la Repubblica, 7 dicembre 2022
José Saramago raccontato dalla moglie
Una mattina, José Saramago annunciò di voler tornare in Italia e accettò l’invito a visitare la sede del festival Sete Sóis Sete Luas, come se avesse bisogno di un permesso per viaggiare. Passò anche a presentare Il Quaderno, i testi del blog che stava scrivendo, pubblicati in Italia da Bollati Boringhieri con una bella prefazione di Umberto Eco. Fu un viaggio lento, attraverso luoghi diversi, che si concluse a Roma, in un albergo che permise a José Saramago di passeggiare in luoghi amati, guardare di nuovo l’orizzonte, come quel giorno in cui, dopo che gli fu diagnosticato un distacco della retina che non poteva essere operato perché c’era uno sciopero negli ospedali italiani, si diresse verso Piazza di Spagna per vedere Roma un’ ultima volta cosicché, se fosse diventato cieco, quella sarebbe stata l’ultima immagine impressa sulla sua retina.
La minaccia non si concretizzò, poté tornare a Lisbona dove il dottor Márcio dos Santos lo operò, conservò la capacità di vedere e tornò innumerevoli volte a Roma. Molti di questi viaggi in Italia, impegni editoriali a parte, avevano a che fare con la vita accademica. A Torino, José Saramago fu investito per la prima volta nella sua vita di una laurea honoris causa. In seguito, fu l’Università di Siena a riconoscergliela e poi l’Università di Roma Tre, insieme ad Andrea Camilleri e Manuel Vázquez Montalbán, in una cerimonia brillante e picaresca come raramente l’ateneo avrà vissuto, perché le capacità affabulatorie dei tre autori resero l’evento un momento letterario, verosimile come solo la letteratura sa essere, e troppo irreale per una cronaca giornalistica.
Nel suo ultimo viaggio a Roma, José Saramago ricordò altri giorni trascorsi in quella città in compagnia dello scrittore francese Jean Marie Le Clézio, che avrebbe poi ricevuto il Premio Nobel per la letteratura e che, sorprendentemente, non era mai stato nella capitale italiana pur avendo viaggiato in tutto il mondo. José Saramago, quindi, si offrì di fare da cicerone, e i due passeggiarono tra le vestigia storiche che il presente conserva e che loro, letteralmente, reinventavano. Quelle passeggiate romane con Le Clézio sono sempre state un ricordo serbato con affetto.
Nel 2009 José Saramago volle dire addio all’Italia. A quei tempi aveva scritto La cosa Berlusconi contro Berlusconi e la situazione confusa e irresponsabile in cui, a suo avviso, versava lapolitica italiana, ma il sentimento predominante non era quella tristezza che lo accompagnava. C’era, in José Saramago, una gratitudine per l’Italia che veniva da lontano, da quando ne aveva conosciuto la bellezza, esplorando il Paese come si esplora un corpo atteso e amato.
Il primo romanzo maturo di José Saramago, Manuale di pittura e calligrafia, è un viaggio in Italia e un progetto di vita. Milano, Venezia, Ferrara, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, il passato e il più bel presente sfilano nelle pagine di questo libro che l’autore confessa essere biografia, se non addirittura autobiografia.
In Manuale di pittura e calligrafia, riferendosi alla Firenze che lo aspetta, dice: «Mentre io dormo, questa popolazione silenziosa di statue e dipinti, questa residua umanità, parallela, è sempre lì a vegliare a occhi aperti sul mondo a cui, dormendo, io ho rinunciato. Per poterlo poi ritrovare, uscendo per le strade, sentendomi più vecchio e più precario, visto che in fondo durano assai di più le opere dipietra e di colore che non questa fragilità della carne».
La fragilità della carne non gli impedì di percorrere certe vie, di contemplare, anche se da lontano, giardini che lo avevano sentito respirare anni prima, e di decidere che doveva continuare il viaggio. I suoi amici italiani, lo scrittore Paolo Flores d’Arcais, la sua traduttrice Rita Desti, gli fecero visita in albergo. Uno portava con sé futuro, l’altra molto passato da condividere. Ci furono cene, conversazioni ravvicinate o a distanza, Azio Corghi e le sue opere ispirate ai libri di José Saramago, la felice esperienza di due esseri umani creanti e complementari, rispettosi e liberi, integri, che si comprendevano, anche se quella volta non poterono incontrarsi. «Verrò a trovarti a Lanzarote», gli promise Claudio Magris, e così fece. Claudio Magris visitò A Casa e la biblioteca. Lì disse addio all’amico con cui aveva condiviso tanta complicità, e ancora una volta emerse la fascinazione di José Saramago per l’opera immensa dell’autore di Trieste, quel Danubio che è la lettura di una vita, e anche la stima di Claudio Magris per i libri di José Saramago, espressa nel prologo che scrisse per Viaggio in Portogallo, ormai inseparabile dal libro.
Non furono molti i giorni in Italia, ma sufficienti per confermare a José Saramago che questo paese, questa cultura, non erano solo parte della sua vita, ma proprio del suo essere.
“Italia, sempre Italia” è un capitolo del libro, ancora non pubblicato in Italia, “La intuición de la isla. Los días de José Saramago en Lanzarote”.