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 2022  dicembre 04 Domenica calendario

Quando Kissinger fece scoprire il calcio agli americani

Henry Kissinger, ieri come oggi, fa discutere, divide, è silenzioso protagonista del mondo politico-diplomatico. L’ex consigliere alla Sicurezza nazionale e segretario di Stato delle amministrazioni Nixon e Ford fu anche protagonista, a fine Anni Ottanta, dell’assegnazione del primo Mondiale a stelle e strisce della storia.
C’è infatti la regia del “tedesco” Kissinger, innamorato di uno sport centrato nel Vecchio Continente, dietro l’assegnazione della rassegna iridata agli Stati Uniti. E all’inizio di una transizione che, per citare il ct iraniano Carlos Queiroz, ha portato gli yankee "dal soccer al calcio”. Non ancora da protagonisti, soprattutto per l’assenza di un background proprio, ma sicuramente apprezzati partecipi del meccanismo del calcio globale, come dimostrato dal raggiungimento degli ottavi di finale anche in questa rassegna iridata.
Kissinger capì l’importanza del protagonismo americano nel calcio perché lo sport più popolare al mondo poteva e doveva diventare diffuso anche sul suolo della superpotenza, che dagli Anni Settanta stava plasmando la globalizzazione. Kissinger era l’artefice della “diplomazia del ping pong" che aveva favorito la distensione tra Washington e la Cina comunista; era un diplomatico “imperiale” che capiva quanto le grandi potenze si nutrissero sia di potere materiale (influenza politica, forze armate, alleanze) che di immaginario, di “soft power”; era, anzi è (a maggio saranno cento anni per lui) essenzialmente un europeo trapiantato oltre Atlantico. Da europeo, come ultimo erede del cancelliere asburgico Metternich, pensa le relazioni internazionali. Da europeo, ed è questo che attiene l’analisi in corso, pensa lo sport.
Nel 1998 Vittorio Zucconi riportò su Repubblica una celebre frase di Kissinger sull’importanza del calcio come fattore collettivo: "Soltanto lo sbarco in diretta di un’astronave extraterrestre carica di omini verdi potrebbe convincere tanta gente a raccogliersi contemporaneamente davanti a un televisore per due ore”, come accade costantemente durante i Mondiali.
Kissinger intervenne con la sua popolarità a promuovere la scommessa “mondiale” degli Usa. Costruì grandi rapporti diplomatici con la Fifa, guidata dal brasiliano Joao Havalange che, da globalizzatore del calcio, capì che la vetrina americana era perfetta per trasmettere l’immagine di uno sport veramente mondiale. E con cui Kissinger condivideva lo scheletro nell’armadio del convinto sostegno ai Mondiali nell’Argentina dei dittatori militari del 1978, alla cui cerimonia inaugurale Kissinger, passato al ruolo di professore e conferenziere, intervenne dichiarando che il Paese aveva “un grande futuro”. Ma non finisce qui. Kissinger trasportò sul calcio i forti legami personali con dirigenti del calibro di Giovanni Agnelli, proprietario della Fiat e della Juventus, e Bernard Tapie dell’Olympique Marsiglia, campione d’Europa nel 1993. E puntò sul cavallo giusto in seno all’organizzazione-guida del calcio mondiale: Sepp Blatter, ai tempi un oscuro ex colonnello dell’esercito svizzero passato al ruolo di segretario di Havelange, noto soprattutto per le cinque lingue (tedesco, francese, inglese, spagnolo e italiano) parlate alla perfezione e per il ruolo di organizzatore meticoloso delle strategie di Havelange.
Nel 1988 Havelange fece sì che il nativo Brasile, “patria” per eccellenza del calcio, perdesse proprio con gli Usa la selezione del Mondiale. E Kissinger salì in cabina di regia come presidente onorario del comitato organizzatore. La scommessa, nata nell’alveo del potere profondo americano, fu vinta. La Coppa del Mondo Usa 1994 è stato l’evento di maggior successo nella storia della Fifa in termini di entrate e interesse suscitato nel pubblico. Ha dimostrato la capacità degli Stati Uniti di organizzare grandi eventi internazionali e quella degli americani di abbracciare lo sport più popolare del mondo. La presenza cumulativa di 3.587.538 spettatori ha battuto il precedente record di oltre un milione, e anche la presenza media per il torneo di 52 partite di 68.911 spettatori ha stabilito un nuovo record. Il 17 luglio 1994 Brasile e Italia si disputarono il titolo della Coppa del Mondo Fifa di fronte a 94.194 tifosi al Rose Bowl di Pasadena, in California. Nel complesso, gli stadi statunitensi sono stati riempiti al 96% della capacità durante la Coppa del Mondo.
Soprattutto, Kissinger fece conquistare l’America dall’Europa non solo metaforicamente: i Mondiali erano un evento americano in cui le partite venivano trasmesse per essere fruite dal grande pubblico europeo. Per il tedesco-americano tifoso del piccolo Greuther Furth, squadra della sua città natale, il risultato fu notevole. Per la Fifa la globalizzazione definitiva iniziò nel cuore dell’impero. Non casualmente, quello stesso 1994 fu anche l’anno in cui uscì Diplomacy, la grande opera storico-politica di Kissinger, che seppe con i Mondiali compiere il suo “colpo di coda”. E che portò la Fifa a cambiare definitivamente ruolo. Da organizzazione gudia del calcio globale, non priva di riferimenti politici, a organizzazione politico-istituzionale con competenze calcistiche.
Da allora in avanti, assegnati già i Mondiali del 1998 alla Francia, la partita della Coppa del Mondo sarebbe stata sempre più “politica”. Dopo il primo Mondiale d’Asia, Corea del Sud-Giappone 2002, sarebbe stata la volta dei Mondiali dei Paesi in via di sviluppo, Sudafrica (2010) e Brasile (2014). Dei casi Russia e Qatar (2018 e 2022) e dei conseguenti dividendi politici, oltre che delle connessioni profonde che le assegnazioni hanno svelato tra la Fifa e diversi governi, si è detto e scritto molto. E Kissinger ha fatto capolino anche nel comitato che ha portato gli Usa, assieme a Messico e Canada, a ottenere la candidatura congiunta per i Mondiali 2026. Primi a essere organizzati in tre Paesi contemporaneamente e a segnare la coesione di un blocco geopolitico, geoeconomico e, sportivamente, anche più culturale.
L’America è calcisticamente divisa tra il richiamo delle grandi nazionali del mondo latino, con cui ha anche più volte disputato la Copa America, e l’ancestrale sirena europea. Ma ha trovato una via propria capace di bilanciare entrambi i richiami, grazie anche alla mediazione di un diplomatico nativo della Baviera, vicino Norimberga, che da cittadino impossibilitato a vedere il suo Furth nella Germania nazista in quanto ebreo è divenuto deus ex machina di un Mondiale e promotore di un altro. Il Foglio ricorda che l’assonanza tra calcio e diplomazia non è casuale in Kissinger, conscio che "come nel calcio, le vittorie diplomatiche si costruiscono con una squadra di giocatori di esperienza e di talento, con una strategia a lungo termine fondata su una vera e propria riflessione, con un senso del gioco e della storia, e, punto più importante, con la voglia di vincere assieme, con il collettivo”. Dal soccer al football nel giro di un trentennio, anche l’America del pallone è cambiata sulla scia di questa logica. In larga parte grazie al suo più importante stratega dell’era della Guerra Fredda.