Corriere della Sera, 4 dicembre 2022
Pelè sta male
Fate in fretta, l’alchimista sta esaurendo le magie. O Rei aggrappato alla vita («Sono forte, ho fede in Dio, i messaggi mi danno energia») è il viatico della Seleçao che domani affronta la Corea del Sud negli ottavi del Mondiale. Il totem resiste, verrà il tempo della saudade ma adesso l’impresa.
«Una partita da fermare il battito del cuore» scriveva su Twitter il 28 novembre Edson Arantes do Nascimiento detto Pelé (lo pseudonimo non gli è mai piaciuto, preferiva Dico, il soprannome inventato dallo zio Jorge con cui la madre Celeste l’ha sempre chiamato), giorno di Brasile-Svizzera 1-0. Ventiquattrore dopo è stato ricoverato all’ospedale Albert Einstein di San Paolo: sembravano gli esami periodici con cui da un anno e mezzo il calciatore più famoso del mondo tiene sotto controllo un tumore al colon («Calma amici, papà sta mettendo a punto con i medici i farmaci da prendere. Nessuna sorpresa né emergenza: si tratta dei soliti test» ha postato sui social la figlia Kely Nascimento), invece la situazione sarebbe rapidamente precipitata. «Pelé non risponde alle cure chemioterapiche, è stato spostato nel reparto di quelle palliative» titola la Folha de Sao Paulo, quotidiano paulista, aggiungendo a un quadro sanitario già allarmante l’insorgere di un’infezione respiratoria oltre alle metastasi al fegato e ai polmoni, l’ennesimo spettro per la salute già minata dell’82enne leggenda brasiliana. Dal Qatar, dove è al seguito della Nazionale di Tite, Kely si sforza di essere ottimista («Non salterò su un volo per correre lì: i miei fratelli sono in Brasile, io li raggiungerò a Capodanno») però il Paese tiene il fiato sospeso. A 12 mila chilometri di distanza la Seleçao di O Ney (Neymar stella infortunata, ieri ha ricominciato ad allenarsi: compagni e tifosi lo aspettano in campo per la finale) prova a conquistare il sesto Mondiale, a casa O Rei (che di Mondiali ne ha vinti tre – ’58, ’62, ’70 —, record) tenta l’ultima fuga per la vittoria.
Non c’è bossa nova di Jobim che possa lenire il dolore per il lungo addio di Pelé, davanti all’ospedale cominciano a formarsi capannelli e cori, la Fifa lo omaggia facendo alzare nel cielo di Doha cento droni che disegnano la maglia verdeoro numero 10, «guarisci presto campione» è il messaggio. Non c’è ex calciatore, erede, amico che in queste ore non ricordi il migliore, sono passati solo 373 giorni dalla scomparsa dell’altro grandissimo, Maradona, il pianeta calcio non è pronto per un secondo profondissimo lutto. Presente e passato si fondono in un’unica spoon river. Harry Kane, capitano dell’Inghilterra: «La Nazionale dei Tre Leoni ti augura il meglio». Jurgen Klinsmann, ex bomber e c.t. della Germania: «Sei una persona meravigliosa, prego per te». Tite, c.t. del Brasile: «Lui è il nostro maggior rappresentante, un extraterrestre diventato terrestre. Tutti i nostri pensieri sono per lui». Mbappé, il centravanti della Francia che Pelé volle conoscere dopo il trionfo al Mondiale 2018, quando a 19 anni e 207 giorni divenne il più giovane bomber in una finale, secondo solo al brasiliano (17 anni e 249 giorni nel ’58 in Svezia, doppietta): «Pray for the King».
In Qatar l’anziano campione che si rifiuta di arrendersi è sugli striscioni, sui grattacieli, nei laser che illuminano lo stadio di Lusail, dove il 18 dicembre si assegnerà la coppa, sopra le maglie celebrative di una generazione che ha imparato a conoscerlo per sentito dire, nei filmati su YouTube, grazie ai racconti dei nonni. Ragazzi che, pur non avendolo mai visto in azione, non hanno potuto fare altro che amarlo. Il mondo tifa per l’icona che puliva scarpe per guadagnare qualche real: il bambino che inventò il calcio prendendo a pedate un mango (e poi una palla di stracci) non può essere mortale.