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 2022  dicembre 10 Sabato calendario

Storia dell’eroina

«Ho iniziato a studiare la storia dell’eroina e della costruzione sociale del drogato qualche anno fa», spiega Vanessa Roghi nelle pagine iniziali di questo saggio: «Volevo affrontare in prospettiva storiografica l’esperienza che aveva vissuto mio padre insieme a tanti ragazzi e ragazze della sua generazione». Così al coinvolgente racconto autobiografico diPiccola città del 2018 va ad aggiungersi oggi Eroina,un’agile storia sociale della droga per eccellenza nel nostro Paese, con frequenti richiami alle parallele e molto influenti vicende statunitensi ( parte del lavoro di ricerca è stato condotto infatti a New York, con una fellowship alla Columbia), chesi muove tra ricerca storica e reportage, andando a dissodare un campo di studi pressoché vergine.
«A me non interessa Escobar, ma il drogato», aggiunge programmaticamente l’autrice. Perché l’assunzione di sostanze, e in particolare di quella che, quando irruppe sul mercato con brevetto Bayer come evoluzione della morfina a fine Ottocento – definita “eroica” perché «potentissima in minuscole quantità» – venne celebrata come «il miglior analgesico», ha a che fare con l’essere umano e i suoi bisogni profondi. Da quest’angolazione, il modo in cui, attraverso i decenni, sono trattati, e rappresentati, l’eroina e i suoi utilizzatori, una parabola che vede quella una sostanza originariamente medicinale trasformarsi in una calamità, e il tossicodipendente oscillare tra lo status di malato e quello di “deviante”, diventa il punto di partenza per sollevare domande più ampie e profonde, che percorrono il libro intero: cos’è un reato, e perché un atto diventa tale? Perché il “drogato” fatanta paura? Quale dovrebbe essere l’obiettivo del trattamento delle dipendenze? Possiamo considerare un progetto di vita legittimo anche limitarsi a trovare un modus vivendi con l’eroina, secondo la logica umile e umanissima della “riduzione del danno”? Roghi si pone, e ci pone, domande scomode, ma necessarie, mentre smonta con pazienza stereotipi, pregiudizi e luoghi comuni sulla scorta di un ricco repertorio di fonti che spazia dalle statistiche ai testi delle canzoni, dalle cronache alla letteratura, agli studi sociologici e di farmacologia. Perché, purtroppo, il discorso pubblico sulla droga, ieri come oggi, in Italia e non solo, si svolge nel segno del cosiddetto «sapere intuitivo», ovvero su valutazione basate su un «senso comune» che, quando si tratta di fenomeni sociali complessi e questioni medico- scientifiche, troppo spesso conduce drammaticamente fuori strada l’opinione pubblica, finendo per condizionare persino gli studiosi.
Lo stigma che si abbatte sui tossicodipendenti sorge con la criminalizzazione dell’uso delle sostanze. L’Italia è influenzata in modo precoce e profondo dall’approccio proibizionista statunitense, la «guerra alla droga» che s’impone come risposta ai traffici transatlantici di stupefacenti gestiti da Cosa Nostra. La bufala colossale del «barcone dei drogati» sul Tevere sbattuta in prima pagina dalTempo nel marzo del ’ 70 inaugura una stagione in cui demonizzare le sostanze serve anche a criminalizzare i “sovversivi”. Dalla seconda metà degli anni Settanta, mentre cresce il numero degli eroinomani e dei morti per overdose, fanno capolino nel discorso pubblico le prime «narrazioni dall’interno», tra cui spicca quella di Paz, Andrea Pazienza. Voci lucide, a volte ironiche, soverchiate però dalle campagne stampa che negli anni Ottanta alimentano il «panico morale». Così, dopo gli spiragli della legislazione del 1975 (che prevedeva la creazionedi presidi pubblici per la cura dei tossicomani), arrivano norme che con rinnovato slancio appiattiscono la dipendenza sulla devianza e riempiono il carcere di “tossici” e piccolissimi spacciatori. La comparsa dell’Aids accentua la vecchia assimilazione della tossicodipendenza a una “colpa”, al pari della sieropositività. L’uso del metadone, degradato a “droga di Stato”, per anni è oggetto di una massiccia campagna denigratoria, mentre prende forma il mito salvifico delle comunità gestite da figure eroiche a metà tra il supereroe e il padre- padrone, primo tra tutti Vincenzo Muccioli con San Patrignano. Roghi, invece, ci restituisce un quadro composito popolato di molteplici realtà, tra cui le meno note finiscono per essere proprio quelle che propongono un approccio pragmatico e diversificato al trattamento della tossicodipendenza, nella consapevolezza che dietro l’abuso di sostanze ci sono vissuti e dinamiche complesse, che richiedono risposte il più possibile personalizzate. Contro una mitologia volontaristica intrisa di individualismo neoliberista, Roghi ci ricorda che le politiche sociali e sanitarie hanno un peso enorme. Cerchiamo di tenerlo a mente: di eroina si muore ancora, l’approccio alle sostanze da parte di chi le usa è cambiato molto, mentre persiste, purtroppo, l’incapacità dei media e della politica di parlarne in modo serio e insieme umano.