se vado piano, con qualche pausa, allora ricordo e la gente è convinta che stia pensando’.
Berlusconi lo ha incontrato?
Una mattina entra in redazione accompagnato da Dede Cavalleri, salivazione azzerata. Si avvicina a me: ‘Farà strada, l’ho guardata. Però le do un consiglio: sistemi le sopracciglia’. E io: ‘Presidente, mi avete acquistato così’. A quel punto la Cavalleri sbianca.
Effettivamente sono folte.
(Ride) Anni dopo le ho sistemate: aveva ragione.
La caratterizzano.
Come il nome: quanto mi hanno rotto le palle! Ora mi piace.
Ha dato del tu a Baudo?
In occasione di un appuntamento su Radio1. E lì ho pensato a me bambino; (cambia tono) ho lavorato e incontrato quasi tutti i grandi.
Tipo?
Mike Bongiorno, un vero signore; (sorride) ero in collegamento e per presentarmi sbaglia il mio nome; secondo me apposta. Il giorno dopo mi invia una lettera bellissima che purtroppo ho perso.
Chi altro tra i grandi?
Jocelyn: incontrato nei primissimi anni 80, gli chiesi come potevo trovare spazio nel mondo dello spettacolo, e lui: ‘Se vuoi, intanto, puoi lavorare con me come autista’. Peccato che non avevo la patente.
Continuiamo con l’elenco degli incontri.
Raffaella Carrà: con lei c’era un forte affetto, ma ho commesso l’errore di mandare a quel paese Japino. E mi tolse il saluto.
Come mai?
Premessa: era una professionista assoluta e fu la prima a spiegarmi una legge importantissima: ‘In televisione è fondamentale come ci stai: anche se hai uno spazio piccolo, devi ottimizzarlo’. Insomma, mi chiama per un programma a giochi complicatissimo, Navigator, in cui non si capiva niente. A un certo punto mi lamento con Japino e da lì i nostri rapporti finiscono.
Quando ha deciso di lasciare il giornalismo per il mondo dello spettacolo?
Il giorno dell’attentato a Borsellino: erano le cinque del pomeriggio, avevamo l’edizione flash del telegiornale che anticipava quella condotta da Fede. Mi chiama il corrispondente da Palermo: ‘La bomba è sotto casa di Borsellino, non si sa se è vivo o morto. Lo dico o no?’. E io: ‘Non fare il suo nome, per rispetto alla famiglia’. Andiamo in onda, nessuno pronuncia il nome di Borsellino, finisce la diretta e subito mi chiama Fede: ‘Stronzo, coglione, non sarai mai un giornalista, hai perso lo scoop’.
E lei?
Ho risposto male e ho capito di non aver voglia di far carriera con tali modalità; e poi per andare avanti era necessario entrare in qualche cordata, pubbliche relazioni, o sposare la causa di Forza Italia.
Forza Italia già aleggiava?
Ho assistito alle riunioni prima del lancio ufficiale; (sorride) di sera, nello studio normalmente utilizzato per Pressing, beccavo le prime prove tecniche di dibattito politico, con tanto di accusa e difesa.
I suoi errori?
(Pausa) Me ne imputo tre. Primo aver lasciato Milano per Roma, lì stavo bene; il secondo a Los Angeles, durante una vacanza: un uomo mi guarda, sorride, si avvicina e mi dà un biglietto da visita. Era un talent scout della William Morris Agency, una delle più grandi agenzie di star. Il giorno dopo mi presento negli uffici, trovo tutti palestrati e donne bellissime, penso si siano sbagliati, saluto e me ne vado.
Terzo errore.
Il matrimonio (su questo argomento c’è una battaglia legale che dura da anni, con di mezzo un figlio). Andiamo oltre.
Torniamo ai maestri di tv.
Gianfranco Funari: ‘A Tibe’, tu non sei un centometrista, sei ’n maratoneta: li ammazzerai tutti sulla distanza’ (lo imita alla perfezione). Quando stavo a Rete4 andavo sempre a chiacchierare con lui e lì ho capito che in televisione devi portare te stesso, nessuna finzione.
Lei ha avuto una storia con…
(Interrompe la domanda) Non è vero.
Cosa?
Non ho avuto una storia con Marina Berlusconi.
Excusatio non petita.
La domanda non è su quella voce assurda?
No, ma spieghiamola.
Lavoravo al Tg4, avevo problemi con Fede, messo ai margini per nove mesi, alla fine ne ho parlato con Marina Berlusconi e per gratitudine mi presentai con un mazzo di fiori. Non ci volevo provare. Quando andai via dal Tg4, sull’Espresso uscì un’indiscrezione: ‘Chi è quel giornalista con l’occhio verde, romano, cacciato via da Mediaset perché ci ha provato con la figlia del proprietario?’. Ero io. Falsissimo.
Poco fa le volevamo chiedere di Amanda Lear.
Persona deliziosa, la sento, ed è matta come poche altre.
Esempio di follia.
(Ride) Quando venivamo inquadrati a mezzo busto, per mettermi in difficoltà, mi strizzava il pacco.
Le è dispiaciuto lasciare il giornalismo?
No.
Economicamente è cambiata la sua vita.
Non in maniera fondamentale; (sorride) conta per la storia del riscaldamento e magari per l’automobile.
Quante ne ha cambiate?
Me so giocato ’n appartamento, ma venivo da 17 anni di Fiat 128 verde pisello, spernacchiati da tutti i parenti.
I suoi hanno assistito al successo?
Papà sì, mamma è morta prima; (rallenta il racconto, a momenti si impasta la bocca) due sere prima del suo addio, era già in coma, vado da lei in ospedale e le mento spudoratamente: ‘Mi ha chiamato la Rai, se mi capisci stringi la mano’. La strinse (occhi rossi e gonfi). Non era vero, ma ci teneva.
In Rai cosa accade quando cambia il colore di un governo?
I cambi di casacca ci sono sempre stati, prima renziani, poi salviniani, lettiani, contiani, ora fan della Meloni. Ma la questione è un’altra: i leader come possono fidarsi di queste inversioni?
Oggi chi considera al top?
Carlo Conti è bravo a condurre la prima serata ed è stato in grado di diventare pure autore, cosa che a me è mancata, anche perché Michele Guardì pretendeva la divisione dei ruoli; ah, penso ad Antonella Clerici, le voglio bene, e Jocelyn è assurdo non averlo in tv; (ci ripensa e sorride) con Guardì mi sono appiccicato varie volte, ma per me è come un secondo padre.
Ora è anche attore.
Un ruolo nella serie di Lillo e uno nell’ultimo film di Massimiliano Bruno. Mi piace tantissimo, nonostante i tempi morti del set; (pausa) in Italia se sei inquadrato come giornalista non ti prendono sul serio in altri ruoli, quando negli Stati Uniti Denzel Washington e George Clooney nascono giornalisti.
È il Clooney italiano.
(Ride) Una volta l’ho fregato.
Clooney?
Più di vent’anni fa, la Dixan doveva scegliere tra me e lui. La casa madre voleva lui. Peccato che il 70% del fatturato europeo veniva realizzato in Italia e nel 1999 ero più famoso di lui.
Poi Clooney si è rifatto.
Ampiamente.
Lei chi è?
(Ci pensa e intreccia sospiri a inizi di risposta) Uno che non smette mai di crederci.