Il Messaggero, 4 dicembre 2022
Intervista a Lillo
Il 27 agosto Pasquale Petrolo, in arte Lillo, comico, ha compiuto 60 anni.
Una botta?
«E che botta. Ancora non ci credo. Non riesco a dirlo questo numero: sono un immaturo cronico».
E poi, cos’altro? Irresponsabile? Incosciente? O anche coraggioso?
«Coerente, più che altro. Da ragazzo mi sono sempre prefissato di fare solo cose che mi piacevano al di là di quello che mi avrebbero portato concretamente. Non ho mai pensato a una meta. Così oggi fare quello che amo per me è un grandissimo risultato».
A 60 anni cos’è cambiato?
«Niente. Le passioni le vivo come sempre, di nuovo c’è che penso al tempo: quanto ci vuole per fare sta cosa? Non voglio sprecare neanche un minuto».
A casa quando disse che voleva fare questa vita come la presero?
«Malissimo. La mia non era una famiglia povera ma di sicuro non sguazzavamo nell’oro: l’unico stipendio era quello di papà, che faceva il poliziotto. Mamma era casalinga e stava dietro a noi tre figli. Per loro, quindi, un lavoro sicuro era molto importante e quando dissi a mio padre che volevo fare l’artista iniziammo ad avere grandi scontri e discussioni. Lui purtroppo adesso non c’è più».
È riuscito a vedere qualcosa del suo percorso?
«Niente. È morto 25 anni fa. Il bello è che adesso gli direi che aveva ragione a non incoraggiarmi. Non è un lavoro facile, il mio. Troppo precario».
Nella sua cameretta da piccolo chi sognava di diventare?
«Un fumettista di supereroi o un autore di strisce umoristiche tipo Linus di Schulz o Lupo Alberto di Silver. Mai pensato di fare il comico o l’attore. È stato Greg a spingermi a esibirmi in pubblico».
Altri riferimenti?
«Tutti i film della commedia italiana degli Anni Sessanta, fino a quelli demenziali dei Monty Python e Mel Brooks».
Ha appena pubblicato un libro a fumetti, La banda delle mezze calzette, in cui affronta il tema del bullismo: è stato anche un suo problema?
«Sì. Da piccolo ero obeso e mi prendevano in giro pesantemente. Quel tipo di offese uno se le porta dietro a lungo».
È vero che ha vissuto più volte fasi di depressione?
«Sì. Per questioni personali o familiari mi è successo. Mi hanno salvato l’ironia e l’autoironia. E il non piangersi addosso».
Visto il lavoro e la vita che fa l’equivoco più frequente sul suo conto qual è o qual è stato?
«Quando io e Greg facevamo i concerti con i Latte e i suoi derivati, sul palco ero agitatissimo, una mina impazzita che si muoveva sempre e comunque, e faceva qualsiasi cosa. Così tutti si convinsero che io pippassi cocaina come un matto».
E invece?
«Niente. Quelle poche volte che ho provato al massimo uno spinello sono stato dieci volte peggio di tutti. Su mio fisico le sostanze fanno questo effetto. Per me la droga migliore è la passione».
E fra le tantissime cose che ha fatto quella che le è venuta meglio qual è?
«Tutto il lavoro in teatro con Greg mi rende molto fiero: facciamo tutto noi e funziona. Sento che le persone sono contente di aver pagato il biglietto. Divertire la gente mi fa sentire socialmente utile».
È vero che ha in mente di fare un film horror?
«Sì. Mi piacerebbe scriverne uno e dirigerlo. Questo genere mi piace tantissimo. Chissà se ce la farò mai».
Un ruolo drammatico, come in passato hanno fatto tanti comici, da Totò a Diego Abatantuono, lo interpreterebbe?
«Molto volentieri. Per ora nessuno me lo ha offerto».
Associare il futuro del cinema a quello delle sale secondo lei è un errore?
«Sì. La voglia di vedere e ascoltare storie non morirà mai. Le sale, invece, rischiano di farlo davvero se non si trasformano in luoghi dove è possibile fare esperienze particolari. Bisogna trovare soluzioni in fretta: al cinema non ci va più nessuno».
Con il successo di questi anni le sono capitati episodi particolarmente imbarazzanti?
«Certo. A ottobre 2020 ho avuto il Covid-19 che per tre giorni mi ha fatto finire in terapia intensiva. Appena arrivato, e prima della visita del primario, un infermiere si avvicina: Ti seguo sempre, mi fai ridere un sacco. Non dico una foto, che adesso stiamo tutti con le mascherine, ma un disegno me lo fai? Certo, gli dico. Poi il primario mi visita e mi dice che stavo peggiorando. A me viene un colpo, ma subito dopo viene l’infermiere: Lillo, senti siccome ho saputo che vai in terapia intensiva, e non si sa se torni, il disegno me lo faresti subito?».
Gliel’ha fatto?
«Sì. Che dovevo fare?».
In radio lei e Greg da anni date il titolo di A cazzaro ai personaggi più diversi. Oggi, si fa per dire, chi se lo merita di più: chi dice che Achille Lauro sia un grande cantante? O il sindacato dei giornalisti del Tg1 che ha parlato di Fiorello su Rai1 come di uno sfregio?
«Ahahahaha... Ma nooo... La verità e che anch’io a volte dico cose che il giorno dopo mi sembrano cazzate, quindi quel marchio vale un po’ per tutti».
Che risposta da democristiano doroteo.
«Giuro, lo penso davvero. A me capita spesso».
Seriamente: qual è la cazzata più grande che ha fatto?
«Buttare quattro anni della mia vita dentro una sala da biliardo. Dai 16 ai 20 ho fatto solo quello. Studiavo pochissimo e giocavo ore e ore sul panno verde».
Ne ha mai strappato uno?
«Mai. Però una volta, cercando di fare il colpo della vita, tirai una palla in fronte a un tipo che per miracolo non mi mandò all’ospedale. Giocavamo nel mio quartiere, Torpignattara, e lui non era proprio un gentleman».
Giocava a soldi?
«No, ma solo perché non li avevo».
E adesso ne ha tanti?
«Non sono ricco, ma non ho più problemi economici».
Mette tutto da parte o spende e spande?
«Ho un hobby poco costoso: coloro miniature che al massimo costano trenta euro. Adesso sto spennellando una statuetta di Thor. Mi diverte e mi ricarica».
Un lusso che si è concesso?
«Una bella casa in Maremma e quella dove vivo a Roma, alla Balduina. Nient’altro».
Uno simpatico come lei quand’è che diventa un po’ stronzo?
«Spesso. Pur di dire una battuta rischio quasi sempre di far arrabbiare qualcuno».
L’ultimo volta che l’hanno mandata a quel paese?
«Tre minuti fa, mia moglie. Diciamo per questioni di gestione degli spazi in casa».
Perché non avete figli?
«Non sono venuti naturalmente e non abbiamo insistito. Va bene così».
A 610 su Rai Radio2 non fate più la gag con il personaggio di Superpazza, il supereroe gay: colpa del politically correct?
«Esatto. L’aria che tira condiziona moltissimo. A Rai2 ci stanno molto attenti, certi sketch ci chiedono di non farli. Solo che a me sembra una forma di razzismo questa super tutela: se uno vuole ridere di un etero deve poter fare altrettanto con un gay».
L’ultima volta che ha pensato Chi me l’ha fatto fare? quando è stato?
«Nel 2013, quando io e Greg abbiamo presentato la 58esima cerimonia finale dei David di Donatello. Una vera conduzione, di quelle classiche, nun so bbbono a farla. Sono una pippa».