La Lettura, 4 dicembre 2022
Un romanzo i cui protagnisti sono gli alberi
C’è molto movimento in questo esordio narrativo del botanico Stefano Mancuso, La tribù degli alberi. Ed è aspetto quanto mai sorprendente se si considera che i personaggi del romanzo sono esseri quanto mai radicati nel terreno, che «cercano sottoterra ma per guardare il cielo». È il mondo di Edrevia, quello che Mancuso crea dal nulla. Un mondo naturalmente ideale, perché «Edrevia non ha confini. Ogni essere vivente è libero di transitarvi, trasferirsi e vivervi senza alcuna limitazione», che però, a un certo momento, si rende conto d’aver disatteso quel fondamentale «Articolo 4: Edrevia rispetta universalmente i diritti dei viventi attuali e di quelli delle prossime generazioni», non avendo vegliato negli ultimi duecento anni per impedire di trovarsi nel mezzo di quei problemi che, nella realtà, noi stiamo attualmente vivendo.
Gli abitanti sono una tribù di alberi che Mancuso suddivide in cinque clan, ciascuno con una propria identità e mansione: i Cronaca, «i cui membri erano noti per l’abilità con la quale raccoglievano e comunicavano informazioni» e rappresentavano la memoria di Edrevia, ma da molti anni senza nuovi membri; i Guizza, abili nel produrre ciò che serve e nell’aiutare a prendere decisioni; i Dorsoduro, «abituati a passare lunghi periodi immersi nello studio delle più astruse congetture scientifiche»; i Terranegra, il clan più numeroso, composto in maggior parte da artisti, studenti e artigiani, provenienti «da Paesi lontani»; e i Gurra, dalla «storia molto più antica di quella di ogni altro clan».
Un universo rigorosamente vegetale, nel quale giunge infine Laurin, l’ultimo nato accolto nel clan dei Cronaca, nel quale entra col «sogno di prendermi cura degli archivi. Potermi dedicare alla magnifica biblioteca-labirinto» che, «è bene ricordarlo, non è una semplice biblioteca», essendo costituita dai «corpi dei nostri antenati», alla cui morte «una piccola sezione del suo tronco viene da sempre conservata», sì da fin di occupare «centinaia, forse migliaia di chilometri centinaia di milioni di rondelle di legno», che custodivano ogni aspetto della nostra storia fin dall’inizio dei tempi». Una biblioteca dove Laurin entrerà, insieme alla Terranegra Lisetta, fisicamente molto più piccola di Laurin, ma dal cui «corpo esile emanava una tale quantità di energia che era impossibile resisterle»; e il Guizza Pino, «un pesavantaggi, del gruppo degli scioglinodi, specializzati nell’aiutare i compagni a identificare quali sono i punti fondamentali di una qualunque decisione».
È loro sufficiente sfogliare alcuni volumi per ricostruire quanto stava cambiando per sempre la vita di Edrevia, la cui temperatura media nei due secoli precedenti è aumentata di circa 2°C, con un clima fattosi di siccità, inondazioni, frequenza degli incendi, una tale intensità dei venti da portare a una distruzione che Mancuso sembra riprendere dalla tempesta Vaia del Trentino: per di più con l’invasione di moltissime nuove specie di «insetti, rettili, uccelli, pesci, funghi e miriadi di microrganismi, originari di luoghi lontani, che stanno ambientandosi meravigliosamente». E con una immediata coscienza quanto a chi e a cosa attribuire tutto questo da parte di Laurin, Lisetta e Pino: alle emissioni di gas prodotte dalle attività di altri «fantomatici esseri privi di dubbi» e irrispettosi nei confronti della natura. E una accorata sensazione: la difficoltà di poter far capire a quegli «esseri dannosi che sbagliano», e che «fin quando non la smetteranno di produrre CO2 non cambierà nulla». Di qui una possibile immediata soluzione del «problema fondamentale, l’aumento della temperatura media», cercata all’interno della tribù stessa degli alberi: «influire sulla emissione di CO2», concentrandosi «sulla sua rimozione», potenziando «in efficienza e in quantità» quella «attività che noi eseguiamo naturalmente attraverso la fotosintesi», e soprattutto aumentando il numero di compagni attraverso la semina.
Ne viene un romanzo che invita con grazia a guardarci intorno in una prospettiva altra, ossia dal punto di vista degli alberi, attraverso la forma insieme della favola e della parabola, affidata all’ormai pluricentenario Laurin, di statura enorme rispetto ai Cronaca, e giocosamente soprannominato Piccolo, il quale rivive gli avventurosi anni della sua gioventù nei quali, con Lisetta e Pino, è riuscito a «riequilibrare Edrevia». Piante che pensano, parlano, si muovono, discutono, scherzano, raccolgono informazioni da ogni angolo della loro vasta comunità «per smistarle ai singoli compagni interessati» attraverso la «rete» naturale delle «radici» tra loro connesse.
Ma, soprattutto, agiscono. Alberi qui dotati di tutte le caratteristiche proprie d’un essere vivente, dalla razionalità all’emotività, che affrontano anche problemi umani, quali il rapporto «con l’altro»: un’apertura mentale già attiva sin dall’inizio nella figura proprio di Laurin, un «senza patria», un «diverso» non solo ben accolto, ma anche stimato e persino scelto per l’indagine conoscitiva sulla «cosa ci sta accadendo». E dove la violenza che vedono in «quei poveri animali che brucano l’erba della radura» che «sono costretti a uccidere per poter vivere», «per noi che, al contrario, per vivere donavamo la vita, era qualcosa di inconcepibile».
Vi è una leggerezza narrativa tanto più encomiabile se si pensa che – oltre agli evidenti richiami al presente – si dà qui forma narrativa a quanto Mancuso, direttore del Laboratorio internazionale di Neurobiologia vegetale, con rigore scientifico viene elaborando nei suoi studi. Leggerezza che s’arricchisce anche di gradevoli digressioni (dall’alois, «una bevanda fortemente inebriante, ottenuta dalla distillazione del succo della viola del pensiero», alla biblioteca-labirinto; alla festa con quel sole che nel cielo sembra ripetere quanto visto dai pastorelli di Fatima; ai risvolti comico-poetici della fioritura primaverile tra terzine e quartine). E, poi, i personaggi: dai protagonisti a quelle figure che, pur di passaggio – dal Dendron decano dei Gurra che ha da poco compiuto 2.423 anni, al capo bibliotecario Asfodelo, alla scienziata Abelia – davvero indimenticabili.
Stefano Mancuso La tribù delle piante Einaudi