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 2022  dicembre 06 Martedì calendario

Intervista a Duplantis, l’uomo volante

Il ragazzo che sa volare non mentiva: che abbia fatto il primo salto con l’asta a 4 anni non è leggenda. Armand Duplantis detto Mondo estrae dalla tasca dei jeans il telefonino, fa partire un vecchio video. Sorride: «Questo sono io in giardino, impugno un’asta minuscola nel tentativo di imitare mio padre Greg. La mia storia è iniziata così». A 23 anni, re del galà di World Athletics (la regina è Sydney McLaughlin) in cima a una stagione perfetta, Mondo ha già vinto tutto: Mondiali indoor (6,20) e all’aperto (6,21), Europei, più l’oro olimpico di Tokyo. Se gli dici che è il nuovo Bolt («No grazie, io sono io»), inteso come volto dell’atletica, o il Bubka 3.0, il paragone non lo riempie di gioia («Non ci parlo molto, l’avrò incrociato un paio di volte. È stato un grande, molto longevo, ma non è della mia generazione, io sono cresciuto ammirando Lavillenie»); meglio lasciargli intendere che come Duplantis, sui cieli dell’atletica, non vola nessuno.
Armand, come ci si motiva a 23 anni, avendo già completato la collezione di ori più pregiati?
«Non è difficile, la vera sfida è con me stesso. Fisso gli obiettivi sulle mie capacità, il resto del mondo resta fuori».
C’è potenziale inespresso?
«Oh sì, quest’anno ho ritoccato il record tre volte ma sento di poter saltare ancora più in alto. Tecnicamente non devo cambiare nulla, però la velocità al decollo può migliorare, ci sto lavorando. L’asta è un’alchimia delicata: servono timing, costanza, rapidità combinate insieme. Un talento, da solo, non basta».
Come allena la velocità?
«Correndo lo sprint due o tre volte alla settimana. Nel 2018 fermavo il cronometro sui 10”57, oggi sono molto più esplosivo: posso dire che sono intorno ai 10”. Mi uccido nei primi 30 metri: devo diventare più bravo a gestire lo sforzo. E l’idea di correre la staffetta con la Svezia no, non mi dispiace».
Con l’asta ci parla?
«No, mai successo! E nemmeno le ho dato soprannomi. Però certo c’è un rapporto stretto, come per il tennista con la racchetta o per il pilota di F1 con l’auto. Per saltare di più mi serve un’asta più lunga e rigida, che mi proietti più in alto. La sfida dei prossimi anni, a partire dal Mondiale di Budapest 2023, passerà da lì. Possiamo dire che l’asta è la mia ragazza e che sono in cerca di una ragazza nuova!».
Tra il decollo e l’atterraggio c’è tempo di pensare?
«No. Il mio corpo reagisce seguendo istintivamente i movimenti che l’ho allenato a fare ma la mente è vuota, non c’è il tempo di pensare a niente. Il salto è fatto di sensazioni: da come salgo verso l’asticella, capisco se è buono o no. All’inizio c’era il panico della caduta da gestire. Non più».
Da bambino non sognava di fare l’astronauta?
«Mai avuto un piano B: non ricordo un periodo della mia vita in cui non abbia saltato con l’asta. Mio padre era un saltatore, mio fratello lo è stato. Mai voluto fare altro, è venuto tutto facile. Ho un talento? Lo coltivo».

Papà Greg americano, mamma Helena svedese. Lei ha doppio passaporto ma gareggia per la Svezia. Come si vive divisi a metà?
«Fuori stagione sto a Baton Rouge, in Louisiana, dove mi alleno sempre all’aperto. Gli altri sei mesi a Stoccolma, dove vivo con Desiré, la mia compagna, e dove c’è la mia base europea».
In Svezia è appena uscito il suo film «Born to fly».
«Racconta il viaggio fin qui, dal materassino dei primi salti piazzato in cortile al titolo mondiale. Tutto un po’ surreale ma anche molto vero: ho sempre pensato di poter fare le cose che ho ottenuto nella mia carriera. A Londra 2012 vidi Lavillenie diventare campione olimpico e pensai: perché non io? In ogni meeting posso saltare 6 metri, se voglio. Poi ci sono i fattori esterni: vento, sole, pioggia. Ma questo è un altro discorso».
Da dove deriva questa autostima? Famiglia, psicologo?
«Da mio padre Greg, è genetica, e dalla mia storia. Le spiego: sono cresciuto con due fratelli maggiori super competitivi e tutti i ragazzini del vicinato con cui giocavamo erano eccezionali nei vari sport. Ambiente tosto, non immagina quanto. Se volevi qualcosa, dovevi conquistartela. Se non arrivi primo, sei ultimo: sono venuto su con questa mentalità. Ecco perché davanti a una sfida non mi tirerò mai indietro».
Si vede saltare fino a quasi 40 anni, come Bubka?
«Se sarò ancora al top, mi piacerebbe. Ma se perdo la magia, no, non se ne parla: preferisco giocare a golf».
E come capirà se la magia è evaporata o c’è ancora?
«Facile. Se perdo, non mi diverto per niente».