La Stampa, 7 dicembre 2022
Quando la Meloni attaccava Bankitalia
«L’oro è degli italiani, non dei banchieri!» Correva il febbraio 2019 quando Giorgia Meloni, allora leader dell’opposizione, attaccava la Banca d’Italia per le riserve auree dell’Istituto centrale: l’Italia era governata dall’alleanza Conte-Salvini e lo spread coi titoli tedeschi era ai livelli di guardia. I compratori di titoli italiani erano preoccupati da una legge di Bilancio in forte deficit e dalla proposta di imporre a via Nazionale l’acquisto per legge di qualche centinaia di miliardi di debito. Tre anni dopo alla leader di Fratelli d’Italia non è bastato salire a Palazzo Chigi per dimenticare i toni populisti di quella campagna a braccetto coi Cinque Stelle. «La visione della Banca d’Italia riflette quella delle sue banche azioniste private», diceva due giorni fa il fedelissimo Giovanbattista Fazzolari.
Mettiamo un attimo da parte le critiche alla prima Finanziaria Meloni, all’allentamento delle regole sul contante (una manna per gli evasori) o alla generosa tassa piatta garantita alle partite Iva. Se la Banca d’Italia non fosse autonoma dai governi che passano, se non custodisse nei suoi forzieri miliardi di lingotti d’oro, non avrebbe mai potuto acquistare e detenere quasi un quinto del debito emesso dal Tesoro italiano per conto della Bce. Se non fosse un ente pubblico partecipato dalle banche private, non avrebbe avuto la credibilità che oggi permette al terzo debito mondiale di mantenere uno spread a 186 punti base (ieri)e di emettere buoni del tesoro a un tasso di interesse sostenibile. Dieci anni fa il famigerato governo Monti, quello che «faceva i compiti chiesti dalla Germania» (sempre Giorgia Meloni, 17 maggio 2014) non godeva di quel privilegio: per tenere a bada lo spread coi Bund tedeschi tagliò le pensioni.
Dieci anni fa alle banche centrali non era permesso di fare le veci del mercato e di acquistare i titoli che nessun altro comprerebbe. Poi all’ultimo piano del grattacielo di Francoforte arrivò un signore italiano che vinse la resistenza dei tedeschi a fare ciò che ha sempre fatto la Fed americana. Si chiamava Mario Draghi e divenne governatore di un istituto di emissione pubblico fondato nel 1936 da un certo Benito Mussolini. A quel tempo le banche private erano sull’orlo del fallimento, e furono nazionalizzate. Ma questa è un’altra storia.