la Repubblica, 7 dicembre 2022
Caccia al litio in Italia
Potrebbe esserci un tesoro sotto i piedi degli italiani. Nelle rocce e nelle acque in profondità, dove le temperature arrivano fino a 300 gradi. E potrebbe giocare un ruolo cruciale per il futuro. Si tratta del litio, metallo di cui l’Italia, secondo uno studio pubblicato nei mesi scorsi da quattro ricercatori del Cnr, è potenzialmente ricca. Servirebbe per la farmaceutica, ma soprattutto per le batterie di veicoli elettrici, per l’energia rinnovabile. E si potrebbe estrarlo grazie ai fluidi geotermici.
Le zone più promettenti sono Toscana, Lazio, Campania, la fascia al di là della catena appenninica (da Alessandria a Pescara, lungo la direttiva termale Salsomaggiore-Tolentino), e non è escluso ve ne siano altre perché «ci sono zone inesplorate, come Sardegna e Calabria, anche del crinale oltre l’Appennino, fino all’Adriatico dove ci sono i giacimenti di idrocarburi, si sa poco» spiega Andrea Dini, ricercatore dell’istituto di Geoscienze e georisorse del Cnr di Pisa, che con Pierfranco Lattanzi, Giovanni Ruggieri ed Eugenio Trumpy ha condotto lo studio, basato sull’analisi di dati disponibili e nuovi campioni di roccia. «Nella zona del lago di Bracciano e dei Campi Flegrei sono stati individuati dei fluidi, negli anni ’70-’80, che contengono fino a 480 milligrammi di litio per litro di soluzione. Sono tra i più alti mai trovati. Basti pensare che Francia, Germania e Stati Uniti stanno andando a esplorare risorse che ne contengono 200mg/litro — dice Dini — . Noi ne avremmo addirittura il doppio. Il problema sta nel capire quanto ce n’è di quel fluido».
Per scoprirlo servono esplorazioni, che richiedono ricerca e investimenti a lungo termine, e non tutte le zone, poi, sono uguali. In Lazio e Campania, ad esempio, i fluidi ricchi di litio sono più caldi di quelli sul versante adriatico, mentre in Toscana il metallo è nelle rocce. L’isola d’Elba, ad esempio, ne è piena, e Dini, che si occupa del tema da trent’anni, dice che possono contenere anche «3.000 mg/kg di litio». Per dare un’idea: se lì venisse aperta una cava di 500 metri per 500 e profonda 50, potrebbero essere prodotte circa 50mila tonnellate di carbonato di litio. Che ai prezzi attuali (ora sopra gli 80 dollari al chilo, dopo essere schizzato in alto negli ultimi due anni) significa un valore di circa 4 miliardi. «Ma è impensabile. Sono nell’Arcipelago toscano, unazona bellissima, protetta, dove l’economia si basa sulla valorizzazione turistica del territorio» dice Dini.
Ma altrove, dunque, come potrebbe avvenire l’estrazione? Non con le cave, ma grazie ai fluidi geotermici. «Dovremmo intercettarli e portarliin superficie con una tubazione, che passerebbe attraverso un impianto che estrae il litio in maniera diretta. Il fluido resterebbe caldo, ci si potrebbe produrre energia elettrica e teleriscaldamento, poi verrebbe reiniettato a tremila metri di profondità. Non andrebbe mai a contatto con l’ambiente esterno. Nel caso della Toscana che, come a Larderello, ha rocce in profondità in contatto con le acque geotermiche, bisognerà capire se possiamo “aiutare” il fluido a prendere il litio dalle rocce, senza toccarle, così poi da estrarlo in maniera diretta».
Un progetto non semplice, ma che permetterebbe di cogenerare, soprattutto nelle aree di fluidi “caldi”, litio, energia elettrica e termoriscaldamento. Sfruttando gli stessiimpianti. «È necessario, anche per diversificare la filiera — dice Dini — . Attualmente il litio arriva da Australia, Cina, Bolivia, Tibet. Basterebbe una crisi, un blocco commerciale, per far andare in tilt il sistema, che avrà sempre più bisogno di batterie ». Nel 2021, ad esempio, sono stati venduti 6,5 milioni di veicoli elettrici «e nel 2030 probabilmente arriveremo a 40».
Così, anche in Italia, è partito un progetto a Cesano, a pochi chilometri dal lago di Bracciano. Di Enel Green Power e Vulcan Energy. Al momento è in una fase iniziale di analisi dati e studi della risorsa mineraria. Operazioni non invasive, insomma, ma, dicono da Enel Green Power, «fondamentali per valutare le potenzialità offerte dalla risorsa mineraria. Dopo una prima fase di fattibilità tecnico-economica e alcune di tipo modellistico per valutare il comportamento del fluido ed effettuare iltuning del processo di estrazione, il passo successivo è l’acquisizione della concessione e l’avvio delle perforazioni per validare le ipotesi fatte». Solo dopo comincerebbe la costruzione di quello che potrebbe essere il primo sito produttivo di litio in Italia.
E poi, però, che fare con le batterie esauste? «Vanno riciclate — conclude Dini — . Finora le batterie al litio sono finite in discarica. C’è bisogno di ricerca scientifica e industriale per l’ottimizzazione dei processi estrattivi, e di un contesto favorevole agli investimenti di tutta la filiera per arrivare a un’economia circolare».