la Repubblica, 8 dicembre 2022
Sulle intercettazioni ha ragione Nordio, dice Michele Serra
Sarebbe bene che sulla pubblicazione delle intercettazioni telefoniche, spesso di persone non indagate, anche il mondo del giornalismo discutesse con la stessa franchezza del ministro Nordio, che le definisce «una porcheria». Personalmente tendo a dare ragione al ministro. Ma capisco che il giornalismo d’inchiesta abbia le sue brave riserve da esprimere. Proprio per questo (perché la questione è seria, e rilevante) sarebbe importante non dare per scontata una pratica carica di evidenti e violenti effetti collaterali, con pesanti conseguenze sui diritti della persona. Per giustificarla, per considerarla etica e per considerarla utile, bisogna avere solidissime ragioni, e motivarle bene, in modo che sia chiaro a tutti perché la chiacchierata tra Tizio e Caio è di stringente interesse pubblico. Altrimenti il sospetto è che si tratti solo di una comodità professionale alla quale si ricorre perché, come dire, l’articolo è già scritto, basta ricopiare le carte giudiziarie.
L’appiattimento di molti media (carta, televisione, web) sul lavoro inquirente è, da un certo punto di vista, inevitabile: se il lavoro del giornalismo dev’essere di scavo e di denuncia, è inevitabile il rischio di accanimento contro chi è indagato, e tutto ciò che gli sta attorno. Di qui a giustificare come un “diritto professionale” lo sputtanamento indiscriminato e leggero degli esseri umani, ce ne corre. È la stessa distanza che corre tra il dubbio e la spocchia. E riguarda nello stesso preciso modo magistrati, avvocati e giornalisti. Categorie di potere che tendono a non riflettere mai abbastanza sul proprio.