la Repubblica, 8 dicembre 2022
La Spoon River delle trans anni ’60
Elena, di giorno rude gruista all’Italsider, di notte tacchi a spillo rossi in piazzetta del Fregoso. La Morena, di giorno Mario il fruttivendolo, di notte indecisa se adescare clienti o farsi suora. Dalida invece di giorno vendeva caramelle, di notte sognava il bisturi per sposarsi finalmente col suo uomo. Poi la Gitana, dal fisico già un po’ sfatto, si diceva fosse stata l’amante di De Pisis, che volle a tutti i costi finire sulla copertina, e ci riuscì, ridente e a torso nudo. Nessuna di loro c’è più, resta un lampo della loro vita nel libro fotografico più bello e maledetto degli anni Settanta, I travestiti di Lisetta Carmi, Spoon River di una tribù invisibile che visse rise soffrì amò prima che ci fossero parole politicamente corrette, prima degli asterischi e dello schwa, prima del codice fiscale del coming out, Lgbtqia+… La storia di quel libro coraggioso e censurato è stata raccontata molte volte: ma solo ora forse ne comprendiamo davvero l’importanza, con l’uscita, quarant’anni dopo, di un capitolo inedito, che si credeva perduto.I travestiti, fotografie a colori
(Contrasto editore) sembra quasi aspettasse questi anni di rottura del velo per completare e forse anche un po’ ribaltare il messaggio di allora.
E dire che Lisetta era una donnina apparentemente timida, «coi capelli a pecorella e lo sguardo extraterrestre», pianista di fama internazionale che aveva rinunciato alla tastiera per la lotta di classe, che non aveva paura di intrufolarsi nel porto a fotografare i camalli, che nelle statue romantiche del cimitero di Staglieno vedeva l’ipocrisia della repressione sessuale borghese (tutto ora visibile nella retrospettiva Lisetta Carmi. Suonare forte alle Gallerie d’Italia a Torino).
Era stato un amico a convincerla a festeggiare il capodanno 1965 con quella tribù strana di invisibili in via del Campo, a Genova (sì, quella di De André, e forse la bambina con gli occhi color di foglia era una di loro). Qualcosa risuonò in lei, risvegliò «inconsci problemi di identificazione maschile o femminile », o forse solo la soddisfazione di dare un altro schiaffo al perbenismo della sua città che «difende sé stessa offendendo ciò che rifiuta».
Iniziò a fotografarle, rovesciando la loro diffidenza in confidenza e complicità. Il Sessantotto era fresco di slogan, la fotografia era audace: nel ’69 Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin producevano Morire di classeper aiutare la battaglia antipsichiatrica di Basaglia; due anni prima era uscito Gli esclusi di Luciano D’Alessandro, e fu proprio il fotografo ribelle napoletano a incoraggiare Carmi a pubblicare nel 1972 quel quadernone color rosa con tutti quei ritratti del mondo della notte, divertiti, beffardi, impudichi, provocatori.
Ma il mondo del giorno lo rifiutò. Lo sputò via. Già un primo editore, Mazzotta, si era tirato indietro. A pubblicare il libro fu uno che non era neanche un editore ma un pubblicitario, Sergio Donnabella, che decise di investirci dieci milioni di tasca sua. Andò malissimo. Molti librai rifiutarono di accettare il libro. Altri lo nascosero sotto il banco. Se ne vendettero pochissime copie.
Dopo qualche anno, sconfortato, l’editore annunciò il macero. Dobbiamo enorme gratitudine alla scrittrice Barbara Alberti che mandò un camion a prelevare l’invenduto, tremila copie che dispose in casa sua a pile e muretti, poi le regalava agliospiti del suo salotto. Ha salvato un monumento al coraggio. Oggi si vende carissimo sul mercato del libro d’autore.
Ma quelle fotografie di grana ruvida e neri fondi, drammatizzanti e dure, non erano le uniche che Carmi aveva scattato.Solo pochi anni fa, in una scatola nel trullo di Cisternino dove Lisetta Carmi si era ritirata e dove è morta in pace spirituale nel luglio scorso, a 98 anni di età, Giovanni Battista Martini, curatore di tante sue mostre e libri, ha scoperto con emozione decine e decine di diapositive a colori di quella frequentazione, inedite e sorprendenti. Prese molte volte per strada, spesso di giorno.
Sono sempre loro, Stefania, Roberta, Adriana, Laura, ma ora le vediamo anche strizzate in abitini finto-Chanel, dalle tinte pop, minigonne alla moda, tailleurini dell’Upim, pettinature cotonate… Da maliardo che era, il loro sguardo si fa impertinente, divertito e a volte perfino infantile. È qui, nel colore, che si affaccia una risposta alla domanda che Lisetta si era fatta allora: «Cosa significa per loro il mito della donna?». Lei si era detta che «tutto ciò che è maschile può essere anche femminile », ed era vero, ma dopo tutto i loro modelli femminili erano gli stessi di tutte le donne, e quella voglia di somigliare a Jacqueline Kennedy o a Patty Pravo o a Brigitte Bardot in fondo era un desiderio di raggiungere una riposante, tranquilla conformità.
La notte provocante e ansiosa, ci svela questo sequel inatteso, voleva conquistare un giorno sereno, colorato, senza il peso del pregiudizio.