Corriere della Sera, 6 dicembre 2022
Le coste sarde contese dai big dell’eolico
«La Sardegna capitale cosmica. Sì Einstein, no Draghi». L’appello di Gavino Ledda, probabile candidato al premio Nobel per la Letteratura, è un verso omerico nella miniera dismessa di Sos Enattos, nel cuore della Barbagia, l’unico posto della Terra in cui è possibile ascoltare alla perfezione i sussurri dell’universo e misurare le onde gravitazionali. Sos Enattos è stato scelto per realizzare il progetto europeo Et, Einstein Telescope, un centro di ricerca che sarà tra i più importanti del pianeta e creerà 35 mila nuovi posti di lavoro. Senza sporcare la natura, sfondare montagne e fondali marini, stuprare la bellezza dei paesaggi, imporre ancora una volta alla Sardegna lo status di colonia: prima penale, poi militare e ora «energetica».
Invece no. Proprio qui, grazie ai veloci decreti del governo Draghi sull’energia green e la transizione ecologica, la Sardeolica srl (100% della Saras dei Moratti, proprietaria anche della raffineria petrolifera di Sarroch) vuole piantare sei torri eoliche alte quanto palazzi di 70 piani. Naturalmente, il rumore degli aerogeneratori cancellerebbe il silenzio cosmico e quindi priverebbe non solo la Sardegna, ma l’Italia del prestigioso progetto. Il decreto-energia del governo Draghi, però, impone di far presto, di far tutto, specialmente in materia di eolico. Così tedeschi, olandesi e belgi, i quali un luogo come Sos Ettanos possono soltanto sognarlo, hanno colto l’occasione, si sono consorziati e ora puntano a realizzare Et tra i fiumi Mosa e Reno.
«È una follia, vogliono condannarci alla marginalità perpetua – dice Antonio Calia, sindaco di Lula, per 35 anni minatore nelle vene di Sos Enattos —. Faremo di tutto per sventare la prepotenza di questo affare per pochi, con l’alibi dell’energia rinnovabile».
I progetti per eolico e fotovoltaico industriali presentati in Sardegna sono cento. Millecinquecento nuove pale eoliche, che, aggiunti ai pannelli fotovoltaici, significano una potenza complessiva installata (che non è energia «prodotta») per un fabbisogno di 25 milioni di abitanti, quando invece la Sardegna ne ha un milione e 650 mila. «I contributi pubblici di 140 mila euro per ogni megawatt installato, per 20, 30, o 40 anni – dice Mauro Pili, ex presidente della Regione ed ex deputato, tornato a fare il giornalista per l’Unione Sarda —, rendono questo business più remunerativo del narcotraffico». Con costi enormi per il turismo, la pesca e la navigazione, il paesaggio e la natura.
Un «gioco» che non vale la candela e devasta il paesaggio, che è un bene irriproducibile tutelato dalla Costituzione. E infatti nel 2014, quando era ancora giudice della Corte Costituzionale, Sergio Mattarella firmò una sentenza in cui è scritto di «evitare che una installazione massiva degli impianti eolici possa vanificare gli altri valori coinvolti, tutti afferenti la tutela, soprattutto paesaggistica, del territorio». Mentre oggi Mattarella, che trascorre le vacanze a Capo Caccia di Alghero – ci spiega Mario Bruno, ex sindaco della città —, «si ritroverà di fronte agli occhi, proprio sulla Riviera del Corallo, una selva di 54 pale, ognuna di 332 metri di altezza, trenta in più della Torre Eiffel. Un “parco” da 1.350 megawatt, il più grande del mondo».
La Regione Sardegna ha impugnato il decreto-energia del governo Draghi non solo per il devastante effetto paesaggistico e naturalistico, ma anche perché è una regione a statuto speciale e ha competenza primaria in materia di paesaggio e di energia. Su questo deciderà a febbraio prossimo il Consiglio di Stato. Intanto però, la febbre dell’oro eolico produce progetti megalomani su tutta la costa sarda. Davanti a Sant’Antioco e a Carloforte, per esempio, 35 torri alte 300 metri faranno smarrire la rotta ai tonni rossi, vera ricchezza dell’economia locale. Franciscu Sedda, docente di Semiologia, leader del movimento indipendentista «A innantis!», dice: «Il caso dell’Et è sconvolgente. Lo Stato italiano mette deliberatamente a rischio un progetto che vale 7 miliardi di euro e il 2 per cento del Pil nazionale. Perché?».
La risposta è negli enormi profitti a cui mirano le società proponenti. Per lo più multinazionali con base in Danimarca, Olanda, Svezia, Norvegia, cioè proprio quei Paesi che sui soldi del Pnrr all’Italia sono stati ostili. Rappresentate in loco da piccole società con 4 o 5 mila euro di capitale sociale, queste compagnie appaiono solo alla fine del procedimento. Hanno fatto così anche Eni e JP Morgan, la grande banca d’affari americana, che le sue pale vuol piantarle nel Golfo degli Angeli. Ma ci sono anche società direttamente riconducibili alla mafia, come documentano inchieste avviate a Palermo e incardinate a Cagliari.
Il capo del governo, Giorgia Meloni, che ha nominato suo consulente personale sulla «transizione» proprio l’ex ministro Cingolani, non potrà far finta di niente. Perché nulla è stato risparmiato all’Isola dei Nuraghi. Centinaia di torri imponenti da La Maddalena e Caprera, fino a tutta la Costa Smeralda (210 torri) e al Golfo Aranci. Torri gigantesche davanti alle coste di Oristano e di Cagliari. E pale eoliche anche a Capo Teulada, che pure è già interdetta alla balneazione e all’ormeggio a causa dei missili e delle bombe delle esercitazioni militari. E ancora, torri assurde anche nelle campagne fertili di grano duro del Campidano. Nemmeno la meravigliosa basilica di Saccargia è stata salvata, pale eoliche anche lì, della Erg, con un altro decreto ad hoc del governo Draghi, bocciato però dal Tar Sardegna il 29 novembre scorso. Eppure, la Sardegna è l’unica regione europea senza gas. Ciò che non ha consentito di convertire a gas le due centrali a carbone di Portovesme e Porto Torres, come invece è avvenuto per le altre centrali dello stesso tipo nel resto d’Italia. Mentre il metano, il meno inquinante tra i combustibili fossili, che qui doveva arrivare con il gasdotto Galsi dall’Algeria, è ancora trasportato in bombole. Il progetto del Galsi (che, come il gasdotto Tap dall’Azerbaigian, avrebbe potuto rivelarsi fondamentale) rientra tra i «progetti europei strategici», ma è stato affossato a favore del trasporto del gas liquido con navi gasiere dal Mozambico e dall’America, con relativa corsa a costruire enormi e inutili rigassificatori. Invece, proprio quel metano avrebbe potuto, e ancora potrebbe, assicurare la vera transizione verso l’energia pulita dell’idrogeno. Per questa ragione, a Carlo Rubbia, premio Nobel per la Fisica, era stato affidato un altro progetto, «L’Isola dell’idrogeno». Ma senza il metano, sia l’Isola sia l’idrogeno sono stati decapitati dalla ghigliottina delle pale eoliche.