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 2022  dicembre 06 Martedì calendario

Un radiotelescopio per capire se siamo soli nell’universo

Tra la nascita dell’idea e la posa del primo mattone sono trascorsi quasi trent’anni. Un decennio per avviare e perfezionare il progetto, un altro per sviluppare le tecnologie necessarie e un altro ancora per raccogliere i fondi e raggiungere gli accordi con i governi dei Paesi coinvolti. Ieri, infine, l’apertura ufficiale dei cantieri dello Square Kilometer Array (in italiano, letteralmente, «griglia di un chilometro quadrato»), che una volta completato, nel 2028, sarà il più potente radiotelescopio mai costruito.
Radiotelescopio perché, a differenza dei classici telescopi ottici che vengono utilizzati per osservare la luce visibile, si servirà di migliaia di parabole per rilevare onde radio emesse da varie fonti nell’Universo: «Il sistema sarà sensibile al punto da poter rintracciare il radar di un aeroporto su un pianeta distante anni luce», spiega la direttrice Sarah Pearce, che aggiunge: «Potrebbe persino darci la risposta alla grande domanda: siamo soli nell’Universo?».
Extraterrestri a parte, lo Ska garantirà un flusso di dati tale che gli astrofisici già lo hanno definito una vera e propria rivoluzione, grazie a cui sarà possibile ricostruire i processi di nascita e morte delle stelle, intercettare i segnali emessi nelle centinaia di milioni di anni appena successivi al Big Bang, studiare la storia dell’idrogeno (il più abbondante elemento dell’Universo) e fornire ulteriori prove a sostegno delle teorie di Albert Einstein.
Per ottenere grandi risultati è necessaria una grande infrastruttura. Tanto grande da essere distribuita in due Paesi sulle sponde opposte dell’Oceano Indiano. Sulla costa occidentale dell’Australia, 800 chilometri a nord di Perth, verranno installate oltre 131 mila antenne dipolo per medie e basse frequenze, simili a piccoli alberelli metallici. In Sudafrica, invece, verranno posizionate 197 parabole a disco di 15 metri di diametro per captare radiazioni ad alta frequenza. Una rete in grado di mappare il cielo 135 volte più velocemente dei telescopi attualmente in uso.
Un totale di 500 mila metri quadri, area che i fisici coinvolti sperano di raddoppiare al più presto e portarlo, appunto, a un chilometro quadrato. Magari allargando l’installazione delle antenne e delle parabole a uno degli altri quattordici Paesi coinvolti nel progetto: Regno Unito (dove avrà sede l’osservatorio centrale), Cina, Paesi Bassi, Portogallo, Svizzera che fanno già parte dell’organizzazione che finanzia il progetto. E Francia, Germania, Spagna, Canada, India, Svezia, Corea del Sud e Giappone che ne diverranno presto membri.
L’Italia non solo fa parte dei Paesi che hanno già ratificato la Convenzione che ha istituito l’Osservatorio Ska, ma ha anche fornito una parte dei materiali che verranno impiegati in Australia: le piccole antenne che presto spunteranno dal terreno dell’Outback sono state progettate dall’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), assieme alle Università di Bologna, Firenze e Ferrara e all’Istituto di Elettronica ed Ingegneria dell’Informazione e delle Telecomunicazioni (Ieiit) del Consiglio nazionale delle ricerche. Tecnologie studiate appositamente e destinate, una volta messe a punto nelle campo dell’astrofisica, a essere sfruttate anche in altri settori.