Corriere della Sera, 7 dicembre 2022
Cosa aspettarsi dal documentario su Harry & Meghan
Il principe di Montecito, accarezzato da una luce soft, le dolci montagne di Santa Ynez alle sue spalle, ha la grinta di una volta, quand’era tenente della Household Cavalry di Sua Maestà in Afghanistan. Parla del «gioco sporco» di casa Windsor, delle «storie passate sottobanco ai media», della «gerarchia familiare» (trattasi di una monarchia, in fin dei conti, ma perché sottilizzare?), del «dolore e della sofferenza delle donne che con il matrimonio entrano in questa istituzione», paragonando apertamente sua moglie, Meghan, a sua madre, la scomparsa principessa Diana.
Il nuovo trailer della serie in sei puntate su Meghan & Harry (diplomaticamente intitolata Harry and Meghan ma è chiaro chi sia la protagonista) in arrivo domani, 8 dicembre, su Netflix ha confermato l’impressione suscitata dal primo «teaser» sganciato l’altro giorno su William e Kate al loro arrivo a Boston in visita ufficiale: e cioè che la serie-antipasto al libro di memorie di Harry in uscita in Usa e Regno Unito il 10 gennaio provocherà inevitabilmente danni alla monarchia e al nuovo re, Carlo.
Perché già nel trailer viene sollevata la questione dei reali e del razzismo, con un commentatore che dice: «Si tratta di odio. Si tratta di razzismo» e un’altra che dice «c’era una guerra contro Meghan per soddisfare i piani di altre persone». Di chi? Impensabile che nel serial Harry se la prenda con la nonna defunta; resta da capire chi sia dietro il «gioco sporco» e razzista dei Windsor.
Interpretando il teaser e il trailer un po’ come le foglie di tè (Darjeeling, il preferito della regina) colpisce che la fugace apparizione di Kate, futura regina, avvenga attraverso la foto più brutta mai scattata alla fotogenicissima principessa. Colpa di Kate? William? Del «deep state» del Palazzo?
Certo impressiona che Harry lasciò l’Inghilterra presumibilmente per sempre (a meno di ritorni da figliol prodigo attualmente e chissà per quanto totalmente privi di basi) per dire basta «all’attenzione rapace dei media» e l’abbia però fatto mentre lo seguiva una videographer 7 giorni su 7.
Come del resto un po’ impressionano le elegantissime lacrime di Meghan, nel «teaser», seduta su un divano con la coperta Hermès di cashmere con le «H» del logo perfettamente a fuoco (scena che ai fans dell’immortale Alberto Sordi non può non ricordare lo zio che in Finché c’è guerra c’è speranza esclamava: «Piangono, sì, ma piangono nel benessere. Nell’agiatezza!»).
La coppia con i due figli vive a Montecito, seconda cittadina più ricca degli Stati Uniti dove una casa costa mediamente 4 milioni e 103 mila dollari (dati di Forbes).
Questo sarà dunque mediaticamente parlando il Natale dei Sussex – esiliati o autoesiliati, il dibattito è aperto, in California. Coppia dinamica e multirazziale che avrebbe messo in ombra l’ingessato futuro re William e la futura regina Kate? Oppure freddi gestori della propria celebrity? Le fazioni sono divise e inconciliabili, senza mezzi toni (del tipo, l’idea che il palazzo funzioni con vecchie rigide regole militari e che allo stesso tempo Meghan e Harry conducono a Montecito una vita sicuramente più ricca di denaro e di stimoli di quella da reale di seconda fila, a inaugurare stazioni ferroviarie in Cornovaglia in mattinate piovose di novembre.
Ma chi metterebbe monetine dentro un juke-box che suona sempre la stessa canzone? Viene da chiederselo, osservando l’accoglienza non entusiasmante che l’America ha finora riservato a Meghan e Harry, duchessa e duca del Sussex in esilio dorato a Montecito (California), vicini di casa di Oprah Winfrey e Ariana Grande. L’intenzione della coppia era quella, all’inizio del 2020 (traslocarono e subito esplose la pandemia, con sfortunato tempismo), di diventare un punto di riferimento simultaneamente per la beneficenza e per lo show-business.
Ma, come si è visto con la copertina dedicata in agosto a Meghan – con intervista esclusiva – dalla rivista americana The Cut, proprio nel venticinquesimo anniversario della morte di Diana, quello della comunicazione è un gioco complicatissimo a quei livelli: Diana portava al guinzaglio i media globali come cagnolini, alternando bastone e carota (l’intervista clamorosa con la Bbc sull’infedeltà di Carlo, il libro-confessione), mettendo sotto scacco i reali e allo stesso tempo attirando i riflettori sulle cause a lei care come quella della lotta alle mine anti-uomo.
A Meghan il gioco finora non è riuscito, e tocca a Netflix fare il miracolo: stare sui media tradizionali (su Internet è un’altra partita) come duchessa repubblicana richiede doti di equilibrismo straordinarie, e dal jukebox dei Sussex attualmente escono solo critiche ai reali. Come in quella battuta di Io e Annie di Woody Allen: «Qui si mangia veramente male, e poi le porzioni sono piccolissime».