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 2022  dicembre 06 Martedì calendario

Le 100 stazioni segrete di polizia cinesi nel mondo

Centodue “stazioni di polizia” in tutto il mondo. Undici in Italia tra Prato, Firenze, Milano, Roma, Bolzano, Venezia e la Sicilia. Un’indagine che va avanti, da circa un anno, della nostra intelligence per capire esattamente che lavoro svolgono: perché in tutti gli atti ufficiali è scritto che gli uffici che la Cina ha aperto in tutto il mondo, ma in Italia più che altrove, servono soltanto a velocizzare pratiche burocratiche («facciamo patenti» hanno detto) ma il sospetto comune, anche ai nostri 007, è che quegli uffici servano anche ad altro. A spiare i cittadini cinesi all’estero. A controllare i flussi di denaro tra l’Asia e il nostro Paese. Ma in alcuni casi anche a convincere con metodi non legittimi i cittadini cinesi a ritornare in Patria, senza passare dai trattati di cooperazione. In almeno due casi, in Italia, due uomini che vivevano in Toscana sarebbero stati costretti a tornare in Cina perché erano pronti a prendere loro familiari. Da allora si sono perse le tracce.
A far scoppiare il caso delle stazioni cinesi sparse nel mondo è stata la Ong Safeguard Defenders che ha pubblicato nei giorni scorsi un rapporto – rimbalzato sulle pagine dell’ Espresso in Italia e ieri delGuardian – per denunciare quello che da tempo era già esploso: soltanto nel nostro Paese due interpellanze parlamentari erano state presentate. «E aspettiamo ancora risposte», denuncia la parlamentaredel Pd, Lia Quartapelle, che segnala come l’Italia sia il Paese G7 maggiormente coinvolto in questa operazione. E che le nostre forze di Polizia abbiano firmato degli accordi ufficiali a differenza di quanto accade all’estero.
Ma che fanno questi uffici? Ufficialmente, si diceva, sbrigano pratiche burocratiche. Passaporti, patenti. Secondo gli accordi firmati è possibile anche che lavorino parallelamente con la Polizia italiana anche se questo non accade da prima del lockdown. Repubblica è venuta a conoscenza, però, che la nostra intelligence sta compiendo dalla scorsa primavera alcuni accertamenti perché troppe cose non tornano, in Italia come all’estero. Tutto è nato con la massiccia campagna di Pechino per combattere le frodi da parte di cittadini cinesi residenti all’estero – grazie alla quale già 210mila cinesi sono stati “convinti” a ritornare in patria lo scorso anno – l’Ong ha rintracciato l’origine di queste stazioni. Nome in codice: “110 Oltreoceano”, dal numero delle emergenze della polizia in Cina. Una rete presente ora in 53 Paesi. La stragrande maggioranza degli uffici è stata istituita a partire dal 2016: ben prima, dunque, del Covid. Tutte fanno capo a quattro dipartimenti di sicurezza di altrettante città cinesi: Nantong, Qingtian, Wenzhou e Fuzhou. Tra le persone costrette a tornare a casa ci sarebbero anche gli obiettivi dell’Operazione caccia alla volpe, la campagna lanciata nel 2014 dal presidente Xi Jinping per andare a riacchiappare i funzionari di Partito corrotti fuggiti all’estero. Undicimila le operazioni in 120 Paesi dal 2014 ad oggi. La maggior parte attraverso metodi di persuasione illegali. Nel 2018, su 1.335 rimpatri, soltanto 17 persone sono rientrate in Cina attraverso canali di estradizione.
Da Pechino è impossibile avere una risposta. I telefoni squillano a vuoto, per ore. Dall’altra parte della cornetta si resta in attesa a farsi tartassare le orecchie con quel suono che ricorda i vecchi modem 56k.Repubblica ha contattato quattro numeri del Ministero della Pubblica Sicurezza cinese chiedendo spiegazioni: in due settimane nessuna risposta ai nostri messaggi lasciati in segreteria. L’unica, sempre la stessa, l’hanno fornita i vari portavoce del Ministero degli Esteri di Pechino in alcune conferenze stampa: «Quelle che sono state definite “stazioni di polizia” sono in realtà centri per i servizi per i cinesi all’estero. A causa del Covid, un gran numero di cittadini cinesi non è in grado di tornare in Cina in tempo per servizi come il rinnovo della patente di guida. Così le autorità competenti hanno aperto una piattaforma online per il loro rilascio: i centri hanno lo scopo di aiutare i cinesi in queste questioni burocratiche. Le persone che lavorano in queste sedi sono volontari delle comunità locali. Non poliziotti». Non si capisce però perché questo lavoro non possa essere svolto dalle ambasciate o dai consolati.