la Repubblica, 3 dicembre 2022
De Agostini esce dalla Borsa
MILANO – Le famiglie Boroli Drago investono 128 milioni per ricomprare le quote di minoranza della controllata Dea Capital e ritirarla dal mercato. Si tratta di un’altra dinasty del capitalismo nostrano che saluta Piazza Affari, scegliendo la strada di tornare ad avere società “private”, cioè non quotate. Dopo i Benetton, che quest’anno hanno ritirato dalla Borsa Atlantia e aspettano di fare lo stesso con Autogrill (che però migrerà dentro Dufry sulla Borsa di Zurigo); dopo i Gavio che hanno ritirato la loro Astm; dopo i Vacchi che si sono ricomprati la Ima insieme ai private equity. E l’elenco è parziale. La migrazione della dinasty di Novara era iniziata anni fa, con la diversificazione del gruppo voluta dal presidente Lorenzo Pellicioli. La prima a traslocare era stata l’ex Lottomatica, diventata Gtech e volata prima a Londra e poi a Wall Street dopo l’acquisizione del gruppo Usa dei casinò e slot machine Igt. Poi quest’anno il gruppo editoriale è passato all’incasso su alcune partecipazioni storiche e ha ceduto le attività di DeA Scuola alla Mondadori dei Berlusconi (per 157 milioni), e dopo la battaglia per il rinnovo dei vertici di Generali, ha liquidato il suo 1,5% del Leone di Trieste (per circa 430 milioni). La quota in Generali era entrata a far parte del portafoglio dei Boroli Drago nel 2006, in seguito alla vendita della Toro a Generali, ricevendo in contanti e azioni del Leone di Trieste. Ora un quinto delle risorse incassate dalle attività tricolori quest’anno verrà reinvestito sul gruppo, che gestisce fondi di private equity, fondi di crediti di cattiva qualità e fondi immobiliari. Dea Capital era nata 15 anni fa con un’altra ambizione, dalle ceneri dell’ex Cdb Web Tech. I Boroli Drago avevano rilevato il controllo di una scatola quotata con alcune partecipazioni in aziende e fondi, liquidando il vecchio portafoglio e lanciando nuove iniziative, tra cui alcune di successo come il fondo dedicato all’alimentare, Idea Taste of Italy. Fatto sta che a prescindere dai risultati e dai dividendi pagati (290 milioni dal 2015 ad oggi) il titolo da mesi languiva, con un flottante del 32% e una capitalizzazione di 300-350 milioni, troppo poco per avere una liquidità adeguata ad attrarre i grandi investitori e avere quindi una qualche rilevanza sul mercato. E così dato che i Boroli Drago – che hanno già due terzi delle azioni, quota che serve per votare una fusione con una non quotata – hanno decisodi investire su loro stessi: ovvero sulla Dea Capital che hanno fondato nel 2007. Agli investitori saranno offerti 1,5 euro (cedola compresa) e un premio del 29%; un prezzo giudicato congruo dagli analisti di Intermonte e di Banca Akros (ieri il titolo si è infatti fermato a 1,48 euro, un filo sotto l’Opa). L’obiettivo dell’Offerta dei Boroli Drago è salire dal 67% al 90% e puntare al delisting, un target che lo scorso ottobre i Della Valle hanno mancato con l’Opa a 40 euro per azione ( o 1,2 miliardi), decidendo così di lasciare quotata la loro Tod’s.