Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  dicembre 05 Lunedì calendario

In morte di Dominique Lapierre

L’India dei poveri piange perché ha perso il suo cantore e paladino. Piangono anche i lettori de La città della gioia, che ebbero la vita sconvolta da questo libro uscito nel 1985 dedicato agli ultimi della terra, gli uomini cavallo di Calcutta. Non pochi ragazzi, anche in Italia, dopo averlo letto decisero di dedicarsi al volontariato o si iscrissero a Medicina con il progetto di aiutare il prossimo.
Metà Hemingway, metà Madre Teresa, Dominique Lapierre, nato il 30 luglio 1931 a Châtelaillon-Plage, ha trascorso gli ultimi dieci anni in una dolorosa condizione di semicoscienza dopo una banale caduta. A dare l’annuncio della scomparsa, avvenuta sabato, è stata la moglie Dominique con un commovente messaggio agli amici più stretti, tra i quali i fratelli Formenton, figli di Cristina Mondadori, che è stata tra le più attive sostenitrici dello scrittore filantropo.
Lapierre era già uno degli autori di bestseller più conosciuti quando alla fine degli anni Settanta andò dal suo editore a proporre il libro che avrebbe venduto oltre dieci milioni di copie: lascia perdere, fu la risposta, a chi vuoi che interessi la vita di un portatore di risciò, di una bambina che raccoglie carbone per la sua famiglia, di un infermiere svizzero e di un venditore di cravatte inglese che hanno deciso di vivere in Bengala? Dominique non ascoltò il consiglio, salutò il suo amico americano Larry Collins, con cui aveva scritto agli inizi degli anni Sessanta Parigi brucia? — il libro inchiesta che rivelò al mondo come fu disatteso dagli ufficiali nazisti l’ordine di Hitler di radere al suolo la capitale francese —, e si lanciò nella nuova avventura. Non fu una scelta facile, perché la collaborazione con Collins (scomparso nel giugno 2005) si era rivelata eccezionale: insieme avevano scritto il racconto della nascita dello Stato di Israele, Gerusalemme! Gerusalemme!, la storia dell’indipendenza dell’India, Stanotte la libertà. Secondo un collaudato metodo di lavoro, i due giornalisti-scrittori, uno ex inviato di «Paris Match», l’altro ex corrispondente da Parigi della United Press e di «Newsweek», si dividevano i compiti, poi ciascuno scriveva un capitolo che l’altro traduceva e correggeva nella propria lingua.
Diventati campioni del bestseller storico, erano al top. Grazie al loro conto corrente milionario potevano godersi le loro ville in Costa Azzurra, le macchine sportive, i cavalli e quant’altro desiderassero. Le strade avevano però cominciato a dividersi quando durante la preparazione di Stanotte la libertà, uscito nel 1975, Dominique Lapierre, da vero cronista che voleva immergersi nella realtà che avrebbe descritto, comprò un biglietto ferroviario di terza classe da New Delhi a Calcutta per capire nella capitale del Bengala ed ex sede del governatorato britannico le ragioni delle tensioni tra musulmani e hindu che avevano portato all’uccisione di Gandhi. A Calcutta qualche anno dopo il quarantenne Dominique, sconvolto dalla condizione dei poveri, in un incontro con Madre Teresa, fondatrice delle Missionarie della Carità, chiese a chi poteva devolvere il primo assegno che sarebbe arrivato con il nuovo libro. Madre Teresa non esitò a indicare George Stevens, l’inglese ex venditore di cravatte che non aveva più soldi per mandare avanti l’asilo dove raccoglieva i figli di lebbrosi.
Con questo gesto di carità Dominique divenne da narratore anche protagonista. E da allora il suo rapporto con l’India cambiò. Nella sua vita, dopo il divorzio dalla prima moglie, da cui era nata Alexandra, che sarebbe diventata anche lei scrittrice, era intanto entrata una nuova compagna, che si chiamava proprio come lui, Dominique. Dominique Conchon, una ragazza che aveva risposto all’annuncio pubblicato dai due scrittori in cerca di una segretaria per il libro sulla nascita della nazione indiana.
Tornati a casa in Rolls-Royce, attraversando il Khyber Pass, dopo la pubblicazione di Stanotte la libertà i due Dominique si avvicinarono sempre più alla difficile realtà indiana e iniziarono a seguire alla lettera i precetti di Madre Teresa: anche un piccolo gesto può essere utile nel gran mare delle sofferenze. Scrivendo il suo capolavoro La città della gioia, Dominique, soprannominato dagli amici indiani Dada, grande fratello, mentre la sua compagna, di corporatura esile, era chiamata Didi, piccola sorella, cominciò a dare vita all’Associazione per i bambini dei lebbrosi di Calcutta e una serie di centri, quattordici in tutto, che negli anni hanno assorbito sempre maggiori risorse. Lapierre, infaticabile lavoratore che aveva continuato a sfornare bestseller, come Mezzanotte e cinque a Bhopal (con il nipote Javier Moro), dedicato al disastro ambientale che nel 1984 causò circa sedicimila vittime, durante un viaggio a Calcutta nel 2010 mi confidò che aveva destinato 65 milioni di dollari alle varie associazioni. Quella dei figli dei lebbrosi, dove assistemmo a una toccante riunione collettiva, ma anche il centro medico per l’assistenza su quattro battelli alle popolazioni dei Sundarbans, nel Golfo del Bengala, o un’altra associazione che si occupa del microprestito alle donne sole, o un’altra ancora dedicata ai bambini disabili. Tutti i soldi guadagnati con i diritti dei libri e di due film, quello tratto dalla La città della gioia, e quello dedicato alla vita di Madre Teresa con Geraldine Chaplin, sono finiti in India.
Ma ancora non bastava. Dominique vendette la sua splendida villa a Ramatuelle, vicino a Saint-Tropez, a Cristina Mondadori, che sostenne anche azioni benefiche in Africa. Lo scrittore negli anni si era trasformato in un perfetto fundraiser per le sue opere di carità. Per questo teneva conferenze in giro per l’Europa. Dopo l’India, il suo Paese preferito era l’Italia, dove aveva trovato grande generosità. Nonostante gli impegni per sostenere le associazioni di carità, Dominique aveva continuato a scrivere (per esempio l’affresco sulla storia del Sudafrica, Un arcobaleno nella notte o India mon amour). Dopo un lungo sodalizio con la Mondadori, l’editore che ha pubblicato le ultime opere di Lapierre in Italia è stato il Saggiatore. Ultimamente, ci dice il presidente del Saggiatore, Luca Formenton, «abbiamo acquisito anche i diritti di Parigi brucia? e di Stanotte la libertà, mentre La città della gioia è rimasto alla Mondadori».
Quand’era a casa, la dépendance della sua ex villa di Ramatuelle, usciva tutte le mattine a cavallo, montando Lunares o Preferida, due destrieri andalusi. Al pomeriggio lavorava. È stato così fino al 10 giugno 2012 quando perse conoscenza dopo una caduta: trauma cranico, rianimazione, un risveglio che aveva illuso tutti e una lunga convalescenza in casa, finché non si è reso necessario trasferirlo in un centro medico. Sulla sua tomba sarà inciso: «Dominique Lapierre, cittadino onorario di Calcutta. Tutto ciò che non è donato è perduto». Proverbio indiano.