Robinson, 3 dicembre 2022
Il baro che diventa onesto
La partenza è bruciante. Il protagonista, un ragazzino dodicenne, viene messo in punizione dal padre per aver rubato pochi spicci dalla cassa della drogheria di famiglia. «Hai rubato e quindi niente funghi!», strilla al figlio. Buon per lui, viene da dire, visto che tutti gli altri membri dell’assortito nucleo familiare, ben undici persone, stramazzeranno al suolo stecchiti. Subito dopo pranzo. Cominciano così leMemorie di un baro (Adelphi), l’unico romanzo scritto da uno degli artisti più prolifici e poliedrici e popolari nella Francia della prima metà del Novecento: il commediografo, attore, disegnatore e cineasta Sacha Guitry, che qui mette in scena una vita picaresca dal ritmo indiavolato (restituito perfettamente dal traduttore, Davide Tortorella), vita improntata a una energia, un cinismo, una spregiudicatezza che troveranno il lettore sempre al fianco del protagonista. Tale e tanta è la simpatia che emana. In qualunque situazione, qualunque cosa faccia: il lavapiatti, il groom di grandi alberghi e infine il croupier: dunque, finalmente, il baro. Con annessa e lucidissima esegesi filosofica: «Ci saranno mestieri più belli, ce ne saranno anche di più lucrosi, chi lo nega? Ma di più divertenti no, non ne conosco. Si è nello stesso tempo il cacciatore e la selvaggina. Mi spiego meglio. I bari sono spesso equiparati ai ladri. Niente di più sbagliato, secondo me. Rubare significa prendere a persone oneste dei soldi che non avevano arrischiato – e questo non va bene. Barare, invece, significa intralciare i progetti del caso, appropriarsi delle somme che altri hanno avuto l’imprudenza e la presunzione di mettere a repentaglio, a disdicevoli fini di lucro e con la segreta speranza di essere favoriti dalla sorte e dagli errori dell’avversario”. Traduciamo: il baro è un gran presuntuoso, che vuole addirittura sostituirsi al caso. Farsi demiurgo al posto suo. E qui ci si potrebbe pure fermare, in un romanzo di cento pagine o poco più. Ma il primo ad annoiarsi, quando le cose vanno troppo per le lunghe, è lo stesso Guitry. Che difatti, di punto in bianco, trasforma il baro nel più classico giocatore. Ovvero in qualcuno disinteressato a barare, non avendo intenzione di sostituirsi al caso. Così il romanzo si fa “doppio”. Chi aveva accumulato una fortuna dileggiando il gioco in quanto tale, ora rimane soggiogato dalla figura del giocatore onesto: se destinato a perdere tutto il capitale, poco importa.