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 2022  dicembre 06 Martedì calendario

Insegnare i dialetti attraverso i poeti

In un Paese in cui i test Invalsi segnalano le carenze drammatiche in italiano, nella lettura e nell’interpretazione dei testi, la Lega avanza una proposta di legge per l’insegnamento del dialetto veneto nelle scuole (venete, si suppone) fin dalla materna. «Uccisi e mai morti», secondo Andrea Zanzotto, i dialetti (soprattutto alcuni) continuano a smentire ogni profezia apocalittica, e resistono, rimanendo molto radicati non solo in Veneto, ma anche in altre regioni, come la Campania, la Basilicata, la Calabria, la Sicilia. Pur tuttavia, insegnarli è impossibile, visto che, non trattandosi di lingue scritte, mancano di una grammatica codificata, e le varietà sono tali che ad Avola bisognerebbe «insegnare» l’avolese e a 8 chilometri di distanza, cioè a Noto, il netino, che ha una fonetica diversa. Per non dire delle differenze tra veneziano e trevigiano. D’altra parte, ci sarebbe un bel modo per rendere sensibili gli studenti verso le lingue locali con vantaggi anche per l’esercizio della lingua nazionale: leggere la poesia dialettale, un filone da sempre molto vitale, persino più della poesia in lingua. Basti pensare ai classici, come Carlo Porta per Milano e Giuseppe Giachino Belli per Roma, oppure a tanti poeti del Novecento. Leggere ad alta voce (bisogna saperlo fare ma ci sono anche magnifiche registrazioni d’autore), imparare a memoria, tradurre, soffermarsi sul lessico e sulle etimologie… Ogni bravo professore potrebbe sbizzarrirsi (per la felicità dei deputati localisti). Per Milano e dintorni, leggendo Delio Tessa («mi, quand nassi on’altra volta, / nassi on gatt de portinara!», se nasco un’altra volta, nasco gatto di portinaia). Per la Romagna, sarà grande l’imbarazzo tra Raffaello Baldini («e’ furistìr / aquè a so mè», il forestiero qui sono io) e Tonino Guerra (che ricorda che il matto del paese «quand che parlèva / e’ parlèva ad scatt»). Per le Marche, andando sul sicuro con il grande Franco Scataglini («Io so’ ‘l ciglio del mondo / e te sei la voragine»). A Napoli potrà sempre recuperare qualche verso del gigante Salvatore Di Giacomo («Chiano chiano, / s’allonga sta manella / e mm’accarezza ‘a mano…»), eccetera eccetera. Naturalmente, senza dimenticare il Veneto di Zanzotto: «Vecio parlar che tu à inte ‘l saór / un s’cip de lat de la Eva». Vecchio dialetto che hai nel tuo sapore un gocciolo del latte di Eva.