la Repubblica, 7 dicembre 2022
A Milano il museo dei quaderni di scuola
Thomas Pololi apre un piccolo quaderno del 1944 con la carta ingiallita e una grafia sicura: «Se voglio uscire, prima piove e non posso, poi vi sono gli allarmi e non posso ancora», si legge. «Ma insomma cosa devo fare tutto il giorno? A questo ci pensa Suor Irma che ci carica ben bene di compiti». A scrivere è una bambina milanese di seconda media: la traccia del tema sarebbe «Cosa succede nelle belle giornate», ma tra allarmi antiaerei e una città occupata dai nazisti dev’essere dura trovarne, anche a 12 anni.
Il quaderno è uno dei 2.500, provenienti da 36 Paesi, raccolti da Pololi e dalla moglie Anna Teresa Ronchi nel loro Archivio dei quaderni di scuola. Il più antico è del 1773 e viene dal Regno Unito, la maggior parte sono quaderni italiani, da metà Ottocento agli anni Novanta. «L’idea mi è venuta a una festa tra blogger dedicata agli anni Ottanta nel 2004», racconta Pololi, «avevo portato alcuni miei temi delle elementari per un reading e mi ero stupito di ciò che scrivevo». Quindi il progetto di raccogliere i quaderni degli amici e di chiunque volesse donarli, circolato prima sui social e poi attraverso i reading organizzati in decine di circoli Arci del Nord Italia. Il prossimo maggio l’Archivio diventerà un piccolo museo nel centro di Milano, in via Broletto 18, con laboratori, mostre temporanee e pubblicazioni annuali. La prima, uscita per la cartiera Arbos, si intitola Il prossimo anno faremo le vacanze di Natale sulla Luna ed è una raccolta di temi e dettati natalizi dal 1898 al 1995.
Nei decenni sono cambiati le copertine, le grafie, i contenuti, ma soprattutto i metodi educativi. «Prima della riforma Gentile raramente ai bambini veniva chiesto di esprimere la loro opinione. Le tracce dei temi ottocenteschi davano indicazioni molto precise sui contenuti da trascrivere», racconta Polelli. «Paradossalmente fu proprio negli anni Venti che si cominciò a lasciare più libertà ai bambini, perché il fascismo attinse alle nuove esperienze pedagogiche dell’epoca, collaborando con la stessa Montessori». Ecco quindi i temi sulle domeniche in famiglia o le descrizioni delle vacanze, accanto a dettati sul Duce e i patrioti combattenti.
Tra le righe il rapporto sempre conflittuale tra generazioni e il costante tentativo dell’istituzione di costruire i cittadini di domani, non solo durante il Ventennio: «Anche negli anni Cinquanta e Sessanta molti dettati sono impostati sui concetti di patria e famiglia, per non parlare di quelli ad argomento religioso, che arrivano agli anni Novanta». Ma se avere dodici anni da una parte obbliga a stare alle regole dall’altra dà anche la libertà di sovvertirle in modo creativo, come la bambina milanese che alle pagine di elogio dei combattenti fa seguire una precisa e ironica descrizione delle sue «rispettabili mani». Una sorta di buffa e inconsapevole Resistenza alla pomposità della retorica di regime.
«Si dice spesso che i bambini siano creativi», corregge Pololi, «ma dai temi sembrano piuttosto seri e rigorosi, o almeno loro cercano di esserlo, con un effetto che, data la loro forma mentis ed esperienza, risulta buffo per un adulto che legge. Ma non c’è volontà di divertire da parte loro». Anche per questo, tra gli obiettivi del museo ci sarà quello di coinvolgere attivamente ibambini di oggi e farli esprimere su tutti gli argomenti: «Vorremmo contribuire a diffondere la cultura del bambinismo, il corrispettivo bambino del femminismo, in una società profondamente adultista».
Basta leggere certe correzioni a penna rossa, dettate più dalla pedanteria che dalla pedagogia, per scoprirsi “bambinisti”: «Canti e balli, che confusione! Bai Bai», scrive Giuliana in quinta elementare, nel 1959, raccontando una festa. Corregge la maestra: «Canti montanari e balli! Bey bey». Giudizio: «Non svolgi bene i temi». C’è materiale anche per una controstoria dell’istruzione.