ItaliaOggi, 10 dicembre 2022
Orsi & tori
Era professore all’Università di Torino ma anche capo dell’Ufficio studi della Banca Commerciale italiana, dove pubblicava la fortunata newsletter Tendenze Monetarie. A presentarmelo fu l’amministratore delegato della banca, Francesco Cingano, con cui avevo un cordiale rapporto da quando ero diventato nel 1976 direttore de Il Mondo che durante la direzione del fondatore, Mario Pannunzio, era stato il settimanale dei laici liberali, appunto come l’ad della prima banca italiana. Mario Monti cominciò a scrivere una opinione settimanale con il nome Moneta&Finanza. Ebbe subito successo e un giorno, con la cortesia che lo contraddistingue, mi confessò avrebbe scritto volentieri per il Corriere della Sera, della cui casa editrice Il Mondo faceva parte. C’era la combinazione favorevole che direttore del primo quotidiano italiano fosse Piero Ottone, che era stato il mio primo direttore al Secolo XIX di
Genova. Fissai l’incontro. Ottone fu molto gentile, avendo chiare le capacità di commentatore di Monti, ma ci dirottò su Michele Tito che come vicedirettore aveva la responsabilità dell’economia. Michele Tito si era candidato a fare anche il direttore de Il Mondo tanto che, per spingerlo, il comitato di redazione guidato da Raffaele Fiengo votò tre volte contro la mia nomina. Invano, perché Angelo Rizzoli aveva deciso.
Proprio per questo precedente Tito fini per trasferire sul professor Monti una sorte di freddezza dicendogli: «Abbiamo molti commentatori, quando avremo bisogno la chiameremo». Monti naturalmente non gradì e quando scendemmo in via Solferino era irritato.
Per fortuna i commenti che faceva per Il Mondo, compreso il lancio del deposito previo sulle esportazioni per evitare che i pagamenti alle aziende italiane rimanessero all’estero, erano così lucidi che ben presto Ottone lo chiamò anche al Corriere.
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Mi sono permesso questo ricordo personale non per aggiungerlo banalmente a quelli degli illustri personaggi, dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella in giù, i quali nel giorno di Sant’Ambrogio hanno dedicato il loro tributo a colui che è stato due volte commissario della Ue e una volta capo del governo italiano, nel momento in cui ha lasciato la presidenza dell’Università Bocconi per passare al piano più alto, l’Istituto Javotte Bocconi, che dell’ateneo ha il controllo.
Mi sono permesso per ricordare che già allora, giovanissimo, il professor Monti incideva sulle scelte politiche italiane. Quell’idea del deposito previo, per evitare che la valuta degli esportatori rimanesse all’estero, fu infatti adottata, dopo la pubblicazione dell’idea geniale su Il Mondo, dall’ex presidente della Comit, Gaetano Stammati, diventato nel frattempo (30 luglio 1976) ministro del Tesoro.
Storie di 46 anni fa ma esempi sempre utili da ricordare affinché altre idee nascano, avendo il paese Italia tuttora bisogno di soluzioni brillanti per evitare che la situazione economico-finanziaria del Paese collassi.
C’è un altro punto chiave, anche per il futuro, in questo caso dell’Italia e dell’Europa, che ha avuto un contributo fondamentale da Monti in combinata con il «dottor Sottile», come ha meritato di essere soprannominato Giuliano Amato, che da poco ha lasciato la presidenza della Corte Costituzionale. Ecco come ha spiegato quei passaggi chiave lo stesso Amato nel suo tributo a Monti: «Io ho presieduto l’Autorità italiana della concorrenza negli anni 90, ne sono stato il secondo presidente e l’ho vissuta come un missionario che pian piano conquista alla sua religione una terra di infedeli. La religione aveva la sua casa madre a Bruxelles, da decenni la comunità la predicava e la praticava, e solo nel 1990 si era riusciti a farla entrare in Italia. Trent’anni dopo posso dire che ancora gli infedeli non mancano, ma la concorrenza ha ben piantato le sue radici. Mario, già commissario europeo al mercato interno, passò con il suo secondo mandato nel ’99 alla concorrenza, e la sua impronta fu decisiva nel dare all’Antitrust europeo quella lungimirante attenzione alla struttura competitiva dei mercati, allora del tutto mancante all’Antitrust americano che si fermava al benessere immediato dei consumatori misurato sulla possibile discesa nell’immediato dei prezzi. General Electric – Honeywell del 2001 è rimasto negli annali come il caso che più evidenziava la differenza - che fu anche contrasto - fra le due impostazioni ed è una soddisfazione per Mario e per la nostra Europa che oggi negli Stati Uniti alle prese con i Big Tech il precedente da seguire sia diventato il nostro, non il loro, General Electric - Honeywell».
Amato ha ragione: solo da non molti mesi il presidente Joe Biden ha preso la decisione storica di ammodernare la legislazione antitrust, già introdotta in Usa alla fine XIX secolo per tagliare il potere della Standard Oil dei Rockefeller nel fondamentale settore, ancora oggi, del petrolio. Biden ha infatti nominato capo della Federal Trade Commission Lina Khan, professoressa di origini pakistane la quale ha riaffermato, con due libri, che l’obiettivo dell’antitrust non è solo quello di tenere bassi i prezzi e di soddisfare i consumatori ma anche di lasciare che sul mercato si possa formare una sana concorrenza, con la possibilità di aumentarla attraverso l’ingresso e lo sviluppo su quel mercato di vari concorrenti.
«Ma la concorrenza», ha continuato Amato, «ci ha anche unito in una medesima battaglia quando Mario era commissario alla concorrenza ed io vicepresidente della Convenzione Giscard sul futuro dell’Europa. Per quanto riguarda la concorrenza, alla Convenzione il lavoro era andato benissimo sino all’approvazione finale dei testi da parte della stessa Convenzione. Nell’articolo che sarebbe diventato l’attuale articolo 3, comma 2 del Trattato europeo, “l’Unione offre ai suoi cittadini uno spazio di libertà, di sicurezza, di giustizia eccetera”, avevamo anche scritto – e avevo concordato con Mario - , “e un mercato unico nel quale la concorrenza è libera e non distorta”. La concorrenza, dunque, fra gli obiettivi primari dell’Unione per Mario e me era una caratterizzazione irrinunciabile. Fu perciò amarissima la sorpresa che ci fece il governo francese quando annunciò che in sede di Conferenza intergovernativa avrebbe fatto cadere esattamente quel passaggio. Fu amarissima, anche perché erano inquietanti i propositi sottostanti una tale posizione. Corremmo per via informale entrambi alla ricerca di ripari che alla fine furono una toppa non entusiasmante, ma il massimo comunque che si potesse ottenere dopo un veto con la forza di quello francese. Nell’articolo 3 del Trattato è rimasto scritto che l’Unione instaura un mercato interno e nel protocollo 27 allegato al trattato le Parti contraenti affermano, e dunque aggiungono, che esso comprende un sistema che assicura anche che la concorrenza non sia falsata. Davvero una toppa, come ho appena detto, ma ci ha poi pensato la Commissione a mantenere alta l’asticella dello scrutinio antitrust. Che, lo dico con soddisfazione davanti alla presidente Ursula von der Leyen, è rimasto esemplare nel mondo».
Infatti, la Ue, con la vicepresidente Margrethe Vestager, è la prima al mondo ad approcciare il problema cosmico del controllo degli Ott da tutti i punti di vista: da quello che interessa direttamente tutti i cittadini all’informazione corretta e professionale, di cui gli editori di media tradizionali, se indipendenti, sono una garanzia per la democrazia; all’influenza perversa dei social; alla conquista di quote di mercato da monopolio nel commercio online, con testa Amazon, alla quale Lina Khan ha dedicato analisi nell’interesse fondamentale di tenere aperto il mercato agli altri operatori.
Quello di un mercato dove sono vietati i monopoli e gli oligopoli è un elemento fondamentale per la democrazia e la ripresa di un cammino nella medesima direzione degli Stati Uniti e dell’Europa unita è fondamentale non solo per le relazioni fra le due aree del mondo ma anche, e soprattutto, per la democrazia. Forse è proprio l’impegno comune in Europa di Amato e Monti che alla fine del suo tributo al professore e senatore a vita ha fatto dire a Ursula von der Leyen che «c’è più Italia in Europa».
Almeno questo dà dignità all’Italia, a fronte di un totale disallineamento con la media del debito pubblico dei paesi della Ue. Più del 150% di debito italiano rispetto al Pil non solo è lontano anni luce da quello tedesco (circa il 60%) ma appunto anche rispetto a quello dei paesi frugali o anche della stessa Spagna.
Sia Monti che Amato ritengono di avere fatto molto quando sono stati capi del governo. Erano momenti di vera emergenza ma nessuno di due si è impegnato per il più semplice e razionale dei progetti di riduzione, e cioè il taglio del debito con la vendita di beni che lo stato ha trasferito agli enti locali per un valore di oltre 500 miliardi.
Quando Monti organizzò a Villa d’Este una visita dell’allora presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, chiesi conferma a Monti se era confermato un nostro appuntamento a Palazzo Chigi. Usando la sua spiccata ironia mi rispose: “Ma come faccio a incontrarla, fino a quando non avrò tagliato il debito vendendo i beni passati agli enti locali?”. Non scherzava e infatti passò un po’ di tempo prima che la sua gentilissima assistente, Silvia Colombo, mi fissasse l’appuntamento.
Sono sicuro che a Monti ed Amato, anche se non hanno in questo momento impegni pubblici, sono ben note non tanto le idee fisse di questo giornale ma soprattutto la disponibilità dichiarata più volte dal ceo di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, di far realizzare alla banca fondi locali dove siano conferiti beni passati dallo stato e che per gli enti pubblici sono non un vantaggio ma un costo gestionale significativo. Non sfugge sicuramente né a Monti né ad Amato il rischio che l’Italia sta correndo con il suo debito superiore del 50% al suo fatturato (il Pil). Con un tale indebitamento qualsiasi azienda privata sarebbe condannata al fallimento. Soltanto le decisioni assunte dalla Bce con alla presidenza Mario Draghi hanno evitato un crack stile Grecia. Sarebbe quindi altamente lodevole che i due presidenti del Consiglio che hanno sentito i brividi più forti quando si sono trovati seduti a Palazzo Chigi, si facessero promotori o aderissero a un comitato che questo giornale è pronto a organizzare per attuare il progetto del taglio del debito con la formula immaginata e progettata da Messina. Li aspettiamo insieme a Messina a piè fermo.
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Sempre come tributo a Monti e alla sua esperienza europea, ma anche per il livello raggiunto dalla Bocconi come quarta nella classifica dei migliori atenei europei, è stata annunciata la fondazione, insieme all’Istituto Javotte Bocconi, dell’Institute for european policy-making. Poiché la missione dell’istituto sarà quello di condurre dibattiti e disseminare ricerca rigorosa sulle principali questioni di policy rilevanti per l’Europa, senza arrogarsi alcun diritto ItaliaOggi si permette di suggerire un tema fondamentale per l’Europa e per l’Italia: un’armoniosa distribuzione del risparmio complessivo dell’Europa, di cui, per una volta, l’Italia è leader, essendo il secondo paese al mondo per risparmio dei cittadini dopo il Giappone.
Come è ben noto al professor Monti, assistiamo al paradosso del grande debito pubblico italiano, pur avendo l’enorme risparmio di cui gli italiani sono capaci. Questo debito è enorme anche perché lo sviluppo dell’Italia non è adeguato a quello che potrebbe garantire il grande risparmio italiano. Ma in Italia il mercato dei capitali, la Borsa, è ridicola, specialmente dopo la sequela di delisting e di trasferimenti in altre piazze che pure fanno parte teoricamente della stessa borsa europea, Euronext. Così il 75% del risparmio italiano va a finanziare economie estere. Il fenomeno di delisting e di trasferimento di società quotate a Milano si è accentuato proprio dopo l’adesione di Piazza Affari a Euronext. Per una semplice ragione: Euronext ha sede ad Amsterdam, che fa concorrenza sleale a tutti offrendo tassazioni più agevolate, condizioni determinate per la gestione delle società e un diritto commerciale assolutamente agevolante.
Al tema, naturalmente, dovrebbe dedicarsi il governo italiano e ItaliaOggi lancia un’incessante campagna perché ciò avvenga. Certo, se, numeri e analisi alla mano, il nuovo Istituto Bocconi (essendo per di più presidente dell’Università il professor Andrea Sironi che per anni ha presieduto la Borsa) conducesse una profonda analisi sul tema in nome di una vera Europa equa e omogenea, dopo la battaglia per l’antitrust europeo il professor Monti potrebbe creare un forte movimento per mercati finanziari il più possibile equilibrati e non spiazzanti come avviene oggi.
Ci sarà una ragione perché il paese con l’economia più importante in Europa, la Germania, si è guardato bene dal far entrare la borsa di Francoforte in Euronext. O si fa l’Europa anche dei mercati finanziari, dopo l’uscita di Londra, o si muore. E Lei, professor Monti, dopo aver creato le basi per un mercato che rispetti le regole antitrust ha tutto il prestigio per provarci. Grazie se lo farà. Queste pagine sono a Sua disposizione come lo erano quelle de Il Mondo, quasi 50 anni fa.