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 2022  dicembre 10 Sabato calendario

Il primo ritratto della storia

Secondo Plinio il Vecchio, la ritrattistica ebbe inizio dalla paura dell’amore perduto. Nel libro 35 della sua Storia Naturale, racconta la vicenda della figlia di Butade, un vasaio di Sicione che «per primo trovò l’arte di foggiare ritratti in argilla, e questo a Corinto, per merito della figlia che, presa d’amore per un giovane, dovendo quello andare via, tratteggiò i contorni della sua ombra, proiettata sulla parete dal lume di una lanterna; su queste linee il padre impresse l’argilla riproducendone il volto; fattolo seccare con gli altri oggetti di terracotta, lo mise in forno».
Ora la figlia di Butade poteva conservare il suo amore perduto o, comunque, il suo doppio, il suo ritratto, ovunque egli andasse. Poteva averne il volto sotto gli occhi giorno e notte, per sempre. Quale scopo più nobile potrebbe avere la ritrattistica? Quando nel XVII secolo generazioni sentimentali e romantiche fecero propria la favola delle sue origini, diedero a Butade e sua figlia meriti ancora maggiori. Con quel momento di resistenza alla perdita, si disse, non nacquero solo la modellazione in rilievo, il profilo o il ritratto, ma tutta la pittura, tutta l’arte: fissazione di una visione fuggitiva. I nomi furono cambiati; a volte la fanciulla malata d’amore divenne una pastorella. Charles Perrault, architetto di Luigi XIV oltre che inventore e raccoglitore di favole, scrisse della giovane come se fosse un personaggio di una delle sue fiabe: «Se solo rimanesse qualche immagine imperfetta... l’odiosa partenza, per quanto crudele, sarebbe meno dolorosa». Quello che lei voleva era una traccia dell’amante vivente, svanito. Fare un ritratto voleva dire raggirare l’abbandono, colmare la distanza, trionfare sulla separazione, trasformare l’assenza in presenza. In molte versioni del mito, incise e dipinte, s’intromette Amore, Cupido: è lui il vero artista, che guida fisicamente la mano della fanciulla mentre disegna alla luce tremolante, a volte di una lampada, a volte di una semplice candela. Nel tardo XVIII secolo si volsero al soggetto molti pittori, specialmente in Francia, Inghilterra e Scozia.
Per alcuni il cuore della storia era la genesi dell’immagine, e l’accento cadeva sulla serietà con cui la giovane affrontava il suo lavoro. Joseph Wright of Derby, letto un poema sull’argomento di William Hayley, pensò di dipingerne una propria versione; sempre con il pensiero che il suo amico Josiah Wedgwood, il supremo vasaio dei suoi tempi nonché un’autorità in fatto di gusto classico, potesse recitare la parte di Butade e trarre dal dipinto un profilo in diaspro, o magari due, della fanciulla e dell’amante: una delizia per ogni intenditore.
Wedgwood diede a Wright consigli in materia di abiti e ornamenti antichi, ma il pittore era combattuto tra il desiderio di dare sfogo all’emozione della scena e quello di contenerla all’interno della severità classica, degna dell’«Origine della pittura». Per averne un consiglio scrisse al poeta Hayley. «Prima pensavo che l’espressione da dare alla Fanciulla (nel momento in cui nel cuore e negli occhi le sorge l’arte dell’ombra) fosse di stupore estatico, ma ora penso che sia una cosa troppo violenta... lascio a te dirmi che cosa dovrebbe essere il suo volto».
A giudicare dal risultato, La fanciulla di Corinto di Wright, Hayley consigliò moderazione. Il giovane è assopito, una lancia appoggiata alla rozza parete, e il segugio (non meno elegante degli altri due protagonisti), che sarà il suo unico compagno di viaggio, sonnecchia accanto alla sua sedia. C’è una piccola nota di improbabilità ottica nella scena, perché la testa del ragazzo, pur appoggiata al muro, riesce ugualmente a gettarvi la propria ombra. Ma la fanciulla, per non perdere l’equilibrio e chinarsi in avanti, si appoggia con il ginocchio sinistro alla sedia. Una mano regge la matita e, in uno squisito piccolo esempio di linguaggio corporeo, Wright le fa sollevare l’altra mano, le dita aggraziate tese come per fissare il momento, desiderare che il ragazzo rimanga cosi com’è.
Ma c’era un altro modo per dipingere la scena. Al diavolo la moderazione. Nella versione più ardente e commovente, quella del pittore scozzese David Allan, i due innamorati, proprio mentre il simbolo della loro separazione viene prodotto, non riescono a non toccarsi. Sono entrambi seminudi, i corpi perfettamente coordinati. La fanciulla siede in grembo all’amante, una gamba sopra quella di lui. Il braccio del giovane la cinge alla vita; lei gli tiene fermo il mento. Lo tocca per il lavoro cui è dedita, ma non solo per questo. L’espressione di lui e improntata alla massima serietà, a metà fra il sorriso e le lacrime. I loro avambracci poggiano l’uno sull’altro. Al bagliore della lucerna, tutto cede alla tenerezza. Ma la tenerezza e ad appena un passo dal dolore.