Il Messaggero, 4 dicembre 2022
Intervista a Ornella Vanoni
Senza fine non è solamente il titolo di una delle sue canzoni più celebri, uno dei tanti frutti del magico sodalizio con Gino Paoli, portato avanti negli anni e culminato tra l’’84 e l’’85 con un tour battezzato semplicemente Insieme che fece segnare una clamorosa serie di esauriti in tutti gli appuntamenti, ma anche la definizione della sua grandezza. E della sua incredibile forza d’animo: «Il femore? Fa un filino meno male», dice Ornella Vanoni, quasi come se la frattura che si è procurata a fine ottobre fuori casa sua a Milano, per la quale è stata costretta a 88 anni a sottoporsi a un delicato intervento chirurgico, fosse un graffietto come un altro. «Stavo rientrando a casa, era buio pesto. Pioveva. Sono inciampata in una buca», racconta a proposito della dinamica dell’incidente. Ieri sera a Padova, sul palco del Gran Teatro Geox, in occasione del debutto del tour teatrale Le donne e la musica (che farà tappa all’Auditorium Conciliazione di Roma martedì 6 e proseguirà poi il 10 al Gran Teatro Morato di Brescia e il 13 al Teatro Arcimboldi di Milano, prima di ripartire a gennaio), l’amatissima cantante milanese si è presentata senza stampelle. Da vera stoica. Spiazzando il pubblico con la sua travolgente vitalità.
Questo rigore lo deve proprio al teatro?
«Credo di sì. Quando arrivai a Milano, dopo aver studiato a Parigi e a Londra, ero timidissima. Non sapevo dove andare. Scelsi la scuola del Piccolo per superare il mio imbarazzo. Ero come un Pinocchio».
Che vuol dire?
«Ero una cosa da inventare. Strehler mi ha inventata come donna e come attrice».
Ha pubblicato 112 lavori, tra dischi, raccolte, album dal vivo, vendendo 55 milioni di copie: chi glielo fa fare di imbarcarsi ancora in lunghe e faticose tournée?
«È quello che mi disse una volta anche Pino Daniele: Che bbuo’ fa’ ancora?. Il fatto è che non si può stare a casa a marcire. Io, almeno, non ne sono capace».
Le cinque musiciste che l’accompagnano sul palco Sade Mangiaracina al piano, Eleonora Strino alla chitarra, Federica Michisanti al contrabbasso, Laura Klain alla batteria e Leila Shirvani al violoncello come le ha scovate?
«Mi ha aiutato Paolo Fresu, un uomo e un musicista fantastico del quale sono innamorata da sempre, che credo di aver scoperto prima ancora che il mondo della musica si accorgesse di lui. Mi ha parlato di loro come di musiciste straordinarie. Ho colto la palla al balzo e gli ho detto: Perché non mi metti in piedi un gruppo eccezionale di donne?. È la prima volta nella mia lunga carriera che mi esibisco con una formazione tutta al femminile».
L’allestimento come l’ha immaginato?
«Quale allestimento? C’è giusto qualche luce qui e là. Ci sono pochi soldi (ride)».
Ospiti ce ne saranno?
«Basto io».
A Roma non verrà a trovarla nemmeno la sua amica Virginia Raffaele, con la quale per il suo ultimo album Unica ha inciso il duetto Tu/Me, ironizzando sulla sua imitazione?
«Credo sia in tour anche lei».
Del disco quanti pezzi canta, oltre alle hit di una vita?
«Solamente due. Il singolo Un sorriso dentro al pianto e Ornella si nasce, questo bel gioiellino che Renato Zero ha scritto pensando proprio a me. Mi ha detto che non fa duetti. Però ha voluto interpretare lui i versi conclusivi della canzone: Che non le manchi mai spazio ed autonomia / Ornella a tutti i costi e così sia’».
Tra i grandi che hanno scritto per lei, chi manca all’appello?
Mina ha detto che sogna di incidere un inedito di Vasco.
«Tutti sognano una canzone di Vasco. Piacerebbe tanto anche a me. Peccato che Vasco non si conceda spesso, però».
Delle nuove leve chi le piace?
«Madame. E Marracash, al quale ho chiesto di scrivere un pezzo per me».
Degli amici persi lungo la strada chi è quello che le manca di più?
«Lucio Dalla. Diceva che ero l’unica donna che lo aveva capito».
In che senso?
«L’ho sempre amato. Non lo voleva nessuno perché era brutto. Io lo volevo perché era un genio».
È riuscita a convincere Gino Paoli ad alzarsi dal divano per assecondare la sua pazza idea di fare altri due concerti insieme?
«Macché. Non mi pare che si alzi. Si alzicchia giusto un pochino».