La Stampa, 6 dicembre 2022
Putin arrogante alla guida di una Mercedes
La telecamera inquadra le mani di Vladimir Putin che afferrano il volante (e non hanno più sul dorso quei lividi che un mese fa avevano fatto parlare di misteriose flebo cui si sottoponeva il presidente russo) mentre guida spedito sul ponte di Kerch, interrogando il vicepremier Marat Khusnullin sui tempi di ricostruzione del progetto cui tiene particolarmente. Il ponte che collega la Russia alla Crimea è stato fatto esplodere l’8 ottobre scorso, in quello che quello Mosca considera un atto sovversivo dei servizi ucraini, e il leader russo è volato nella penisola annessa per mostrare in persona che il danno è stato riparato. Mentre il portavoce della presidenza Dmitry Peskov è costretto a giustificare il suo principale perché guida poco patriotticamente una Mercedes («è l’unica auto che era disponibile sul posto»), su Internet ci si interroga come abbia fatto Putin nello stesso pomeriggio a visitare la Crimea e celebrare una serata di beneficenza a Mosca, tra teorie cospirazioniste di sosia e videomontaggi. Ma indipendentemente dall’autenticità del filmato, l’impatto propagandistico di un presidente che guida il Paese con mano ferma viene rovinato dai raid ucraini alle basi militari di Saratov e Ryazan: due bombardieri strategici sono stati colpiti da droni penetrati per 700 km dentro il territorio russo, un affronto politico e militare al quale Peskov riesce a replicare soltanto con un «il presidente è stato messo al corrente».
I blogger militaristi russi si permettono su Telegram caute ironie sulla sortita in Crimea, visto che avrebbero voluto vedere Putin al fronte, a fare il verso a Volodymyr Zelensky. Ma il presidente russo, già soprannominato dagli oppositori come "il nonno nel bunker", appare meno che mai incline a incontrare i suoi sudditi, soprattutto quelli più scontenti: ieri ha anche firmato una legge che proibisce di manifestare in luoghi pubblici come università, chiese, ospedali, porti, stazioni e aeroporti, e in generale «nelle adiacenze di infrastrutture e uffici governativi». Nonostante le ripetute smentite ufficiali, una seconda ondata di "mobilitazione parziale" appare quasi una certezza dopo le feste di fine anno, quando il fronte ucraino finirà di tritare i 300 mila mobilitati autunnali. Ma già la prima ondata ha inferto un colpo pesantissimo non soltanto ai consensi del Cremlino - secondo sondaggi che circolano a Mosca, il 55% dei russi ora vuole un negoziato, e solo il 25% la prosecuzione dell’invasione dell’Ucraina - ma anche all’economia russa. Secondo una ricerca dell’Istituto di politica economica Gaidar, la Russia non ha mai sperimentato una tale carenza di manodopera. Non si tratta soltanto dei 300 mila mobilitati strappati alle loro famiglie e al loro lavoro, spesso prelevati dai militari direttamente dalle fabbriche o dagli uffici per venire mandati in caserma e poi al fronte. Secondo le statistiche delle guardie di frontiera russe, da luglio a ottobre sono espatriati 9,7 milioni di persone, con un aumento di 1,2 milioni rispetto al 2021, e di quasi il doppio rispetto al trimestre precedente. È più o meno lo stesso numero, circa 1,2 milioni, che si ottiene sommando i dati dei russi emigrati negli ultimi due mesi in Paesi come la Georgia, l’Armenia, la Turchia, la Finlandia e il Kazakhstan, dalla fine di settembre le destinazioni principali dei maschi russi in fuga dalla coscrizione.
I riservisti russi se ne sono andati, almeno quelli che potevano permetterselo, e il risultato è un collasso del mercato del lavoro. Metà delle società russe dichiarano agli esperti dell’Istituto Gaidar di non poter più aumentare i volumi di produzione, e un quinto sono costrette a ridurli. Anche la qualità risente: un terzo degli imprenditori russi temono di dover abbassare il livello dei loro prodotti. La chiamata alle armi ha colpito la fascia più attiva della popolazione, e il milione che si è potuto permettere il lusso di fuggire all’estero pur di non finire in trincea rappresenta i russi più benestanti, istruiti e intraprendenti. «Semplicemente avremo meno persone sane, istruite e forti, quelli che creano il Pil di un Paese», ha commentato al Financial Times Vladimir Gimpelson, un economista moscovita che studia il mercato del lavoro. E se le posizioni meno prestigiose di lavoro pesante possono venire sostituite dai migranti dall’Asia Centrale, e in molti uffici stanno già promuovendo le donne, un settore come quello informatico appare dissanguato, anche perché il più globalizzato: un programmatore russo non ha problemi a lavorare per una società californiana mentre vive a Helsinki o a Bangkok.
La Russia si divide tra quelli che vengono mandati al fronte - diverse società lamentano già la mancanza di tornitori e minatori, piloti e contadini, impiegati e allenatori sportivi - e quelli che scappano, spesso intere famiglie. È la generazione tra i 20 e i 40 anni, quelli che danno lavoro, pagano stipendi e tasse, stipulano mutui, mantengono i genitori e fanno figli. Gli studiosi prevedono un collasso demografico ancora più devastante di quello che sembrava aspettare la Russia, e che pronosticava una riduzione dei russi in età lavorativa del 25 per cento nel 2030. Un pericolo di cui il Cremlino era ben conscio, e lo stesso Putin aveva lanciato diverse misure per aumentare le nascite. Ora invece distribuisce medaglie alle "madri eroine" che hanno fatto almeno 10 figlie (la prima decorata è la moglie del leader ceceno Ramzan Kadyrov), e le propagandiste raccontano in tv he il compito di una madre è «educare soldati». L’idea arcaica di un Paese da militarizzare in una «guerra popolare» non è compatibile con una economia moderna, e Gimpelson dice che la mobilitazione è stata «un errore disastroso, se si ha come priorità la crescita economica».