La Stampa, 4 dicembre 2022
Sarà Renzi a vincere il congresso del Pd
Chi vincerà il Congresso Pd? Elementare, Watson: Matteo Renzi. Renziani sono infatti, con diversi gradi di lontananza e riavvicinamento, di accordo e disaccordo, di storie private e pubbliche, ben tre nomi in corsa – due già ufficializzati, e già organizzati in un accordo formale, Bonaccini e Nardella, il terzo ancora in attesa di decidere ma già al centro dei calcoli di probabilità, Matteo Ricci. Forse potremmo considerare non lontana da Renzi, a un certo punto o un altro, anche Paola De Micheli, unica donna in corsa per ora, in attesa di Elly Schlein, che proprio oggi, domenica, dovrebbe ufficializzare la sua candidatura. Schlein è l’unica a fare caso a parte rispetto al discorso che stiamo facendo, dal momento che non ha nessun legame con il renzismo, ma in verità nemmeno con il Pd. Il che le dà un ruolo di discontinuità che potrebbe, per una sorta di eterogenesi dei fini, consegnare a Renzi un altro tipo di soddisfazione, come vedremo più avanti.
Il filo renziano, sia chiaro, non è una colpa, e nemmeno un complotto. Ma è certo per tre di questi candidati un pezzo rilevante del loro percorso politico. È dunque curioso e indicativo che questa forte caratura renziana nella corsa alla segreteria sia notata ma lasciata come sommersa. Eppure, Watson, gli indizi sono tutti qui, davanti ai nostri occhi e basta vederli. E certamente, Watson, ci dicono qualcosa. La prima è che la identità, quel valore immateriale intorno alla cui ricerca ruota questa vigilia di Congresso, risulta dopo anni più resistente nelle fila renziane che in quelle del Pd. Chiedersi perché sia successo, non è un’utile discussione? Avanziamo alcune ipotesi.
1) Forse perché il renzismo è nato da quella grande incubatrice politica che è la associazione dei sindaci? Possibile: i sindaci e i governatori italiani sono oggi, a guardar bene, le uniche figure politiche che negli ultimi anni si sono rafforzate, per quella sorta di devoluzione forzata dovuta prima alla crisi pandemica e poi alla guerra con seguente crisi economica. Quelle stesse crisi hanno invece schiacciato i dirigenti nazionali dei partiti, sotto le gravose scelte con conseguente oscillazione del voto popolare. Si parla infatti qui non solo del Pd, ma anche dei tanti satelliti a sinistra, e poi dei 5 stelle, della Lega, di Forza Italia. Tutte organizzazioni che oggi sfoggiano dimensioni molto ridotte rispetto al passato. Unica eccezione Fratelli d’Italia, rimasto nel cantuccio (abbastanza comodo, diciamola tutta) di una opposizione a costo zero, vista la loro lunga marginalità nel sistema.
2) È possibile che il filo del renzismo continui perché più che una ideologia è stato un metodo? Possibile. Il renzismo, ricordiamolo, è stato il più inventivo ed efficace sistema di scalata al potere manifestatosi dentro la sinistra. L’arrivo al Governo di MR, maturato e cresciuto nell’alveare dei poteri locali, come abbiamo detto, si è compiuto attraverso un forte antagonismo con le forme e le formule del partito di cui era parte, il Pd. Attraverso una lotta interna spregiudicata, consolidata da una identità “speciale” di gruppo. In altre parole: il metodo renziano è una scatola cinese, che continua a produrre livelli di conflitto, alimentato da solidarietà e alterità di un gruppo. È un po’ come aver fatto il militare insieme, o aver frequentato la stessa prestigiosa Università, o aver fatto insieme il ’68: c’è lì un legame che non si perde. Le Leopolde, anno dopo anno, registrano la stessa passione del ritrovarsi, cieca a ogni rovescio o errore. Non a caso, il nocciolo duro del vertice renziano non è mai cambiato, e il leader ancora mantiene, anche in una fase di totale collasso del consenso del voto, la continua capacità di bombardare ogni quartier generale. Per fare certe cose audaci come lo slalom fra linee e organizzazioni politiche, fra destra e sinistra, ci vuole molta abilità. E molto aiuto della propria squadra – non importa dove si sia ricollocata negli anni.
Parole serie, Watson, e proprio per questo dovremmo comprenderle subito. Dopotutto sono state ben esposte dalle vicende della storia del decennio. Diciamolo: il renzismo ha messo più radici di quanto si voglia ammettere nel Pd. E nonostante i tre candidati citati siano stimabili e capaci, e nonostante essere stati o essere renziani non sia una colpa, dobbiamo dirlo: Matteo Renzi è stata una presenza mai “esorcizzata” dalla dirigenza Pd, e rimane parte del gioco del Congresso. Il che è più di quanto possano dire in questo momento altre componenti del Pd – cattolici di rito Franceschiniano, ex Ds di rito di sinistra, o di rito riformista. Non a caso nessuna di queste componenti è riuscita a schierare un proprio nome, nonostante negli ultimi dieci anni abbiano avuto nelle loro mani il Pd, e spesso il governo.
Lo sanno bene anche loro. Il tema del Congresso è infatti il più grande di tutti, per un partito: la propria rifondazione politica.Tuttavia, e nemmeno questo è casuale, l’unico nome che pare possa funzionare come potenziale punto di accordo di questi leader, è quello di una donna (grazie, signori), Elly Schlein, che del vecchio gruppo dirigente non è mai stata parte, anche perché non è mai stata parte dello stesso partito. Dunque, se, come si immagina, la Schlein per questa sua alterità alla storia del Pd vincesse, la sua vittoria sancirebbe definitivamente, per la legge dell’alterità appunto, la messa in cantina proprio del gruppo che la sostiene. Si, sappiamo che chi la sostiene pensa che questa donna sarà integrata (da loro) nella storia del Pd. Ma nei fatti la Schlein rischia di essere la loro gloriosa, sia pur elegante, rottamazione. Rottamazione. Quanta eco in questa parola: che grande soddisfazione per Renzi. Sopravvivere alla rottamazione, unico rimasto di una vecchia guardia che scompare.
Insomma, da qualunque punto lo si guardi, il Congresso Pd è attraversato dall’ombra di Matteo Renzi. I timori di scissione che cominciano a circolare in queste ore ne sono la proiezione più chiara. Giusto, sbagliato? Non sappiamo, Watson. Noi non facciamo politica, ma raccogliamo solo le parole che altri lasciano per strada.