La Stampa, 7 dicembre 2022
Il risiko dei chip
Il colosso taiwanese dei semiconduttori Tsmc (Taiwan Semiconductor Manufacturing Co.) triplica l’investimento in Arizona e nello stato al confine con il Messico arriva il presidente americano Joe Biden per incassare un altro successo nella strategia di contenimento della Cina sul fronte tecnologico e nel tentativo di riportare negli Stati Uniti la catena produttiva di chip e componenti hi-tech strategiche.
Tsmc ha annunciato ieri uno stanziamento di 40 miliardi di dollari, uno dei più massicci di sempre per un’azienda straniera sul suolo americano. Serviranno per potenziare la fabbrica che produce chip (costo previsto 12 miliardi) e per costruirne a fianco una nuova che diventerà operativa nel 2026. Produrrà allora il 4% dell’intera gamma di prodotti hi-tech del gruppo, ma soprattutto – ed è quello che più interessa all’Amministrazione Biden – sarà il punto di partenza di una supply chain tecnologica tutta americana e che non dovrà quindi più dipendere dalle bizze o dalle ritorsioni cinesi.
Brian Deese, consigliere economico della Casa Bianca, ha detto che l’investimento di Tsmc è «la prova del successo della strategia a lungo termine avviata dall’Amministrazione» per far finire la dipendenza dai fornitori esteri. La Tsmc godrà di miliardi di sussidi provenienti dal "Chips and Science Act" firmato dal presidente americano in agosto nel quale sono stanziati 52,7 miliardi di dollari fra agevolazioni, sgravi fiscali e sussidi per favorire la costruzione di una catena di approvvigionamento nazionale. Nel suo discorso a Phoenix Biden ha enfatizzato come gli investimenti e i posti di lavoro siano resi possibili grazie alla nuova legge.
Già altre società come Intel e Micron hanno approfittato della legge e ampliato i loro siti di produzione o avviato progetti per nuove fabbriche in Ohio e nello Stato di New York.
La "riconquista" da parte degli Usa di una centralità nella produzione di semiconduttori e di chip-nano è stata evidenziata ieri dalla presenza alla cerimonia dei Ceo delle grandi aziende tecnologiche americana, come Sanjay Mehrotra di Micron, Jensen Huang di Nvidia e soprattutto Tim Cook, di Apple.
La fabbrica di Phoenix inizierà a produrre chip N4 (N sta per nanometer, che ormai convenzionalmente misura il livello di sofisticatezza del prodotto) nel 2024; il secondo impianto invece, quello che vedrà la luce nel 2026, sarà ancora più all’avanguardia e lavorerà sugli N3. Quando entrerà a pieno regime sarà comunque – evidenziavano alcuni analisti – almeno una generazione indietro rispetto agli impianti più moderni basati a Taiwan. Ma è comunque un passaggio fondamentale per l’Amministrazione Biden che sin dai primi mesi dell’insediamento ha messo la politica industriale hi-tech al centro della sua agenda.
Due decenni fa la produzione di semiconduttori negli Stati Uniti toccava il 37% di quella globale, la cifra è progressivamente scivolata sino al 12% attuale. Biden vuole invertire la rotta per rafforzare non solo l’industria interna e creare posti di lavoro, ma soprattutto per togliere alla Cina la capacità di condizionare il mercato globale. La tensione, infatti, attorno a Taiwan e le decisioni di attuare lockdown per il Covid hanno tenuto per due anni sotto scacco l’intera catena logistica. I chip sono fondamentali per il loro utilizzo in svariati comparti, dalla telefonia, alle macchine, sino ai jet e ai sistemi di puntamento missilistico. La costruzione delle due fabbriche in Arizona darà lavoro a 10mila operai, e una volta che saranno entrate a pieno regime altri 10mila posti in settori hi-tech e altamente pagati ruoteranno attorno al gruppo Tsmc.
Si muove anche un altro colosso hi-tech, Intel, che in una nota ha detto che inizierà la produzione di N3 nel 2023 e che punta a sottrarre quote di mercato a Nvidia e Amd e quindi – ha dichiarato il Chief Executive Office di Intel Pat Gelsinger – a sottrarre clienti alla compagnia taiwanese, che ha la fetta di mercato globale più importante.