Tuttolibri, 3 dicembre 2022
A passeggio con Flaiano
«Quello di ridurre Flaiano a coniatore di epigrammi e motti di spirito è un fenomeno con un suo nome preciso, flaianite», scrive Tommaso Pincio nelle prime pagine del suo Diario di un’estate marziana. Se ne può guarire: restituendo – come fa Pincio muovendosi per le strade di una Roma accaldata – alla figura di Flaiano le sue sfaccettature, le sue imprevedibilità. Il narratore cammina, rimugina, cerca tracce dell’altro nei luoghi – via di Campo Marzio 24, la redazione del Mondo; Villa Borghese, dove sbarca (in un racconto di Flaiano) il famoso marziano cui la capitale resta indifferente le case in cui ha abitato; e lo interroga. Interroga la sua «proverbiale pigrizia», il suo rapporto con Roma, che «non mette nessuna cura nel piacere agli altri», il posto che la letteratura occupava nella sua vita. E interrogando lui, Pincio interroga sé stesso: in quel modo commovente che è di altri suoi libri come Hotel a zero stelle e Il dono di saper vivere.Osservare una fotografia che ritrae Flaiano vincitore del primo Premio Strega diventa l’occasione per scrutare il «grande maestro della fuga» nella cornice mondana che lo celebra; e per chiedersi che cosa fossero davvero i cosiddetti salotti letterari, che cosa li ha sostituiti (niente: «Incontrarsi anche solo per un caffè richiede una preparazione di giorni, scambi di messaggi per accordarsi e pure ad accordo raggiunto tutto resta comunque appeso a un filo»). E in ogni caso: è davvero esistita quell’età dell’oro, una Roma più bella e vitale? La Roma del Caffè Greco, di Rosati. Forse è un «falso ricordo», definizione che Pincio adopera anche quando recupera segmenti della sua memoria («può darsi che sia un falso ricordo»). Non importa, continua a camminare, rimuginare, annotare; a contemplare l’estate, stagione inadatta ai vecchi e ai cani – ma, dice Pincio, «il malinconico venera l’estate perché ha un conto in sospeso con la tragedia dell’infanzia». Quella di Flaiano – «mortificata» dal padre e dal fascismo – Fellini la derubò per travasarla nei suoi film (così si lamentò Flaiano quando i rapporti fra i due si erano guastati).Rivedendo la Dolce vita, Pincio si chiede quale sia la stagione in cui si svolgono i fatti del film, «un dubbio che non mi ero mai posto». È estate anche lì? O forse è un generico clima benevolo, «dolce per così dire, come la vita che vi si conduce, un clima che non infierisce né in un senso né nell’altro, o forse addirittura una città senza un clima, dove non esistono il caldo e il freddo propriamente detti, ma soltanto ciò che è possibile vedere, la luce e il buio, la notte e il giorno, il sole e la pioggia». Pagina bellissima, come tante ne offre questo diario – più diurno che notturno – di uno speciale passeggiatore solitario, che insegue Flaiano o forse (si coglie via via) si lascia inseguire: e in questo inconsueto passo a due, una rivelazione si somma a una rivelazione, un luogo «cinematografico» ne palesa uno reale, o viceversa, un’esperienza emotiva aggancia un libro, o viceversa, un ricordo proprio si connette a uno altrui, o viceversa. Tutto questo concorre a produrre, come effetto sul lettore, una rara coincidenza di felicità intellettuale e emozione più calda, più interna, più intima: dimostrando anche, quasi sottotraccia, quale fosse, qual è il Flaiano che non sempre colgono i malati di flaianite. Flaiano che può farti ridere fino alle lacrime – ma «cristo quanto fa male»; Flaiano che nasconde dietro l’indolenza un senso permanente di inadeguatezza, che camuffa il dolore esistenziale esibendo un’intelligenza scintillante e sulfurea.Così, uscendo dal libro di Pincio con una strana e inaspettata commozione, è difficile dire se sia un libro su Flaiano, su Roma, se sia un ritratto critico dello scrittore e insieme un saggio morale, se sia la perlustrazione di una verità climatica (effettiva, storica, letteraria), se sia una scommessa imprevista sul potere del diario, genere caro a Flaiano, a molti di quelli che sedevano nei caffè con lui, e ai malati di flaianite. Ma alla nobile e antica forma del «registro giornaliero» la mitezza assorta di Pincio offre l’occasione di rinverdirsi ritrovando la radice di quaderno del pensiero – il pensare, l’avere pensato, lo stupore, l’intuizione, la connessione – e del sentimento – la sua intensità, la sua opacità. Al punto da riuscire a depositare su carta l’impalpabile: qualcosa che va parecchio al di là dei soggetti e dei temi, di Flaiano, di Roma, della letteratura, del cinema. L’impalpabile materia, o sostanza, dei giorni.
Tommaso Pincio Diario di un’estate marziana Giulio Perrone Editore