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 2022  dicembre 03 Sabato calendario

Su Alice Ceresa

Scrive Alessandra Pigliaru che l’originalità dell’opera di Alice Ceresa sta «nel giocare di paradosso, di lingua esatta e acchittata di vari incanti, di severe congiunzioni prescrittive, per mostrare una potente e inaddomesticata realtà dei corpi». E di questa mancanza di docilità dice anche Laura Fortini, quando sottolinea che a caratterizzare Ceresa come personaggio, come donna, come scrittrice, è soprattutto la disobbedienza. Le due studiose hanno curato un volume che di Alice Ceresa omaggia e prosegue l’opera e gli intenti, si intitola Abbecedario della differenza ed è stato pubblicato da Nottetempo qualche anno fa, mentre le stesse edizioni riproponevano un testo capitale come il Piccolo dizionario dell’ineguaglianza femminile, a cura di Tatiana Crivelli. Chi è stata dunque questa scrittrice così poco conosciuta – soprattutto rispetto al suo valore e alla sua importanza – eppure tanto amata da concentrare lo sguardo e l’attenzione di donne che oggi di mestiere non solo scrivono, ma studiano, approfondiscono, recuperano e tengono in vita la storia della letteratura scritta dalle donne? Morta a Roma nel 2001, Alice Ceresa era nata nel 1923, era ticinese pur se nata a Basilea (per colpa della «mania svizzera italiana della migrazione familiare» disse in un’intervista riportata da Patrizia Zappa Mulas nella voce a lei dedicata nell’Enciclopedia delle donne). Frequentò le scuole elementari in tedesco e le superiori in italiano, per poi cominciare gli studi universitari in francese, a Losanna, interromperli e cominciare presto a lavorare a Zurigo per un giornale tedesco, «tanto per completare il pasticcio linguistico», chiosa lei stessa, ma in realtà in questa moltiplicazione biografica di traiettorie lessicali oggi vediamo il seme di un’attenzione ipersorvegliata verso il linguaggio e le sue trappole, prima ancora che possibilità. Il Piccolo dizionario dell’inuguaglianza femminile nasce dalle insidie, dalla necessità di mostrare l’innaturalezza deviata delle incarnazioni del femminile nel lessico contemporaneo, in un lavoro incessante di limatura e apertura all’universalità che lasciò l’autrice insoddisfatta per via degli ostacoli che sorgevano e si susseguivano via via che i vocaboli attraversavano i diversi campi semantici della biografia, della religione, della moda. Per questa ragione, il testo è uscito postumo, mentre in vita Ceresa pubblicò tre romanzi di radicale originalità, La figlia prodiga(1967),La morte del padre (1978) eBambine ( 1990). L’intera trilogia, pubblicata in passato in un unicovolume dalla casa editrice la Tartaruga, che oggi ripropone il secondo di questi testi, va letta come tre voci, che sono però una sola, che più che affrescare esorcizzano il rapporto tra padri e figlie nella famiglia patriarcale. Al nascere della sua prima opera, ispirata alla parabola del vangelo e alla vita di Annemarie Schwarzenbach, Ceresa mostrava tutta la differenza di trattamento tra una dilapidatrice e un dilapidatore: a parità di ritorno, non c’è clemenza e non c’è riparazione per una donna. Questo esordio fu accolto molto bene, Maria Corti e Giorgio Manganelli spesero parole importanti e Goffredo Parise lo candidò al premio Viareggio, che vinse come opera prima. A colpire anche critici severi furono il rigore originale e autentico di una prosa che non aveva bisogno di agganciarsi a eventi per mostrare la complessità di relazioni che negli eventi si incarnavano ma non si esaurivano: le parole erano scelte in modo così accurato da essere esse stesse simili a episodi. Di quelle relazioni si celebra sepoltura nel romanzo La morte del padre, salvo poi essere rievocate con una scrittura medianica, diversamente evocativa, tra le immaginifiche pagine di Bambine, in cui l’intera famiglia rivive una cristallizzata, lacustre e mostruosa quotidianità. Si tratta di tre testi autonomi, ma la loro lettura non disgiunta, oltre a formare uno sguardo unitario per la conoscenza di Alice Ceresa, costituisce una sorta di varco necessario per tutte le donne che scrivono di padri. Con una scrittura ipnotica nella sua asciuttezza, Ceresa impone alla società di guardare dritto dentro le famiglie e le loro leggi. E se queste siano naturali o artificiali, lo dice il lemma corrispondente nel Piccolo dizionario: «l’esercizio della legiferazione artificiale è stato nella nostra società detenuto ormai da millenni dal patriarcato (…) l’essere umano è pertanto al giorno d’oggi l’unico essere vivente cui è possibile soltanto il comportamento artificiale, come che sia e che cosa faccia. Risulta pertanto l’unico a non sapere nemmeno chi sia e come sia in natura». Oltre a questi testi Alice Ceresa scrisse anche altro, soprattutto racconti (importante fu la pubblicazione nel 1943 del racconto Gli altri,vincitore del premio Schiller). Tuttavia di sé disse «ho scritto sempre, e come noto pubblicato poco», giustificandosi con l’aver dovuto sempre pensare a come guadagnarsi da vivere. «Ha scritto poco e le piacerebbe aver scritto ancora meno», si descriveva Cristina Campo, un’autrice molto diversa, ma unita ad Alice Ceresa dalla necessità che abbiamo noi, oggi, di guardare a fondo dentro produzioni non sterminate ma di sterminato valore.