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 2022  dicembre 05 Lunedì calendario

Cementificazione, salvare l’Italia costa 200 miliardi

Il disastro di Ischia non deve considerarsi evento eccezionale, legato alla presenza di iper cementificazione abusiva e alle caratteristiche ambientali dell’isola. Tantissimi contesti territoriali di quello che era considerato “il Belpaese” infatti sono destabilizzati da diffusione insediativa, consumo di suolo, urbanizzazione eccessiva spesso autorizzata, che ne hanno stravolto gli ecosistemi: degradi e dissesti già gravi diventano esiziali per le ricadute della crisi climatica. Gli eventi tragici che si susseguono sempre più ravvicinati non sembrano però scalfire l’agenda politica: si urla per qualche giorno, poi la transizione ecologica torna ad essere una chiacchiera.
Pochi dati bastano a fornire i contorni del dissesto diffuso da impatti della cementificazione. L’Italia – considerando residenti e presenti (compresi neonati e immigrati senza permesso) – dovrebbe avere per fornire comodamente un tetto a tutti, circa 7 miliardi di metri cubi di volumi abitativi. Secondo Istat, se ne è costruito quasi il doppio e il suolo consumato seguita a crescere: oggi è pari a circa il 10% del territorio nazionale. Per Ispra, questo significa che il 94% dei Comuni italiani è a rischio frane o alluvioni con una ripartizione pressoché uniforme da nord a sud e 3,5 milioni di famiglie interessate. L’Osservatorio “Città- Clima” di Legambiente sottolinea poi gli effetti ormai quotidiani della crisi ecologica: gli “eventi estremi” degli ultimi 12 anni superano quota 1.500 (quest’anno +27%). La sofferenza dei territori è crescente, con suoli “esasperati e stressati” dal succedersi di fenomeni intensi quanto opposti: prolungate ondate di calore e siccità, interrotte da precipitazioni copiose fino alle “bombe d’acqua”.
Già una decina di anni fa il ministero dello Sviluppo – non un centro studi di ecologisti radicali- stimò la spesa necessaria a mettere in sicurezza il Paese dai rischi sismico, idrogeologico, da incendi e inquinamenti: 190 miliardi di euro. La proposta era un programma pluriennale con voce permanente nel Bilancio. Matteo Renzi, da presidente del Consiglio, sulla base di questo lanciò il programma “Casa Italia”, bloccato e poi dimenticato in pochi mesi. Probabilimente quando ci si accorse che servivano soprattutto tanti piccoli progetti “a grana fine” di ripristino e riterritorializzazione, non le Grandi Opere a sicuro effetto mediatico.
L’agenda politica ignora quasi completamente tali problemi, come dimostra il Pniac, Piano Nazionale di Azione Climatica, pronto in bozza fin dal 2016 e mai approvato. Lo stesso Pnrr è un’enorme occasione sprecata: al risanamento del territorio vanno appena 4,5 miliardi, il 2% circa del totale e un paradosso a fronte dei 31 miliardi di euro dedicati ad Alta velocità e grandi opere, che diventano 81 miliardi col Collegato Infrastrutture.
Proprio il Pniac, col Green Deal europeo e gli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Unep forniscono i criteri per le azioni di risanamento e consolidamento dei territori rispetto alla crisi ambientale.
L’Italia poi ha l’ulteriore vantaggio di annoverare nei quadri programmatici ordinari uno strumento già orientato a tutela e riqualificazione, il Piano Paesaggistico. Come previsto dal Piano per il clima, i ministeri interessati e le Regioni promuovono “task-force” di risanamento e restauro: possono assumere come Linee Guida per l’azione di medio-lungo periodo proprio i piani Paesaggistici. L’emergenza climatica richiede però azioni rapide, incisive già subito: vanno realizzati i Programmi di adattamento climatico e i Progetti di Resilienza, promossi da Green Deal e Unep, già adottati in molte grandi città e territori all’estero (Oslo, Copenaghen, Amsterdam, Singapore, etc.), ma solo a Bologna tra i capoluoghi italiani. Parliamo di progetti integrati di gestione dei fenomeni legati agli andamenti meteoc-limatici di contesto e relative ricadute critiche, già registratesi e prevedibili: la particolarità di tali azioni è che muovono dal “ripristino di ciò che l’ipercementificazione ha distrutto, ovvero l’ecofunzionamento naturale degli habitat”. Il primo elemento di consolidamento di un ambito è l’azione di aggiustamento e restauro degli apparati paesistici. Tradotto per l’Italia: ripristinare le vie di fuga dell’acqua, nonché la continuità dell’armatura dei collettori idrologici e paesistici.
È necessaria una svolta reale quanto drastica. Siamo scettici che questo possa accadere per improvvise “illuminazioni” del ceto politico-istituzionale: servirà l’azione diretta, o almeno la pressione critica sui decisori, delle numerose soggettività che anche in Italia lavorano ogni giorno per la tutela di ambiente e territorio producendo contemporaneamente ricchezza, una realtà economica da decine di miliardi all’anno. La transizione che urge parte da loro.