Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  dicembre 05 Lunedì calendario

Ponte sullo Stretto: quanto ci è già costato

Quanto è costato fino ad ora il Ponte sullo stretto di Messina? Per capirlo dobbiamo prima ricostruirne la storia in una biografia validata da documenti e numeri. La risposta serve a capire se, come ha detto il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini, è vero che ormai costerebbe di più non costruirlo che costruirlo.
La storiaIl primo a studiare la possibilità di un collegamento fu il ministro dei Lavori pubblici del governo La Marmora, Stefano Jacini, nel 1866. Un secolo dopo, nel 1965, il ponte divenne una copertina della Domenica del Corriere. Ma il vero conto, e dunque costo del Ponte, inizia nel 1968 quando l’Anas indice un concorso di idee internazionale denominato Progetto 80. Tra i vincitori c’è l’ingegnere Sergio Musmeci che pensa a un ponte a una campata con due piloni alti 600 metri sulla terraferma per evitare di dover lavorare sul disastroso fondo marino dello stretto: instabile e a forma di V. Lo stesso Musmeci però non lo considerava fattibile perché non esistevano ancora materiali adatti a garantire la sicurezza. Troppe vibrazioni legate al vento. Tuttavia la Legge 17 dicembre 1971 promulgata con il governo democristiano Colombo istituisce la nascita di un progetto dell’Iri. Nel testo legislativo si legge che si sarebbe dovuto tenere conto del concorso di idee effettuato dall’Anas con legge 28 marzo 1968. È questo l’atto fondativo del Ponte, anche se bisognerà aspettare l’11 giugno del 1981 per vedere nascere la società Stretto di Messina Spa.
Il vero bilancio dei costiInizia a partire da qui il tassametro dei costi per lo Stato. Tra il 1981 e il 1997 vengono spesi 135 miliardi di lire per vari studi di fattibilità. Ma è il governo Berlusconi che passa ai fatti. Su progetto a campata unica, con Pietro Lunardi ministro delle Infrastrutture, nel 2003 viene aperto un primo cantiere a Cannitello per l’ancoraggio dei cavi. Passando dalle lire all’euro il conto al 2003 è già salito a oltre 130 milioni (fonte Corte dei conti). Nel frattempo erano già morte sia l’Iri che la Dc che avevano avviato l’idea. Nel 2007 la società Stretto di Messina finisce per essere controllata all’81,84% da Anas (oggi parte di Ferrovie dello Stato) e partecipata da Rete ferroviaria italiana (Rfi), Regione Calabria e Sicilia. Con il ritorno a palazzo Chigi di Prodi il progetto frena, per ripartire due anni dopo con il Berlusconi IV. Di pari passo c’è il braccio di ferro fra i sostenitori: porterà sviluppo al Mezzogiorno e sarà una grande attrazione turistica. E i detrattori: bisogna prima modernizzare i trasporti di Sicilia e Calabria. Sopra le parti una nutrita schiera di ingegneri pone l’annosa questione legata alla sicurezza dell’infrastruttura.
La liquidazioneArriviamo al 2013, quando il premier Mario Monti (siamo in piena austerity e pulizia dei conti) chiude la partita e la società Stretto di Messina viene messa in liquidazione e affidata a Vincenzo Fortunato, già capo di gabinetto del ministro Giulio Tremonti, di Lunardi e Di Pietro. Lavora anche per lo stesso governo Monti e conosce molto bene la storia del Ponte, dunque sembra essere la persona giusta per chiudere la faccenda velocemente: per lui è previsto un compenso da 120 mila euro l’anno come parte fissa, più 40 mila di parte variabile. All’atto della messa in liquidazione la società ha terreni per 3.739 euro, 127 mila euro di macchinari e 312,3 milioni di valore della concessione Ponte sullo Stretto, 78 milioni di depositi bancari e postali e 6.241 euro in cassa. Il costo più alto è quello per il personale: 2 milioni tra salari, stipendi e oneri sociali. Nel bilancio 2013 SdM sottolinea che in caso di danni avrebbe chiamato in causa lo Stato. E infatti nello stesso anno promuove un’azione di risarcimento nei confronti del contraente generale a motivo dell’illegittimo recesso esercitato. Sono 325,7 milioni. Se aggiungiamo i 17 già versati, il costo effettivo del ponte al 2013 è di 342,7 milioni. Monti prevede di chiudere la partita con 300 milioni (presi un po’ dal Fondo per lo Sviluppo e la Coesione e un po’ da altre risorse) in dodici mesi. Sono passati 9 anni e la società in liquidazione è ancora in piedi.
I risarcimenti da pagareNel bilancio del 2013 emerge anche un contributo in conto impianti pari a 1,3 miliardi. In realtà di questa cifra lo Stato paga solo circa 20 milioni perché successivamente il Cipe li sopprime ma questa voce indica quanto possa costare sul serio il Ponte: 1,3 miliardi solo di impianti. La società dal 1 gennaio 2014 non ha più dipendenti (ma sono stati spostati in Anas quindi sempre a carico dello Stato). Quello che sappiamo dunque è che ai 342 milioni da dare alla società Stretto di Messina fra penali e indennizzi, occorre aggiungere gli oltre 130 milioni spesi fra studi e gestione degli anni Ottanta e Novanta. Sempre a carico dello Stato ci sono poi i risarcimenti di parti terze poiché non sono stati fatti accantonamenti a garanzia, ovvero le cause legali fatte alla Stretto di Messina. Infatti il consorzio che aveva vinto l’appalto Eurolink – capitanato da Salini Impregilo, oggi WeBuild, partecipata anche da Cdp (quindi dallo Stato) – ha in sospeso un appello con una richiesta di 657 milioni di euro per illegittimo recesso. Nella semestrale appena chiusa Webuild ha sollecitato il pagamento di altri 60 milioni per la copertura di costi già sostenuti. Un’altra causa da 90 milioni era stata intentata da Parsons, colosso dell’ingegneria civile Usa. Eurolink durante le fasi processuali ha ripetuto che rinuncerebbe alle pretese in caso di riapertura del progetto. Sarà problematico fare questo senza indire una nuova gara, peraltro con una società (WeBuild) che nel frattempo è diventata partecipata da Cdp, anche perché di mezzo ci sono finanziamenti europei.
La Stretto di Messina riesumataTirando le somme: se tutto andrà male (per i processi bisogna attendere il 2023) il conto del ponte che non si è fatto sarà di circa 1,2 miliardi. Il costo del ponte che oggi si vorrebbe fare, secondo il ministro Salvini, è di 6-7 miliardi. Non si capisce da dove arrivi questa stima poiché di concreto ancora non si è mosso nulla. C’è invece un rimpallo di 50 milioni. Sono i soldi messi a disposizione dalla ministra De Micheli nel 2020 al gruppo di lavoro per valutare soluzioni alternative al ponte a campata unica. Lo scorso giugno l’allora ministro Enrico Giovannini aveva mandato l’esito del gruppo di lavoro a Rfi, chiedendo di fare un nuovo studio di fattibilità e trasferendo a loro i 50 milioni. Ora nella nuova legge di legge di bilancio, all’art 82, si legge che «entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge la società Stretto di Messina rinuncia a tutte le pretese nei confronti della pubblica amministrazione, e viene revocato lo stato di liquidazione in deroga a quanto previsto dal codice civile, mentre Rfi e Anas (in quanto soci della Stretto di Messina) sono autorizzate a fare un aumento di capitale di 50 milioni per riorganizzare la società». In altre parole: si riparte da dove eravamo rimasti, resuscitando la Stretto di Messina che, ricordiamo, sta subendo le cause di Eurolink. Anche i problemi però sono rimasti ancora quelli di Musmeci: 3 km esposti a venti e correnti molto forti, fondale e V e su una faglia ad alto rischio sismico: fino a 7.2 gradi Richter, come nel terremoto del 1908, quello che ha distrutto Messina. La buona notizia è che con il Pnrr nel frattempo sono stati pianificati 500 milioni nella rete di treni e traghetti per collegare più velocemente Calabria e Sicilia.