il Fatto Quotidiano, 5 dicembre 2022
Intervista a Maurizio Landini
“Cosa hanno fatto di male i poveri a Giorgia Meloni?”. La battuta riassume lo stato dei rapporti tra Cgil e governo di centrodestra. Dopo la sua vittoria elettorale, Maurizio Landini aveva assicurato di non avere nessun pregiudizio nei confronti del governo Meloni.
Nessun pregiudizio, ma avete già avviato la mobilitazione?
Infatti giudichiamo la manovra per quello che è concretamente. E il giudizio è negativo. Insieme alla Uil abbiamo promosso ogni giorno della settimana che va dal 12 al 16 dicembre, una serie di iniziative in tutte le regioni, anche con il ricorso allo sciopero: non siamo solo di fronte a una Legge di bilancio sbagliata, ma che contiene idee di riforma molto regressive.
Che intende quando dice regressive?
Non si arriva alla fine del mese e invece di combattere la precarietà si reintroducono i voucher. Vuol dire che si pensa di aumentare forme di sfruttamento e incentivare gli imprenditori a investire su questo e non su qualità e innovazione. Anziché aumentare i salari è regressivo premiare gli evasori, innalzare il contante, tornare indietro rispetto ai pagamenti digitali. È regressivo rinunciare ad alzare ed estendere in tutti i settori la tassazione sugli extraprofitti. È regressivo prevedere tagli e riduzioni all’istruzione, al trasporto e alla sanità pubblica che aprono la strada alla privatizzazione. È regressivo, dopo 10 anni che non si rivalutano le pensioni, prevedere dei tagli e non mettere fine alla legge Fornero. Tutto questo lo vedo molto preoccupante. Il voto in Parlamento contro il salario minimo, proponendo al contrario i contratti di prossimità anziché dare valore di legge ai contratti nazionali, corrisponde a una logica pericolosa e regressiva.
Meloni le risponderebbe che su questo ha vinto le elezioni.
Ho molto chiaro che c’è una maggioranza che intende governare per 5 anni, ma i primi indirizzi mostrano una visione preoccupante. Cosa gli han fatto di male al governo quelli che per vivere hanno bisogno di lavorare o coloro che si sono impoveriti?
Anche Confindustria avanza critiche molto dure, vede una convergenza?
Sì, anche Confindustria riconosce che c’è un problema salariale e che la gente non arriva a fine mese. Noi pensiamo che la riduzione del cuneo fiscale debba andare tutto al lavoro dipendente e che gli incentivi pubblici alle aziende debbano essere selettivi, finalizzati a chi investe, innova e crea occupazione stabile. Pensiamo poi che servirebbe una vera politica industriale, una vera sovranità energetica fondata sulle fonti rinnovabili e una battaglia delle imprese sulla legalità contro gli appalti al massimo ribasso e contro le finte cooperative.
Sarebbe possibile un incontro su questo o una iniziativa comune?
Sì è un incontro da realizzare. La situazione è grave, nessuno è in grado di venirne fuori solo. Occorre investire sul mondo del lavoro e coinvolgerlo nel ridisegno di un nuovo modello sociale ed economico.
Perché è critico sulla tassazione degli extraprofitti?
Gli extraprofitti sono decine di miliardi e il provvedimento del governo ha cambiato la base imponibile e ridotto il numero di imprese a cui chiedere il contributo. Si punta a 2,5 miliardi di gettito, che è un quarto di quello che aveva fissato Draghi. È il momento di fissare un contributo straordinario di solidarietà per tutte le attività che in questi mesi e anni hanno aumentato i loro profitti.
Sul reddito il governo parla di occupabilità e di lavoro disponibili. È così?
Si fa una grande confusione. Innanzitutto il reddito è familiare e non individuale. Quando si parla di 660 mila occupabili si parla di persone che in gran parte hanno la licenza media oppure non lavorano da anni, quindi con seri problemi di qualificazione. Le occasioni di lavoro sono magari concentrate al nord con gran parte dei possibili destinatari che vive al sud. Spesso siamo di fronte a proposte di lavoro precario o sottopagato. Quindi si sta facendo una campagna sbagliata per coprire il fatto che non si vanno a prendere i soldi dove sono.
Il sindaco di Bologna ha proposto di cambiare nome al Pd aggiungendo “del lavoro”. Sarebbe utile?
Io vedo un tema più profondo che non è nominale. C’è stata una rottura tra politica e mondo del lavoro. È passata l’idea della svalorizzazione del lavoro e provvedimenti sbagliati sono stati presi da governi di destra, di sinistra e di vari colori. Il problema è come tutta la politica torni a mettere al centro il lavoro.
E come può farlo?
Tutto il Parlamento dovrebbe occuparsi di un nuovo Statuto delle lavoratrici e dei lavoratori in cui a prescindere dal rapporto di lavoro le persone abbiano gli stessi diritti. C’è bisogno di una legge sulla rappresentanza e sul valore generale dei contratti collettivi nazionali sancendo così un salario minimo e tutele per tutti. Non può più essere accettato che le persone per lavorare debbano competere tra di loro. Non riguarda solo la sinistra, ma tutta la politica.