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 2022  dicembre 10 Sabato calendario

I giudici fascisti perdonati

È stata definita a ragione la pagina più buia di tutta la storia giuridica italiana. Ai magistrati compromessi con il fascismo, ai più colpevoli, dedica un capitolo molto documentato Saverio Gentile, in un bel libro a cura di Guido Neppi Modona e Antonella Meniconi, L’epurazione mancata:argomento già arato nell’ambito degli studi storici, ma che non finisce di sorprendere per le luminose carriere destinate nell’Italia repubblicana a chi si era distinto per zelo nella persecuzione contro gli ebrei. L’essere stati coinvolti nella campagna razzista non solo ebbe scarsa rilevanza nei processi epurativi, ma in molti casi sembra che sia stato «un titolo di merito»: lo rileva Neppi Modona a proposito dei magistrati del Tribunale della razza più tardi nominati giudici della Corte costituzionale.
Il caso più noto è quello di Gaetano Azzariti, presidente della commissione chiamata a decidere sulla “arianità” approdato nel 1957 alla guida della Consulta ( e fino a non molto tempo fa effigiato in un busto marmoreo nel Palazzo settecentesco in piazza del Quirinale). Ma quello di Azzariti non è l’unico nome che possa vantare l’incredibile passaggio dal monstrum giuridico creato dal fascismo nel 1939 all’istituzione preposta a vigilare sulla Costituzione antifascista. Anche Antonio Manca e Giuseppe Lampis, attivi nella commissione della famigerata “Demorazza”, negli anni Cinquanta beneficiarono dello “scivolo d’oro” fino agli alti scranni della Corte costituzionale.
L’ossequio di ampia parte dei giudici alla campagna razziale è documentato anche dalla impressionante presenza dei più bei nomi dell’alta magistratura nel consiglio scientifico di una rivista intitolata Il Diritto razzista, dove si poteva leggere che «nei giuristi ebrei manca il senso del diritto essendo privi di quel sentimento di equità e di sociale giustizia che proviene dall’istinto». La collaborazione alla testata, non imposta da Mussolini ma mossa dal desiderio di ottenerne benefici e progressioni in carriera, nel dopoguerra non sarebbe stata ritenuta un capo di imputazione nel processo epurativo. Con una sola eccezione che riguardò Domenico Rende, presidente di Sezione della Corte di cassazione, messo sotto accusa per due articoli pubblicati sulla rivista. Il magistrato ebbe però buon gioco nel mostrare il paradosso secondo il quale rischiava di essere epurato l’autore di un commento sulle leggi fasciste, mentre gli artefici di quelle stesse leggi venivano «lasciati tranquilli». Un paradosso difficilmente contestabile.
Mario Baccigalupi, considerato «il vero teorizzatore dell’edificio giuridico razziale italiano» – firma molto presente ne La Difesa della razza, organo della campagna antisemita – fu sottoposto a giudizio di epurazione ma incredibilmente prosciolto in prima istanza, con successiva fulgida carriera che lo porta nel 1965 agli apici della Cassazione. Tra i consiglieri di Cassazione troviamo negli stessi anniCarlo Alliney, stretto collaboratore di Giovanni Preziosi nella ferocia antisemita di Salò. E fa un certo effetto leggere che avrebbe avuto carriera più modesta un magistrato coraggioso della sponda opposta, Giuseppe Odorisio, che cercò di incriminare alcuni feroci capobanda repubblichini: resistere agli aguzzini della Rsi non fu certo una medaglia al merito, almeno sul piano della promozione agli alti gradi. L’elenco dei magistrati passati indenni attraverso l’epurazione è piuttosto lungo. E può colpire che alcuni di quelli che s’erano resi responsabili della vergogne razziste sarebbero stati chiamati nel dopoguerra a giudicare gli ebrei che chiedevano di essere risarciti per i diritti calpestati. Con esiti diversi nelle sentenze.
L’epurazione funzionò di più con i magistrati coinvolti nel Tribunale Speciale del fascismo, l’organo repressivo attraverso cui passarono i vertici dell’antifascismo. Là dove non arrivò la giustizia penale, anche a causa dell’amnistia, intervenne l’epurazione amministrativa, come dimostra il caso di Michele Isgrò, il pubblico ministero del processo contro Gramsci a cui è stata attribuita la celebre invettiva: «Bisogna impedire a quel cervello di funzionare per altri vent’anni»: il suo reato fu dichiarato estinto dall’amnistia concessa da Togliatti, ma Isgrò era stato già messo a riposo nel 1945, perché c’era un limite oltre il quale le compromissioni non potevano essere accettate.
I saggi raccolti ne L’epurazione mancata ci mostrano ancora una volta che i conti con il fascismo non furono mai fatti nello Stato repubblicano, e «troppe eredità, scorie vischiosità» finirono per transitare nel cuore della democrazia. Cosa sarebbe accaduto se queste persone fossero state allontanate dall’esercizio delicato della giurisdizione? I curatori non sfuggono alla domanda. «La nuova Repubblica avrebbe camminato più velocemente sul piano delle conquiste democratiche, senza dover attendere ulteriori decenni». Ed è questa una delle ragioni per cui il libro merita di essere letto.