il Fatto Quotidiano, 10 dicembre 2022
L’impero off shore degli Agnelli (due articoli)
Un patrimonio estero mai quantificato: forse, “l’altro” (e vero?) patrimonio di Gianni Agnelli, scomparso quasi 20 anni or sono il 23 gennaio 2003. Da aggiungere, a detta di sua figlia Margherita, a quello dichiarato in Italia: sottratto ai suoi diritti, attribuendolo a lungo alla madre e tenendolo al sicuro da occhi indiscreti in società offshore delle Isole Vergini Britanniche, con conti in Svizzera. E a riconoscere che esistesse un patrimonio estero dell’Avvocato, per la prima volta, sono per paradosso persino i legali dei fratelli John, Lapo e Ginevra Elkann, Luca Re ed Eugenio Barcellona, in una memoria depositata il 20 luglio 2020 al Tribunale di Torino dove, il 6 ottobre scorso, davanti al giudice Nicoletta Aloj, è cominciato il nuovo processo civile intentato da Margherita Agnelli contro i tre figli nati dal primo matrimonio con Alain Elkann. Un altro cruccio che occupa le aule di giustizia, dopo il brutto scherzo giocato dal cugino Andrea Agnelli per lo scandalo delle plusvalenze e degli stipendi alla Juventus.
Questa volta, la signora Margherita Agnelli de Pahlen (il cognome del suo secondo marito, Serge) non chiede più il “rendiconto” dell’eredità del padre, come accadde nella precedente causa avviata nel 2007 e conclusasi con una sconfitta, ma reclama l’eredità della madre Marella Caracciolo di Castagneto, morta nel 2019 all’età di 91 anni. Se le ragioni della figlia dell’Avvocato fossero accolte, tutti i beni in possesso di “donna Marella” o che aveva donato in vita ai suoi tre nipoti Elkann dovrebbero essere ripartiti assegnandole la quota “legittima” del 50%. Togliendo così a John il controllo della società Dicembre, il piccolo gioiello finanziario che gli consente (ne controlla il 60%, mentre Lapo e Ginevra hanno il 20% ciascuno) la maggioranza nell’accomandita di famiglia, l’olandese Giovanni Agnelli B.V: e, attraverso di essa, nell’impero di Exor, valutato tra i 30 e i 40 miliardi di euro, a cominciare dalla partecipazione in Stellantis.
Ma che cosa hanno scritto i legali degli Elkann? Una nota volutamente sarcastica, per sminuire le tesi di Margherita: l’esistenza del patrimonio estero sarebbe dunque un “segreto di Pulcinella” e non invece una “scoperta straordinaria” come vorrebbe far credere la figlia dell’Avvocato. Un patrimonio, aggiungono, “che non era stato dichiarato al fisco italiano”: “Quali fossero le ragioni di questa mancata dichiarazione… non è affatto rilevante in questa sede”. Mentre sarebbe invece evidente perché, come nel 2007, la figlia dell’avvocato solleva quella circostanza: “Per poter edificare la leva della pressione mediatica”.
La partita su quale fosse davvero l’asse ereditario di Gianni Agnelli è considerata però da Margherita e dal suo legale, l’avvocato milanese Fabio Trevisan, strategica per il nuovo processo la cui prossima udienza dovrebbe tenersi in primavera. Per ottenere che l’eredità di Marella sia regolata dal codice civile italiano e non dalle norme svizzere, facendo decadere quell’accordo “successorio”, firmato tra le due Agnelli nel febbraio del 2004 in territorio elvetico, dopo la prima contesa familiare sui beni dell’Avvocato. In quel testo, Margherita rinunciava per sempre all’eredità della madre, dopo aver rinunciato poco prima con un accordo “transattivo” anche a quella del padre. In cambio di una “liquidazione” di un miliardo e 200 milioni di euro a detta, sin dal 2007, dei legali che tutelavano allora la madre Marella e i “consiglieri” dell’Avvocato, Gianluigi Gabetti, Franzo Grande Stevens e Siegfred Maron, gestore del “family office” degli Agnelli a Ginevra. Una cifra ora ribadita da Re e Barcellona, ma che l’entourage della signora De Pahlen ha sempre ridotto a poco più di 700 milioni.
LEGGI – Il “lodo Svizzera”: la madre di John e Lapo rivuole una parte di Exor
Nel nuovo match giudiziario di questa saga familiare, Margherita Agnelli ha cercato di ricostruire ancora quel patrimonio. Per dimostrare – questo è uno degli snodi del processo – che esso le fu occultato e trasferito nella disponibilità della madre. Per poi ottenere che, convincendola a firmare gli accordi svizzeri, il controllo di Dicembre, attraverso le donazioni prima dell’Avvocato e poi di Marella a John e ai due fratelli, segnasse il futuro della dinastia. Quello tratteggiato il 17 luglio 1996, nella cosiddetta “lettera di Monaco”: una pagina scritta a mano a Montecarlo da Gianni Agnelli, prima di un intervento al cuore, nella quale assegnava al nipote il ruolo di successore. Donandogli la propria quota di Dicembre e prescrivendo che gli altri eredi, la moglie Marella e i figli Edoardo e Margherita, fossero liquidati con beni di pari valore.
Che cosa hanno trovato allora gli analisti ingaggiati da Margherita? Sedici società offshore, tutte nelle Isole Vergini Britanniche e con conti in Svizzera: nella Morgan Stanley Ag di Zurigo. Alcune cessate da tempo, molte costituite con Agnelli ancora in vita, altre create subito dopo la morte o negli anni successivi e, infine, in buona parte riconducibili a Marella Caracciolo.
Per undici di esse è stato possibile raccogliere solo i dati sull’anno di costituzione (tutte nel 1998) e le denominazioni. Perlopiù in lingua inglese, come Chelmsford Finance Ltd o Marimbeach S.A., o spagnola: come Samero Investment Ltd e Cortemadera Holding S.A. Non è dato sapere chi fosse il beneficiario, ma sono dichiarate come riconducibili a “menbers of Agnelli family”.
Molto più dettagliate le informazioni sulle altre cinque: riferibili ogni volta a Marella Caracciolo e, in un caso, con un patrimonio che sfiora il miliardo di dollari. Ecco dunque la Budeena Consulting Inc., costituita il 12 luglio 2004, dopo gli accordi “transattivo” e “successorio”, con beneficiaria la vedova Agnelli che, secondo un’attestazione, avrebbe ricevuto “questi beni derivanti da patrimoni Agnelli”. È stata anche ricostruita una “cassa” di 900 milioni di dollari. Non risulta se sia cessata e se esista un nuovo beneficiario.
Tocca ora alla Layton S.A.B.V.I., il cui conto di riferimento, sempre presso Morgan Stanley AG, era stato chiuso nel 2003. In due comunicazioni postume, nel 2006, Marella era indicata come beneficiaria. Centrale, in questa ricostruzione, è poi la Silkestone Invest Corporation B.V.: attivata il 4 gennaio 2000, con conto sempre a Zurigo. Una comunicazione del 15 marzo 2007 confermava che la beneficiaria era la madre di Margherita. Fu dal conto svizzero di Silkestone che vennero trasferiti alla figlia, dopo l’accordo “transattivo” del 2004, 109 milioni di euro come parte della sua liquidazione. La signora De Pahlen chiese chi avesse ordinato quel pagamento, ma la risposta della banca fu lapidaria: “Il titolare del conto ci consiglia di non rispondere a questa domanda”. Strategica è anche la Fima Finance Management Inc., domiciliata presso la Dragon Consulting Ag (gestita da Siegfred Maron e cessata poi nel 2017). Quando i legali dell’epoca di Margherita chiesero il 13 luglio 2007 a Morgan Stanley Zurigo se esistessero conti riferibili all’Avvocato, scattò uno strano cortocircuito: sette giorni dopo, la banca replicò dicendo che “Giovanni Agnelli è sconosciuto a questo istituto”. L’8 novembre successivo, invece, la stessa banca, interrogata su Fima, affermava che “beneficiario” era stato proprio l’Avvocato. Le ricerche degli analisti di Margherita, infine, hanno accertato che agli inizi del 2004, prima del patto “successorio” e dunque quando la signora De Pahlen era ancora “coerede”, quel ruolo era già passato alla madre. L’elenco si chiude con la Silver Tioga Inc. B.V.I., costituita il 3 agosto 2007. Nel 2017, il suo investor advising dichiarava che beneficiaria del relativo conto era Marella Caracciolo. Quanto alla sua “ricchezza”, essa era riferibile a: “Estate of Giovanni Agnelli”.
Una galassia offshore: quanto denaro ha “conservato” o ancora “conserva”? Qualcosa che ora può pesare nella causa, ma anche risvegliare l’attenzione dell’Agenzia delle Entrate che, già nel 2010, comminò una sanzione di 100 milioni di euro per l’evasione sul patrimonio estero dell’Avvocato: gli stessi Barcellona e Re lo rievocano. Un provvedimento che colpì figlia e madre in parti uguali: ma fu solo Marella Caracciolo a saldare i conti col fisco.
***
Se questa storia nascesse dalla fantasia di uno scrittore, potrebbe offrire il titolo a un poliziesco alla maniera di Agatha Christie: “Il mistero dei tre testamenti”. Invece, è messa nero su bianco in un atto giudiziario depositato, per conto di Margherita Agnelli, presso il Tribunale di Torino. Lo firma il suo avvocato, Dario Trevisan, che ha avviato la causa per invalidare il passaggio dell’eredità di Marella Agnelli, la vedova dell’Avvocato, ai tre nipoti John, Lapo ed Elkann, escludendo la sua erede legittima: la figlia Margherita, madre dei tre Elkann. Trevisan non usa mezzi termini e fa un’affermazione di forte responsabilità: contesta, infatti, “la veridicità delle firme” o, quantomeno, di una delle tre disposizioni testamentarie della moglie del “signor Fiat”, scomparsa nel 2019, 16 anni dopo il marito. Si tratta di un passaggio molto delicato e cruciale per il processo (apertosi il 6 ottobre scorso) che ora attende la fissazione della seconda udienza nella quale il giudice monocratico del Tribunale di Torino, Nicoletta Aloj, dovrà decidere prima se alla causa si possa applicare la giurisdizione italiana e poi se si possa procedere subito alla sua discussione o se sia invece necessario attendere la definizione di un analogo dibattimento avviato nel 2019 in Svizzera. Questa volta dai tre fratelli Elkann contro la madre Margherita: il 23 febbraio, nello stesso giorno della morte della nonna.
Tre sono le sostanziali doglianze della figlia dell’Avvocato a Torino. La prima riguarda la validità dell’accordo “successorio”, firmato nel 2004 secondo la legge svizzera e a Ginevra, nel quale rinunciava a qualsiasi eredità di Marella Caracciolo, così come aveva fatto subito prima, accettando invece un accordo “transattivo” con il quale – questa volta – rinunciava all’eredità del padre. Il “combinato disposto” di quei due atti, sottraendo al Codice Civile italiano la definizione delle due successioni, ha poi consentito che si ricostituissero, in capo a John, le quote societarie e il ruolo esercitato nella dinastia dall’Avvocato. Margherita, però, oggi contesta la legittimità di quegli atti: la madre Marella, cittadina italiana, pur con la residenza formale in Svizzera, non avrebbe mai trascorso in territorio elvetico, anche nel 2004, gli almeno sei mesi di ogni anno necessari per poter gestire le proprie questioni ereditarie secondo la legislazione di un altro Paese. Le investigazioni avviate dalla figlia dell’Avvocato, e prodotte in causa, avrebbero certificato che la vedova di Gianni Agnelli non avrebbe mai vissuto più di 2-3 mesi all’anno in Svizzera. Trascorrendo invece la maggior parte della sua vita a Torino o in Marocco, nel riad “Ain Kassimou” di Marrakech. Circostanze che, se confermate nel processo, farebbero cadere quegli accordi di quasi 20 anni fa: la successione della cittadina italiana Marella Caracciolo dovrebbe essere regolata in Italia, così come prevede anche, nel caso della mancanza del requisito di una residenza effettiva, una convenzione tra il nostro Paese e la Svizzera del 1868, tuttora in vigore. A quel punto, Margherita Agnelli tornerebbe a essere l’erede legittima della madre.
La seconda contestazione riguarda l’esistenza di un sostanzioso “patrimonio estero” riferibile a Gianni Agnelli (il Fatto Quotidiano ha dato conto ieri, 9 dicembre 2022, della galassia completa di società offshore così come l’hanno ricostruita gli analisti finanziari di Margherita), movimentato o trasferito su società nei paradisi fiscali delle Isole Vergini Britanniche e con conti di riferimento alla Morgan Stanley A.G. di Zurigo: dopo la morte dell’Avvocato, prima e dopo la firma degli accordi del 2004 a Ginevra e, infine, via via intestandolo poi a Marella. L’ultimo scontro, ma forse non il meno importante nella difficile battaglia che si sta svolgendo nel processo torinese, riguarda invece proprio i “tre testamenti” di Marella Caracciolo di Castagneto. Dunque, la memoria nella quale il legale di Margherita ha scritto le parole più pesanti (“la veridicità della firme”).
Va subito chiarito che il vero testamento (“Atto Notarile di un Testamento Pubblico, n. 3693”) della vedova dell’Avvocato è uno solo, cui sono seguite due “aggiunte”. Entrambe non di scarsa rilevanza, però, come vedremo: soprattutto l’ultima.
Il primo documento, scritto in originale in lingua italiana (ma con parecchi errori e strafalcioni), è stato redatto il 12 agosto 2011 da un notaio di Gstaad. Esso appare come una sorta di “cornice” generale che intenderebbe ordinare una volta per tutte le volontà della signora. Che dichiara di voler “sottoporre esclusivamente al diritto svizzero… e ai tribunali competenti la mia successione”, richiama l’accordo “successorio” con Margherita “del 5 marzo 2004” nel quale la figlia “ha rinunciato ai diritti della porzione legittima”, revoca “tutti predenti testamenti” e, infine, indica i suoi unici eredi “in parti uguali”: John, Lapo e Ginevra Elkann.
La gestione del testamento da parte del notaio è avvenuta secondo le regole del diritto elvetico. Che prevede due diverse procedure. Nella prima, se è il testatore a dettare direttamente al notaio le sue volontà, il professionista redige poi l’atto davanti a lui e infine glielo fa leggere. Solo dopo, fa entrare due testimoni che danno atto che il testatore dichiara di aver letto e di condividere il contenuto esatto del testo, assistono alla doppia firma da parte del cliente e del notaio e, infine, certificano la “capacità di disporre” del primo. Se invece il testatore ha dato disposizioni precedenti al notaio, affidandogli il compito di preparare la stesura delle sue ultime volontà, allora i testimoni dovranno essere presenti sin dall’inizio e assistere anche alla lettura del testo finale da parte del testatore.
Per tutti i tre gli atti testamentari di Marella Caracciolo, la procedura scelta è sempre stata la prima e le coppie di testimoni chiamati a certificare le sue volontà non furono sempre identiche, con un alternarsi di presenze e assenze successive, mentre non è dato sapere se tutti i loro componenti conoscessero la lingua italiana con la quale sono stati redatti i documenti, mentre si sa che Marella Caracciolo non conosceva quella tedesca e che il notaio, a sua volta, avrebbe una scarsa dimestichezza con l’italiano.
La prima “aggiunta” (al Testamento pubblico n. 3693) è del 14 agosto 2014, sempre innanzi al notaio svizzero e contiene assegnazioni di beni ai tre eredi. A John va la casa delle vacanze invernali dell’Avvocato, la villa Chesa Alkyone di Sankt Moritz (compresi prato, pascolo e ipoteche per un mutuo bancario); a Lapo la Chesa Mezdi, sempre a Sankt Moritz (con prato, pascolo e obblighi per il mutuo); a Ginevra la casa di abitazione di Lauenen (con obblighi per il mutuo), quella preferita dalla nonna. Il 22 agosto 2014, ecco infine la seconda “aggiunta”: ancora gestita dallo stesso notaio. Una sorta di “blindatura” della competenza svizzera sulla successione.
La vedova dell’Avvocato, infatti, ribadisce la validità dell’accordo “successorio” del 2004 (questa volta, però, la data indicata è diversa: 2 marzo invece di 5 marzo) e conferma di voler comunque diseredare la figlia (“Mi sono giunte indicazioni che avrebbe intenzione di contestare la validità di questo pacte successoral. Nel caso dovesse contestarlo e nel caso che questa contestazione abbia successo, io dispongo che non riceva alcun bene aggiuntivo della mia successione”). Il finale, invece, costituisce una sorta di atto d’amore “giuridico” per la Confederazione Svizzera: “È il centro delle mie attività da oltre 40 anni. Qui ho organizzato la mia vita, il mio patrimonio e la mia successione. Di recente passo del tempo nel Marocco a causa del clima; questo Paese non ha un sistema legale conforme alle mie tradizioni. Perciò confermo che la mia successione sia sottoposta al diritto svizzero”. Dunque, nessun Codice Civile italiano applicabile ma anche, per paradosso, nessuna possibile ingerenza delle norme di quel Marocco dove la signora avrebbe trascorso lunghi soggiorni (forse persino più consistenti di quelli svizzeri). L’ultima singolarità riguarda la datazione dei tre atti: tutti redatti nel mese di agosto. Quando è più probabile che Marella fosse nella sua casa di Lauenen e ricevesse visite e compagnia dai suoi tre nipoti.
Ora, su quei tre documenti, l’avvocato Trevisan ha allegato due diverse perizie grafologiche affidate ad altrettanti esperti iscritti al relativo albo presso tribunali italiani. Il doppio e distinto esame – effettuato, va però aggiunto, su fotocopie – è univoco e, se dovesse mai trovare conferme giudiziarie, diventerebbe addirittura clamoroso: in un crescendo di giudizi da parte dei due periti. La prima firma (scritta per esteso: “Marella Caracciolo Agnelli”) del testamento del 2011, quando la vedova dell’Avvocato aveva 84 anni, è definita “autografa, ma con margini d’incertezza”. La seconda (ancora per esteso, ma con molte differenze rispetto alla prima e quando l’età era salita a 85 anni) è giudicata “apocrifa, con grado di probabilità”. La terza, questa volta, è solo una sigla, “M. C. A.” (l’età intanto era arrivata a 87 anni), ed è bollata dalle perizie come “apocrifa, con elevata probabilità”.
“Il mistero dei tre testamenti”, appunto: come avrebbe scritto Agatha Christie.
Se questa storia nascesse dalla fantasia di uno scrittore, potrebbe offrire il titolo a un poliziesco alla maniera di Agatha Christie: “Il mistero dei tre testamenti”. Invece, è messa nero su bianco in un atto giudiziario depositato, per conto di Margherita Agnelli, presso il Tribunale di Torino. Lo firma il suo avvocato, Dario Trevisan, che ha avviato la causa per invalidare il passaggio dell’eredità di Marella Agnelli, la vedova dell’Avvocato, ai tre nipoti John, Lapo ed Elkann, escludendo la sua erede legittima: la figlia Margherita, madre dei tre Elkann. Trevisan non usa mezzi termini e fa un’affermazione di forte responsabilità: contesta, infatti, “la veridicità delle firme” o, quantomeno, di una delle tre disposizioni testamentarie della moglie del “signor Fiat”, scomparsa nel 2019, 16 anni dopo il marito. Si tratta di un passaggio molto delicato e cruciale per il processo (apertosi il 6 ottobre scorso) che ora attende la fissazione della seconda udienza nella quale il giudice monocratico del Tribunale di Torino, Nicoletta Aloj, dovrà decidere prima se alla causa si possa applicare la giurisdizione italiana e poi se si possa procedere subito alla sua discussione o se sia invece necessario attendere la definizione di un analogo dibattimento avviato nel 2019 in Svizzera. Questa volta dai tre fratelli Elkann contro la madre Margherita: il 23 febbraio, nello stesso giorno della morte della nonna.
Tre sono le sostanziali doglianze della figlia dell’Avvocato a Torino. La prima riguarda la validità dell’accordo “successorio”, firmato nel 2004 secondo la legge svizzera e a Ginevra, nel quale rinunciava a qualsiasi eredità di Marella Caracciolo, così come aveva fatto subito prima, accettando invece un accordo “transattivo” con il quale – questa volta – rinunciava all’eredità del padre. Il “combinato disposto” di quei due atti, sottraendo al Codice Civile italiano la definizione delle due successioni, ha poi consentito che si ricostituissero, in capo a John, le quote societarie e il ruolo esercitato nella dinastia dall’Avvocato. Margherita, però, oggi contesta la legittimità di quegli atti: la madre Marella, cittadina italiana, pur con la residenza formale in Svizzera, non avrebbe mai trascorso in territorio elvetico, anche nel 2004, gli almeno sei mesi di ogni anno necessari per poter gestire le proprie questioni ereditarie secondo la legislazione di un altro Paese. Le investigazioni avviate dalla figlia dell’Avvocato, e prodotte in causa, avrebbero certificato che la vedova di Gianni Agnelli non avrebbe mai vissuto più di 2-3 mesi all’anno in Svizzera. Trascorrendo invece la maggior parte della sua vita a Torino o in Marocco, nel riad “Ain Kassimou” di Marrakech. Circostanze che, se confermate nel processo, farebbero cadere quegli accordi di quasi 20 anni fa: la successione della cittadina italiana Marella Caracciolo dovrebbe essere regolata in Italia, così come prevede anche, nel caso della mancanza del requisito di una residenza effettiva, una convenzione tra il nostro Paese e la Svizzera del 1868, tuttora in vigore. A quel punto, Margherita Agnelli tornerebbe a essere l’erede legittima della madre.
La seconda contestazione riguarda l’esistenza di un sostanzioso “patrimonio estero” riferibile a Gianni Agnelli (il Fatto Quotidiano ha dato conto ieri, 9 dicembre 2022, della galassia completa di società offshore così come l’hanno ricostruita gli analisti finanziari di Margherita), movimentato o trasferito su società nei paradisi fiscali delle Isole Vergini Britanniche e con conti di riferimento alla Morgan Stanley A.G. di Zurigo: dopo la morte dell’Avvocato, prima e dopo la firma degli accordi del 2004 a Ginevra e, infine, via via intestandolo poi a Marella. L’ultimo scontro, ma forse non il meno importante nella difficile battaglia che si sta svolgendo nel processo torinese, riguarda invece proprio i “tre testamenti” di Marella Caracciolo di Castagneto. Dunque, la memoria nella quale il legale di Margherita ha scritto le parole più pesanti (“la veridicità della firme”).
Va subito chiarito che il vero testamento (“Atto Notarile di un Testamento Pubblico, n. 3693”) della vedova dell’Avvocato è uno solo, cui sono seguite due “aggiunte”. Entrambe non di scarsa rilevanza, però, come vedremo: soprattutto l’ultima.
Il primo documento, scritto in originale in lingua italiana (ma con parecchi errori e strafalcioni), è stato redatto il 12 agosto 2011 da un notaio di Gstaad. Esso appare come una sorta di “cornice” generale che intenderebbe ordinare una volta per tutte le volontà della signora. Che dichiara di voler “sottoporre esclusivamente al diritto svizzero… e ai tribunali competenti la mia successione”, richiama l’accordo “successorio” con Margherita “del 5 marzo 2004” nel quale la figlia “ha rinunciato ai diritti della porzione legittima”, revoca “tutti predenti testamenti” e, infine, indica i suoi unici eredi “in parti uguali”: John, Lapo e Ginevra Elkann.
La gestione del testamento da parte del notaio è avvenuta secondo le regole del diritto elvetico. Che prevede due diverse procedure. Nella prima, se è il testatore a dettare direttamente al notaio le sue volontà, il professionista redige poi l’atto davanti a lui e infine glielo fa leggere. Solo dopo, fa entrare due testimoni che danno atto che il testatore dichiara di aver letto e di condividere il contenuto esatto del testo, assistono alla doppia firma da parte del cliente e del notaio e, infine, certificano la “capacità di disporre” del primo. Se invece il testatore ha dato disposizioni precedenti al notaio, affidandogli il compito di preparare la stesura delle sue ultime volontà, allora i testimoni dovranno essere presenti sin dall’inizio e assistere anche alla lettura del testo finale da parte del testatore.
Per tutti i tre gli atti testamentari di Marella Caracciolo, la procedura scelta è sempre stata la prima e le coppie di testimoni chiamati a certificare le sue volontà non furono sempre identiche, con un alternarsi di presenze e assenze successive, mentre non è dato sapere se tutti i loro componenti conoscessero la lingua italiana con la quale sono stati redatti i documenti, mentre si sa che Marella Caracciolo non conosceva quella tedesca e che il notaio, a sua volta, avrebbe una scarsa dimestichezza con l’italiano.
La prima “aggiunta” (al Testamento pubblico n. 3693) è del 14 agosto 2014, sempre innanzi al notaio svizzero e contiene assegnazioni di beni ai tre eredi. A John va la casa delle vacanze invernali dell’Avvocato, la villa Chesa Alkyone di Sankt Moritz (compresi prato, pascolo e ipoteche per un mutuo bancario); a Lapo la Chesa Mezdi, sempre a Sankt Moritz (con prato, pascolo e obblighi per il mutuo); a Ginevra la casa di abitazione di Lauenen (con obblighi per il mutuo), quella preferita dalla nonna. Il 22 agosto 2014, ecco infine la seconda “aggiunta”: ancora gestita dallo stesso notaio. Una sorta di “blindatura” della competenza svizzera sulla successione.
La vedova dell’Avvocato, infatti, ribadisce la validità dell’accordo “successorio” del 2004 (questa volta, però, la data indicata è diversa: 2 marzo invece di 5 marzo) e conferma di voler comunque diseredare la figlia (“Mi sono giunte indicazioni che avrebbe intenzione di contestare la validità di questo pacte successoral. Nel caso dovesse contestarlo e nel caso che questa contestazione abbia successo, io dispongo che non riceva alcun bene aggiuntivo della mia successione”). Il finale, invece, costituisce una sorta di atto d’amore “giuridico” per la Confederazione Svizzera: “È il centro delle mie attività da oltre 40 anni. Qui ho organizzato la mia vita, il mio patrimonio e la mia successione. Di recente passo del tempo nel Marocco a causa del clima; questo Paese non ha un sistema legale conforme alle mie tradizioni. Perciò confermo che la mia successione sia sottoposta al diritto svizzero”. Dunque, nessun Codice Civile italiano applicabile ma anche, per paradosso, nessuna possibile ingerenza delle norme di quel Marocco dove la signora avrebbe trascorso lunghi soggiorni (forse persino più consistenti di quelli svizzeri). L’ultima singolarità riguarda la datazione dei tre atti: tutti redatti nel mese di agosto. Quando è più probabile che Marella fosse nella sua casa di Lauenen e ricevesse visite e compagnia dai suoi tre nipoti.
Ora, su quei tre documenti, l’avvocato Trevisan ha allegato due diverse perizie grafologiche affidate ad altrettanti esperti iscritti al relativo albo presso tribunali italiani. Il doppio e distinto esame – effettuato, va però aggiunto, su fotocopie – è univoco e, se dovesse mai trovare conferme giudiziarie, diventerebbe addirittura clamoroso: in un crescendo di giudizi da parte dei due periti. La prima firma (scritta per esteso: “Marella Caracciolo Agnelli”) del testamento del 2011, quando la vedova dell’Avvocato aveva 84 anni, è definita “autografa, ma con margini d’incertezza”. La seconda (ancora per esteso, ma con molte differenze rispetto alla prima e quando l’età era salita a 85 anni) è giudicata “apocrifa, con grado di probabilità”. La terza, questa volta, è solo una sigla, “M. C. A.” (l’età intanto era arrivata a 87 anni), ed è bollata dalle perizie come “apocrifa, con elevata probabilità”.
“Il mistero dei tre testamenti”, appunto: come avrebbe scritto Agatha Christie.