Corriere della Sera, 11 dicembre 2022
Intervista a John Williams
John Williams è atterrato alla Scala, e i fan si sono scatenati come se l’avesse fatto a bordo del Millennium Falcon o della Nimbus 2000 di Harry Potter: la prova aperta di oggi e il concerto straordinario di domani della Filarmonica della Scala sono andati esauriti in pochi minuti. In decine di migliaia hanno sperato di poter vedere il più grande autore di colonne sonore vivente e probabilmente di sempre (5 Oscar e 52 nomination) dirigere le sue musiche per Star Wars, E.T., Harry Potter, Indiana Jones e Superman.
Ha festeggiato novant’anni con concerti trionfali a Vienna e Berlino; come vive il debutto alla Scala?
«Con sorpresa e umiltà. Credevo che le musiche di Star Wars sarebbero resistite un paio d’anni, dopo quasi mezzo secolo le suono con le migliori orchestre al mondo. Però non riesco ad inorgoglirmi: Wiener e Berliner suonano Mozart e Beethoven, qui alla Scala c’erano Verdi e Puccini, io chi sono in confronto a loro? Uno che ha lavorato duro ed è contento se ha regalato momenti piacevoli a tante persone».
Quanto è cambiato dal primo film con Spielberg, «Lo squalo»?
«I capelli sono diventati grigi, poi sono caduti quasi tutti. Musicalmente è cambiato poco: uso ancora carta e penna, mi ricordo ancora la prima registrazione di Star Wars con la London Symphony, l’emozione di sentire gli ottoni attaccare la sigla. Quando ho ripreso la saga mi è bastato sedermi al pianoforte, improvvisare e dopo qualche minuto mi sembrava di non aver mai smesso di inventare note per Jedi e ribelli. La gioia più grande è vedere come ancor oggi questa musica piaccia al pubblico e alle orchestre: l’entusiasmo dei professori scaligeri mi ha travolto».
Durante le prove, dopo «Schindler’s List» è scattato un applauso infinito.
«Il primo violino è stato meraviglioso, alcuni colleghi riprendevano coi cellulari. Mi sono commosso come quando Spielberg mi fece vedere il film: gli dissi che avrebbe dovuto scegliere un compositore migliore, mi rispose che ci aveva pensato ma quelli più bravi erano tutti morti».
Per Spielberg sta componendo il quinto «Indiana Jones»...
«A Steven non si può dire di no. Mi ero ripromesso che sarebbe stata l’ultima colonna sonora, mi sta già parlando di un nuovo film e una graphic novel, vedremo. La realtà è che non so se smettere sia una buona idea: amo ancora scrivere e non ascolto molta musica perché preferisco concentrarmi sulle idee che mi vengono per i film».
Quanto è difficile comporre colonne sonore?
«Bisogna essere veloci, ci sono scadenze precise e bisogna trovare subito l’idea giusta».
Quando decise di dirigere?
«Ascoltando dei direttori che interpretavano male i miei brani: fu una sorta di autodifesa. Presi la bacchetta senza preparazione, ma con la solida idea di che cosa volevo che l’orchestra facesse. Ho imparato gradualmente e nel 1978 debuttai coi Boston Pops, per l’Hollywod Bowl; Arthur Fiedler era ammalato, Ernest Fleischmann mi propose di sostituirlo, gli replicai che c’era Zubin Mehta disponibile, ma insistette. Suonammo Star Wars e non abbiamo più smesso».