Corriere della Sera, 9 dicembre 2022
Cristi di legno e Cristi di carne
O lettori, e lettrici, cui fortuna sorrise, lasciate di contemplare le piaghe di un Cristo di legno: io vi prèdico la vera religione, e vi mostro un Cristo di carne, il bracciante»: il 6 luglio del 1894, sul periodico bisettimanale «Il Bruzio», Vicenzo Padula offriva un commovente ritratto dei poveri braccianti calabresi. E sempre lui, da buon prete letterato vicino alle sofferenze degli umili, aveva scritto che in «questo misero mondo chi à è, e chi non à non è», a tal punto che coloro che non hanno costituiscono la massa delle consonanti «perché consuonano alla voce del ricco e si conformano agli atti di lui, il quale è la vocale, senza di cui sfido io a fare che la consonante abbia suono». In queste pagine di Padula emerge un cristianesimo molto distante da quello evocato, ai nostri giorni, da alcuni politici, i cui furori religiosi si manifestano nelle pubbliche esibizioni di rosari e crocifissi, in disegni di legge che stanziano denaro per incoraggiare i matrimoni nelle Chiese e finanche nelle reiterate campagne contro qualsiasi forma di unione che non coincida con la cosiddetta «famiglia naturale» (papà e mamma con relativa prole). Così, mentre l’attenzione si concentra su strumentali interpretazioni di riti e aspetti della vita religiosa, si aggrediscono i sacrosanti diritti dei tanti «Cristi di carne» che affollano le cronache quotidiane: quei disperati che, a rischio della propria vita e di quella dei loro figli, cercano di fuggire la fame, la violenza delle guerre, la follia dei fondamentalismi, la barbarie delle dittature. A loro non è concesso avere un porto sicuro o una nuova patria per aspirare a una dignità negata. Può essere credibile lo zelo manifestato per alcuni aspetti della religione se, mortificando la solidarietà umana, non si tende la mano a chi soffre? L’esortazione di Padula resta ancora attuale: è sufficiente omaggiare i Cristi di legno quando si oltraggiano i Cristi di carne?