La Stampa, 8 dicembre 2022
Poverocristo
Un poverocristo di cui poco sappiamo – ha ventisette anni, disoccupato, vive in provincia di Siracusa – all’idea di perdere il reddito di cittadinanza si è prodotto in una serie di deliranti post su non so quale social, minacciando di morte Giorgia Meloni e figlia previo sventramento. Lo hanno rintracciato in un paio d’ore, lo hanno denunciato, gli hanno sequestrato computer e telefonino e, nonostante trasecolasse ignorando di avere commesso un reato, avrà quanto gli spetta, e siccome mi pare l’ultimo disperato da tastiera, l’ultimo di milioni, e soltanto fra i più sconsiderati, spero incontri clemenza. Più di quanta ne abbia incontrata ieri quando, al parossismo della sindrome da accerchiamento, i presidenti delle camere, una decina di ministri, altrettanti sottosegretari, due o tre presidenti di regione, dozzine di deputati e di senatori, quasi esclusivamente di maggioranza, si sono precipitati a offrire giusta solidarietà al premier, ma in una formidabile gara lessicale a chi esprimesse meglio l’indignazione, lo sdegno, lo sconcerto, l’osceno, il ripugnante, la pagina vergognosa, il disgusto, l’esecrabile, l’intollerabile, l’inqualificabile – tutto testuale. Un’unanimità inedita da esercito in marcia sul poverocristo – preventivamente dichiarato affetto da problemi mentali dal suo sindaco – al quale, si sono compattamente augurati, va consegnata una risposta ferma e decisa, il cui odio va stroncato senza esitazione e con durezza, e per solito eccesso di zelo uno di Fratelli d’Italia ha invocato una pena equiparabile a quella riservata agli stupratori di bambini. Al che mi sono parsi più desolanti loro di lui.